Kosovo-Turchia, frizioni dopo l’estradizione di sei cittadini turchi
Le autorità del Kosovo, in collaborazione con l’intelligence turca, hanno estradato sei cittadini turchi. Il premier Haradinaj ha negato di essere stato informato sull’azione di polizia e ha accusato il presidente turco Erdoğan di ingerenza
Venerdì 30 marzo il governo kosovaro ha deciso di sfiduciare il ministro degli Interni Flamur Sefaj e di licenziare il capo dell’Agenzia di Intelligence Driton Gashi, dopo la contestata estradizione di sei cittadini turchi avvenuta meno di ventiquattro ore prima.
Le autorità in Kosovo hanno espulso i sei, presumibilmente legati al religioso turco Fethullah Gülen, accusato da Ankara di essere la mente dietro il fallito golpe in Turchia del luglio 2016, in un’azione che è stata completata nel giro di poche ore. I mass media kosovari riferiscono che i sei erano dotati di regolare permesso di soggiorno, ottenuti in cinque casi su sei come lavoratori degli istituti educativi Gulistan, legati alla figura di Gülen, da molti anni in esilio volontario negli Stati Uniti.
Cinque dei sei arrestati fanno infatti parte del sistema di istruzione privata “Gülistan”: il direttore generale del Mehmet Akif College, il vicedirettore, il preside della scuola a Gjakova/Djakovica e due insegnanti. Anadolu, l’agenzia di stampa statale della Turchia, ha poi fornito alcune informazioni sul sesto uomo deportato, che sarebbe un medico.
L’azione, secondo fonti del ministero dell’Interno turco, è stata realizzata dall’intelligence turca in stretta collaborazione con l’Agenzia di intelligence e la polizia kosovara. Il ministero degli Interni di Pristina ha dichiarato di avere "sufficienti basi legali" per revocare i permessi di soggiorno in nome della sicurezza dello stato. Nessuna ulteriore spiegazione è stata fornita dalle autorità kosovare.
Ulteriori dettagli sono stati resi noti dalla polizia turca, secondo la quale sarebbero state trovate prove riguardo alle presunte attività illegali dei sei cittadini fermati in Kosovo ed estradati, attività che comprendono raccolta di fondi, presunto reclutamento di membri del gruppo t[]ista, falsificazione di documenti e partecipazione alla cospirazione per rovesciare il governo turco.
L’arresto e la deportazione dei sei, gestita dall’intelligence turca, sono stati eseguiti sotto il radar di alti funzionari del Kosovo.
Il primo ministro Ramush Haradinaj ha negato di essere stato informato sull’azione di polizia. "Agirò secondo le mie competenze legali e costituzionali", ha twittato Haradinaj, prima di procedere alla defenestrazione del ministro degli Interni e del capo dei servizi, arrivata il giorno dopo.
Il presidente Hashim Thaci, a sua volta, ha affermato di essere "deluso dal modo in cui le nostre istituzioni competenti non sono riuscite a proteggere i cittadini stranieri che lavorano in Kosovo”, aggiungendo di aver saputo dell’operazione solo dopo l’arresto. Secondo i media kosovari, in passato il figlio di Thaci ha frequentato una delle istituzioni educative Gülistan.
Il presidente del parlamento di Pristina, Kadri Veseli, ha criticato gli arresti, indicando che non era a conoscenza delle azioni intraprese. "Come stato democratico, il Kosovo deve affrontare in modo istituzionale la responsabilità legale degli attori coinvolti in questo caso. Il flagrante arresto di cittadini stranieri su sospetti infondati non corrisponde ai valori europei che il Kosovo dovrebbe rappresentare", ha dichiarato Veseli.
Chi critica l’operazione di polizia contro i sei cittadini turchi cita la mancata applicazione delle leggi che regolano la presenza di stranieri in Kosovo e delle procedure che guidano le estradizioni. La stessa Costituzione del Kosovo incorpora convenzioni internazionali, compresa la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU): nessuno dei suddetti trattati internazionali è stato però rispettato dal governo kosovaro.
"Estradizioni controverse"
Secondo Anadolu, i servizi segreti turchi hanno trasportato gli arrestati su un aereo privato in Turchia e li hanno immediatamente consegnati alla magistratura. L’arresto e la deportazione del gruppo hanno scatenato aspre reazioni da parte di gruppi per i diritti umani, membri dell’opposizione del parlamento e dei media.
Secondo Human Rights Watch gli arresti e le estradizioni, definiti “controversi”, “hanno portato le sei persone coinvolte in un paese [la Turchia] dove esiste il serio rischio che vengano torturati”. Nate Schenkkan di Freedom House, in una dichiarazione resa al Washington Post, ha descritto gli arresti come “un’offesa scioccante dei diritti civili e delle norme di cooperazione bilaterale”.
“Sono cinque i paesi in cui cittadini turchi che avevano chiesto asilo sono stati rimpatriati prima che le loro domande fossero prese in considerazione, una chiara violazione del diritto internazionale”, ha aggiunto Schenkkan. “In almeno altri tre paesi, i servizi di Ankara sembrano coinvolti in operazioni extra giudiziali, volte a rimpatriare cittadini turchi”.
L’operazione e le reazioni a caldo hanno avuto pesanti ricadute sui rapporti tra Ankara e Pristina. Domenica 1 aprile il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha attaccato frontalmente il premier kosovaro Haradinaj.
“Il primo ministro del Kosovo protegge i t[]isti dell’organizzazione di Gülen su ordine di qualcuno, ma i miei fratelli kosovari lo puniranno”, ha tuonato Erdoğan, che ha fatto più volte cenno al fatto che la Turchia è stata uno dei primi stati a riconoscere l’indipendenza di Pristina. La Turchia è oggi un importante investitore in Kosovo: compagnie turche gestiscono l’aeroporto di Pristina e la rete elettrica nazionale, e sono coinvolte nella costruzione di due autostrade sul suolo kosovaro.
Il presidente turco ha definito il siluramento del ministro degli Interni e del capo dell’intelligence come “un []e storico, contro chi ha fatto solo il proprio dovere nella lotta al t[]ismo”. Erdoğan ha poi concluso: “L’operazione realizzata in Kosovo non è stata la prima, né sarà l’ultima di questo genere”.
Lo stesso Haradinaj, dopo aver annunciato un’indagine approfondita sugli arresti e le estradizioni, non ha esitato a rispondere a muso duro a Erdoğan. “Né io né il Kosovo siamo mai intervenuti nelle questioni interne turche in passato, né abbiamo intenzione di farlo in futuro. Allo stesso tempo, non possiamo tollerare che qualcuno si immischi nelle nostre. Che sia chiaro a tutti”, ha dichiarato Haradinaj con chiaro riferimento alle parole di Erdoğan.
La decisione di Haradinaj di estromettere il ministro Sefaj, esponente dell’Alleanza per il Futuro del Kosovo (ARK), il movimento politico creato dal tycoon Behgjet Pacolli, rende però ancora più fragile la posizione del suo governo. Nelle scorse settimane Haradinaj ha subito infatti anche l’abbandono dei rappresentanti della Srpska Lista, il partito che rappresenta la maggioranza dei serbi del Kosovo, che ha ritirato il proprio appoggio all’esecutivo dopo l’arresto e l’estradizione di Marko Đurić, capo dell’Ufficio per il Kosovo del governo di Belgrado.