Religion Today Filmfestival, un festival ecumenico

Ha compiuto vent’anni il Religion Today Filmfestival, evento che crede fortemente nell’ecumenismo. Uno sguardo sulla rassegna da poco conclusasi del nostro critico cinematografico

08/11/2017, Nicola Falcinella -

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Fotogramma tratto dal film “A New Home” di Žiga Virc

“20 anni che hanno cambiato la storia” è il sottotitolo che ha accompagnato il Religion Today Filmfestival di Trento, giunto a festeggiare le venti edizioni. Una manifestazione che crede nell’ecumenismo, nell’incontro e nell’apertura, come ha dimostrato nella serata finale dedicata alle migrazioni con il travolgente concerto degli Stregoni, ospiti una decina di giovani cantanti nigeriani in attesa di permesso di soggiorno.

Il concorso ha visto la partecipazione di 41 film da 28 paesi, con la presenza di 40 ospiti e oltre duemila spettatori e circa altrettanti nelle cinque mattine dedicate alle scuole a Trento, Arco, Pergine e Borgo Valsugana. Il Gran Premio “Nello spirito della Fede in memoria di Davide Zordan” è stato assegnato al documentario “Vedete, sono uno di voi” di Ermanno Olmi sul cardinale Carlo Maria Martini, che ha ottenuto anche il premio Signis. La giuria internazionale comprendeva anche il regista serbo Goran Radovanović, vincitore del Bergamo Film Meeting 2016 con “Enklava – Enclave” e di numerosi altri riconoscimenti.

Il premio come miglior film è stato attribuito a “Returnee” del kazako Sabit Kurmanbekov, anche menzione speciale della giuria Signis. Miglior cortometraggio “The Chop” dell’inglese Lewis Rose, anche Premio speciale del 20° Religion Today Filmfestival. Il premio per il miglior documentario per “A157” dell’iraniano Behrouz Nouranipour.

Due le menzioni speciali: al documentario “Liberami” di Federica Di Giacomo, che racconta l’esorcismo in maniera originale, e al film estone “Come Back Free” di Ksenia Okhapkina.

Il bel cortometraggio sloveno “A New Home” di Žiga Virc (noto anche per il documentario “Huston We Have a Problem”) ha ricevuto il Premio Nuovi sguardi della giuria FSC Università Pontificia Salesiana e pure il Premio Migrazioni e convivenza della Giuria Cinformi (Centro informativo per l’immigrazione della P.A.T.), ex aequo con “Il potere dell’oro rosso” di Davide Minnella. Un corto che racconta la presenza di profughi, arrivati seguendo la “rotta balcanica”, nelle città evitando i toni della denuncia ma assumendo lo sguardo impaurito di una giovane, in bilico tra timore degli immigrati e sensazione di essere in colpa verso di loro.

Ex aequo anche il Premio Popoli e religioni e società della Giuria CinemAMoRe del coordinamento filmfestival trentini a “Coldness” degli iraniani Bahram e Bahman Haj Abol Loo Ark e a “The Devil and the Holy Water” di Diego Maria Malara, Finlandia/Etiopia.

Premio Sfide della giuria interreligiosa Comune di Arco a “Mary Mother” dell’afghano Sadam Wahidi e Premio Nello spirito della Pace del Forum Trentino per la Pace e i Diritti umani all’iracheno “Pako” di Walid Taher, con menzione speciale al russo “Chocolate Wind” di Ilia Antonenko. Infine Premio Migliore colonna sonora, della giuria del Conservatorio “A.F. Bonporti” a “Imagine” dell’altro russo Ilshat Rakhimov.

Nel frattempo, inaugurata da “Still Life” (2013) dell’italo-inglese Uberto Pasolini, è iniziata la rassegna “20 anni in 20 film” che il festival sta proponendo per il suo ventesimo anniversario. Un film per anno, tutti provenienti da Paesi diversi. Quattro provengono da Russia, Bosnia, Turchia e Romania. Si tratta nell’ordine de “L’isola” (2006) di Pavel Lungin, “Il sentiero” (2010) di Jasmila Žbanić, “Il regno d’inverno” (2014) di Nuri Bilge Ceylan e “Sieranevada” (2016) di Cristi Puiu. Nomi tra di primo piano non solo nelle cinematografie dell’area, ma anche nell’attuale panorama mondiale, tutti vincitori di premi importanti, Ceylan della Palma d’oro di Cannes proprio con questo lungometraggio. Si va dalla follia mistica di una colpa da espiare del film russo alla condanna del fondamentalismo musulmano del film della regista di Sarajevo de “Il segreto di Esma”, dal piccolo mondo immobile nel mezzo dell’Anatolia che sembra uscito da un testo di Checov al normale conflitto di una famiglia romena metafora di un Paese lacerato e contraddittorio che non sa più a cosa credere.

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