Le registe del cinema bulgaro

Sguardi Altrove Film festival di Milano, attualmente in corso, dedica un focus alle donne del cinema bulgaro. Un approfondimento del nostro critico cinematografico

13/03/2018, Nicola Falcinella -

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Binka Zhelyazkova, la prima regista bulgara

Il cinema bulgaro è purtroppo tra i meno conosciuti d’Europa e solo negli ultimi anni sta ritornando all’attenzione quanto meno degli addetti ai lavori e dei festival internazionali. Tra i registi di punta Stefan Komandarev, noto per “The World is big and Salvation lurks around the corner” (2008) e “Directions – Tutto in una notte a Sofia”, selezionato in Un certain regard a Cannes nel 2016, primo film bulgaro dal 1988 a essere invitato nella selezione ufficiale del festival. Poi il documentarista Tonislav Hristov, autore di “Rules of Single Life” e “The Good Postman”, e Iliyan Metev, apprezzato per “The Last Ambulance in Sofia” e “3/4”, premio dei Cineasti del presente a Locarno Festival 2017.

Sono però le donne, il cui ruolo è sempre stato di primaria importanza nel cinema della Bulgaria, ad aver riscosso i successi maggiori ed essere tra le capofila anche della nuova onda che si sta segnalando nei festival, nel documentario come nella finzione: su tutti il Pardo d’oro a “Bezbog – Godless” di Ralitza Petrova.

La prima regista bulgara fu Binka Zhelyazkova, autrice nel 1957 di “Life Flows Quietly By…” che raccontava di ex partigiani che erano andati al potere. Lavorò più volte con il marito sceneggiatore Hristo Ganev ed Elka Nikolova ne ha tracciato un ritratto nel documentario “Binka – To Tell A Story About Silence” (2007). Comunista, ma critica con il regime, tanto che quattro dei suoi nove film (sette di finzione e due documentari) restarono bloccati e furono mostrati al pubblico solo dopo il 1989. Tra i suoi lungometraggi anche “A byahme mladi – We Were Young” (1961) e “Privarzaniyat balon – The Tied-Up Balloon” (1967), breve sogno di libertà per gli abitanti di un villaggio legato alla comparsa di uno strano pallone nel cielo. Il suo film più importante è senza dubbio “The Last Word – Poslednata duma”, che fu in concorso a Cannes nel 1974.

Alla stagione degli anni ’60 appartiene anche Irina Aktasheva, russa di nascita, regista di sei film insieme al marito Hristo Piskov. Dopo gli inizi come attrice e assistente, l’esordio in co-regia è con “Smart nyama – There is no Death” (1963), “Kato pesen – Like a Song” (1973), “Slanchev udar – Sunstroke” (1977), “Lavina” (1982), “Samo ti, sartze – Only You, My Heart” (1987), “Ponedelnik sutrin – Monday Morning” (1966, ma uscito solo nel 1988).

Aveva studiato e lavorato in Germania Ivanka Grubcheva, autrice di una quindicina di titoli tra i quali “Detza igrayat van – Children Play Out Of Doors” (1973), "Izpiti po nikoe vreme – Exams at an Unearthly Hour" (1974), “Pri nikogo” (1975), "The 13th Bride of the Prince" (1987) and "The Golden River – Zlatnata reka" (1983) fino all’ultimo, “Edna kaloria nezhnost – One Calory of Tenderness” (2003). Autrice di tre soli lungometraggi è Iskra Yosifova, una tra le prime studentesse all’accademia nazionale di Sofia e morta prematuramente nel 2005. Il suo debutto fu “Pateshestvie – The Journey” (1980), in coregia con Malina Petrova, cui sono seguiti “Love Therapy” (1987) e "Cruel and Innocent" (1989). Da sola, Petrova ha realizzato il lungo di finzione “Sinat na Maria – Maria’s Son” (1983), con il regista Georgi Dyulgerov come interprete, e svariati documentari.

Alla stessa generazione appartiene Mariana Evstatieva-Biolcheva, della quale vanno ricordati “Moments in a Match Box” (1979), “Abduction in yellow” (1981), “Up on the Cherry Tree” (1984), “Looking for an Husband for Mum” (1985) e “Plemennikat chuzhdenetz – The Foreigner Nephew” (1990).

Ha studiato invece in Serbia, all’Accademia di Belgrado, la documentarista Adela Peeva, il cui esordio, il corto “Mayki – Mothers” del 1981, era stato bandito dalle autorità comuniste. L’unico suo lungometraggio di finzione è “Die Nachbarin – Sasedkata” (1988) e sono da ricordare “Whose Song Is This?” (2003) e “Kmetat” (2010), su Ivan Ivanov che fu sindaco di Sofia dal 1934 al 1944. “Divorce Albanian Style” (2007) investiga sui matrimoni “interrotti” con la forza tra cittadini albanesi e russi dopo il distacco tra i due paesi in epoca comunista.

Tra le documentariste di lungo corso anche Eldora Traykova, con decine di lavori dagli anni ’80 in avanti, tra i quali “Of People and Bears” (1995) e Nevena Tosheva, che ha lavorato su società e individui. Uno dei primi film a darle visibilità internazionale fu “Etude” (1964), tra le altre opere “The Team” (1976) e “Teachers” (1982).

Figlia d’arte – di Metodi Andonov, noto per “Il corno di capra” (1972), uno dei film bulgari più popolari – è Milena Andonova che da bambina recitò in “Byalata staya – The White Room” (1968) del padre. Dietro la macchina da presa si è fatta conoscere con “Maimuni prez zimata – Monkeys in Winter” (2006).

Dopo alcuni documentari, Iglika Trifonova ha esordito nella finzione con “Pismo do Amerika – Lettera per l’America” (2000), cui sono seguiti “Investigation” (2006), “Lift for Patients – Asansior za patsienti” (2017) e “Il pubblico ministero, la difesa. il padre e suo figlio” (2015), che sarà mostrato a Sguardi altrove. Un solido dramma giudiziario che ha come sede il Tribunale dell’Aja per l’ex Jugoslavia, dove si processa un accusato per un massacro nella Bosnia orientale nel maggio 1992. Un avvocato e l’accusatrice si fronteggiano, con le difficoltà di arrivare alla verità e provare le colpe, mentre tutte le parti in causa hanno in qualche modo sofferto.

“Voevoda” (2017) è il terzo lungometraggio di Sofia Zornitsa, che si era segnalata con “Mila From Mars” (2004), vincitore anche al Sarajevo Film Festival. “Voevoda” è un dramma storico che si inserisce nel filone delle pellicole che ricostruiscono il lungo periodo della dominazione ottomana in chiave nazionalistica. Nel 1829 nasce Roumena, figlia dell’uomo di fiducia di un “voevoda”, capo di una “cheta”, le bande di rivoltosi contro gli occupanti. Cresciuta, la donna si metterà a capo di uno di questi gruppi, combattendo come e più di un uomo, contro le ingiustizie e tutti i pregiudizi.

Il maggior riconoscimento per il cinema bulgaro è stato ottenuto da “Bezbog – Godless” di Ralitza Petrova, Pardo d’oro al Festival di Locarno nel 2016, nonché Pardo per la migliore interpretazione femminile per Irena Ivanova. È la storia di un’infermiera insensibile coinvolta in traffici loschi in un paese nel quale il potere continua gli abusi del passato.

Altra cineasta di punta è Kristina Grozeva, che lavora in coppia con Peter Valchanov: “The Lesson – Scuola di vita” (2014) e “Glory – Non c’è tempo per gli onesti” (2016) sono lungometraggi che hanno ricevuto premi e avuto anche una distribuzione italiana.

Tra gli esordi degli ultimi anni il notevole “Viktoria” (2014) di Maya Vitkova, con gli ultimi anni del comunismo e la sua fine visti in maniera fantastica attraverso gli occhi di una bambina nata senza il cordone ombelicale. E “Radiogram – Radiogramofon” (2017) di Rouzie Hassanova, ambientato nel 1971 con un padre che intraprende un lungo viaggio per acquistare una radio per il figlio appassionato di rock. Infine “Jajda – Thirst” (2015) di Svetla Tsotsorkova, un dramma familiare d’ambientazione agreste.

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