Go East: trovare l’America a est

Aumenta il numero dei lavoratori che dai Balcani occidentali si spostano ad est in cerca di una vita migliore. Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia i paesi preferiti

 

25/10/2017, Lidija Pisker - Sarajevo

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Questo mese, Igor Kolundžija da Banja Luka, Bosnia Erzegovina (BiH), ha festeggiato il suo primo compleanno lontano dalla sua città natale, dalla sua famiglia e dagli amici. Dopo aver trovato lavoro nel Servizio clienti di una società di telecomunicazioni a Brno, si è trasferito di recente nella Repubblica Ceca e sarà presto raggiunto dalla moglie e dalla figlia.

“Non volevo che mia figlia crescesse e studiasse in Bosnia”, racconta Igor, deluso da anni di crisi politica e sociale in Bosnia Erzegovina, nella speranza di trovare nella Repubblica Ceca un futuro più luminoso.

Le nuove migrazioni a est

Igor è uno dei tanti cittadini della BiH che hanno recentemente deciso di cercare una vita migliore in altri paesi europei. Se molti medici, infermieri e altri lavoratori della sanità trovano impiego in Germania e Austria, altri scelgono i paesi dell’ex blocco orientale, come Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia, per fare carriera nei settori dell’informatica e del servizio clienti.

Informatica e servizio clienti sono settori in rapida crescita in questi paesi. Dopo la caduta del comunismo, le economie di ex Cecoslovacchia e Polonia hanno spostato lo sguardo dall’ex blocco orientale verso nuove opportunità nei mercati più sviluppati.

L’adesione all’UE ha rafforzato la posizione di questi paesi sul mercato internazionale e sempre più aziende straniere aprono rami in Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia. Secondo dati Eurostat, la Polonia ha registrato il secondo tasso di crescita nel periodo 2006-2016 fra i paesi UE (tasso medio 3,5% l’anno), seguita da Irlanda (3,4%) e Slovacchia (3,1%).

Rispetto alle due principali mete di delocalizzazione come India e Cina, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia offrono maggiore qualità del prodotto, un contesto più sviluppato, vicinanza all’Europa occidentale e forza lavoro altamente qualificata. Tanto per fare alcuni esempi, Brno ospita aziende come AT&T, Lufthansa e Red Hat; a Bratislava troviamo Dell, IBM e Henkel; a Cracovia Motorola, ComArch e Phillip Morris.

La presenza delle multinazionali ha dato grande spinta allo sviluppo di questi paesi. Anche per questo vantano tassi di disoccupazione fra i più bassi in Europa. Quest’anno la Repubblica Ceca ha registrato il tasso di disoccupazione più basso fra i paesi UE (2,9%); seguono la Polonia al sesto posto con il 4,8% e la Slovacchia con il 7,3%. I paesi dei Balcani occidentali, invece, lottano da anni con elevati tassi di disoccupazione. Le travagliate circostanze politiche e sociali eredità delle guerre hanno complicato la transizione all’economia di mercato e limitato gli investimenti stranieri.

Secondo la recente analisi "Western Balkans Labor Market Trends 2017", nel periodo 2010-2016 i paesi dei Balcani occidentali hanno registrato circa 300.000 posti di lavoro in più: una crescita che non sembra però aver inciso sul tasso di disoccupazione regionale. Secondo dati Eurostat, il Kosovo e la Bosnia Erzegovina guidano la classifica con un tasso di disoccupazione rispettivamente pari al 33% e al 28%. La Macedonia segue a ruota con un valore del 26% mentre Serbia, Montenegro e Albania si attestano sul 17% di disoccupazione.

“Non riuscivo ad assicurare una vita normale a me e alla mia famiglia. Se non altro, la vita nella Repubblica Ceca è dignitosa e non un insulto all’intelligenza umana”, dice Elvis Dolić da Zenica, che lavora nella sede Lufthansa di Brno dall’inizio dell’anno. Anche molti dei suoi colleghi, spiega, provengono “da paesi dei Balcani devastati dalla corruzione”.

Due anni fa, per motivi analoghi, Vedran Radić, ingegnere, 37 anni, si è trasferito a Bratislava per un lavoro in una multinazionale. A Sarajevo aveva un lavoro ben pagato nel settore informatico e una vita tranquilla con sua moglie e i due figli.

Eppure, a causa dell’instabilità politica e sociale, pensavano già da anni di lasciare il paese. Poi sono arrivate le proteste sul tema JMBG (il numero unico di identificazione personale), provocate dalla morte di un neonato malato che non aveva potuto recarsi all’estero per urgenti cure mediche a causa di una disputa politica legata all’assegnazione dei documenti di identificazione. “Le proteste del 2013 mi hanno fatto capire che la situazione in Bosnia non migliorerà mai. Mai”, dice Vedran. Finora, aggiunge, la vita in Slovacchia è stata un’esperienza molto positiva per tutta la famiglia.

L’Europa occidentale rimane la prima destinazione scelta da chi lascia la BiH. Secondo il ministero della Difesa della BiH , solo nell’ultimo anno 1.196 cittadini hanno cancellato la residenza per trasferirsi in Germania e 895 in Austria: una cifra che rappresenta circa la metà dell’intera popolazione emigrante per lo stesso periodo. La maggior parte trova lavoro come medico, infermiere o assistente in ospedali e case di riposo. Se si aggiungono coloro che mantengono la residenza, è chiaro che i numeri effettivi sono molto più alti.

Seppure in misura molto minore, anche le migrazioni dalla BiH verso Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia sono cresciute negli ultimi tre anni, confermano le istituzioni e le ambasciate dei tre paesi.

Ad esempio, l’ambasciata slovacca a Sarajevo ha notato un forte aumento delle richieste telefoniche di informazioni relative alle modalità di immigrazione in Slovacchia. Secondo l’Ufficio centrale slovacco per il lavoro, gli affari sociali e la famiglia (UPSVAR), il numero delle persone immigrate dalla BiH in Slovacchia nel 2017 è aumentato di oltre 7 volte rispetto a due anni fa (18 contro i 122 attuali).

Soltanto nei primi 4 mesi del 2017, l’ambasciata polacca a Sarajevo ha rilasciato più visti di lavoro (46) che in tutto il 2016 (41). E’ però il ministero degli Interni a ricevere le domande dirette e i numeri complessivi sono ancora più alti.

È in aumento anche il numero di persone immigrate da altri paesi dei Balcani occidentali. I lavoratori serbi in Slovacchia sono in aumento dal 2015 e i due paesi firmeranno un accordo per semplificare le procedure di visto.

Non è solo l’economia

Se paragonata con altri paesi della regione, la BiH registra un tasso di emigrazione di gran lunga maggiore (44,5% della popolazione), superiore anche a quello dell’Albania (43,6%), che da anni aveva quello più alto in Europa, secondo il report Migration Profile of BiH 2015 .

Come Igor, Elvis e Vedran, molti cittadini della BiH migrano per ragioni più complesse di quelle puramente economiche, osserva Adnan Efendić, professore alla Facoltà di Economia a Sarajevo: "Spesso si sopravvaluta l’impatto della disoccupazione sull’emigrazione dalla BiH".

In uno dei suoi studi sui progetti migratori, basati su dati rappresentativi della popolazione della BiH e un periodo di osservazione di 10 anni, Efendić sostiene che la situazione politica gioca un ruolo maggiore delle condizioni economiche individuali e complessive. "Probabilmente diamo troppo peso a disoccupazione alta, bassi salari, basso reddito e cattiva economia, mentre dovremmo prestare altrettanta o maggiore attenzione a contesto politico, instabilità e pessimismo".

Maja Barišić, ricercatrice in migrazione e politiche sociali, concorda: "Il fatto che anche chi ha un lavoro pensi a lasciare il paese è un possibile indicatore di complessità. È evidente che non si tratta solo di una questione economica".

Se l’emigrazione di forza lavoro qualificata manterrà lo stesso ritmo nei prossimi 10 anni, spiega Barišić, la combinazione di emigrazione e bassa fertilità avrà un effetto negativo sull’offerta di forza lavoro. "A mio parere, tuttavia, stati piccoli come la BiH non possono fermare questi processi, perché le persone non possono essere condizionate a rimanere se hanno possibilità migliori, e nemmeno a fare figli se riescono a malapena a provvedere per se stesse".

Secondo la ricercatrice, l’emigrazione di massa può essere contrastata da politiche più espansive: "Se i governi vogliono incoraggiare le persone a rimanere nel paese, servono stabilità politica, inclusione economica e un welfare generoso, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare".

Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network  ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0

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