Il cinema di Adrian Sitaru
Adrain Sitaru si è affermato in questo decennio come uno dei registi più attenti ai dilemmi morali e alle contraddizioni della società romena. Un’intervista
Cinque film e un pugno di cortometraggi hanno fatto di Adrian Sitaru uno dei protagonisti della vivace scena del cinema romeno odierno. Una produzione, spesso presentata nei festival internazionali, che l’ha portato all’attenzione degli addetti ai lavori e oggetto dell’omaggio dedicatogli dal recente Bergamo Film Meeting nella sezione Europe Now. Ora i suoi lavori più recenti, “Illegittimo” e “Fixeur”, sono nelle sale italiane, distribuiti da Lab80 Film. Abbiamo conversato con il regista in occasione delle proiezioni bergamasche.
Adrian Sitaru, il cinema romeno si contraddistingue per uno stile di lunghe riprese in piano sequenza, mentre in questo lei si differenzia un po’, spezzando le scene e utilizzando di più il montaggio…
Anch’io spesso giro in piano sequenza. Per esempio per “Hooked” e “Illegittimo” avevo poco tempo per le riprese e ho girato scene molto lunghe che poi ho tagliato al montaggio. Però sì, uso meno quello stile.
Il suo film d’esordio, “Hooked – Pescuit sportif”, colpisce perché è girato in soggettiva secondo i tre personaggi principali…
In realtà l’avevo scritto come fosse “Rashomon” di Akira Kurosawa, tre volte la stessa storia raccontata dai tre diversi personaggi. Poi ho pensato che potesse risultare noioso, ma mi è rimasta l’idea dei punti di vista diversi. Ho pensato di far cogliere al pubblico come ciascuno dei protagonisti viveva quella situazione e che non ci fosse solo lo sguardo dell’operatore e del regista. Mi piace l’idea di mettere lo spettatore nelle scarpe del personaggio, in mezzo all’azione, immergerlo nella storia, per questo mi incuriosiscono anche il 3D e il VR.
In “Hooked” ci sono rimandi a “Il coltello nell’acqua” di Roman Polanski. È stata un’ispirazione?
Devo ammettere che non avevo visto quel film prima di girare. Ho letto parecchie critiche che facevano riferimento alla pellicola di Polanski, così come pure a “Una donna nel lago”, e sono andato a guardarli. Prima di girare ero stato influenzato da Dogma e da “Festen” e cercavo di fare qualcosa di semplice. Mi aveva molto colpito un film romeno, “Prova del microfono” del 1980 di Mircea Daneliuc, che avevo visto da ragazzino e non mi è mai uscito di mente, perché i personaggi mi guardavano negli occhi.
Quando è nata la sua passione per il cinema? Quali sono i registi che l’hanno influenzata?
Mi è sempre piaciuto guardare film in sala o in tv, anche se con Ceausescu le trasmissioni erano di due ore al giorno, ma non ho mai pensato a farlo. Ho iniziato a considerarlo dopo i 18 anni, dopo la rivoluzione, quando ho cominciato a vedere i film di Fellini, Bergman o Tarkovski e ho capito davvero cosa fosse il cinema. In seguito mi ha influenzato Dogma, hanno cambiato tanto nel modo di fare film e dato nuovo coraggio.
Negli anni 2000 si è imposto internazionalmente il cosiddetto nuovo cinema romeno. Si tratta di un movimento o come lo considera?
In Romania in questi anni non c’è stato un gruppo di autori che voleva fare film e si è dato delle regole, ciascuno si è fatto la sua strada. Bisogna però riconoscere che Cristi Puiu con i suoi film “Stuff and Dough” (2001) e soprattutto “La morte del signor Lazarescu” (2005) è stato l’inizio di qualcosa, ci ha ispirato con il suo modo di fare cinema. Poi ci sono stati la Palma d’oro di Cristian Mungiu a Cannes per “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni” e tanti altri premi e nuovi autori. Degli altri registi, sono legato a Radu Jude, mio compagno di scuola e assistente con me sul set di Costa-Gavras, con il quale ci leggiamo le sceneggiature, ci scambiamo consigli e ora insegniamo insieme all’università di Cluj. Ma non si può parlare di un movimento.
La famiglia torna spesso nei suoi film…
Non ci penso mentre scrivo, penso alle storie, mi accorgo dopo aver scritto che questo tema ritorna. Sono cresciuto con i miei genitori, in una famiglia normale, senza particolari traumi, gli voglio bene, non ho vissuto situazioni come quelle che racconto. Però conosco quel che accade in famiglia, mi interessano le relazioni e cerco ciò che è universale, negli esseri umani e nelle relazioni, ma in modo istintivo, senza un perché.
Anche nel cinema romeno di questi anni la famiglia torna spesso…
Questo è un punto su cui sto riflettendo da qualche tempo. La nostra riflessione sulla famiglia è legata al tempo del regime. Ci chiediamo come si sono comportati i nostri genitori, se hanno collaborato, non tanto per accusare, ma per sapere. Anche sulla questione dell’aborto, ci chiediamo se siamo figli desiderati o meno, per sapere: ci chiediamo chi siamo e da dove veniamo. Per esempio mi chiedo se i miei genitori siano stati codardi perché hanno accettato e non hanno lottato. Per paradosso però forse siamo vivi grazie a quella legge di Ceausescu che proibì l’aborto. Magari è solo il caso o un incidente, lo si dice anche in “Illegittimo” nelle ultime battute. È difficile giudicare cosa è buono e cosa è cattivo, è contraddittorio, magari come conseguenza di qualcosa di cattivo esce del buono o viceversa.
Altro tema spesso presente è la ricerca della verità, appurare se le cose sono andate davvero in un certo modo…
Ci sforziamo di scoprire la verità e la realtà di ciò che è successo. Spesso metto dilemmi nei miei film, pongo domande più che dare risposte, spero di avere risposte dal pubblico, lo provoco, cerco un dialogo, provo a suscitare reazioni. A volte mi sembra di comportarmi da stupido e lo metto nei miei personaggi. Mi sembra che nella vita non impariamo o impariamo tardi. In “Domestic” una delle questioni era: rispetto le mosche, ma mangio la carne. Come concilio queste cose? Mi interessano i paradossi, le contraddizioni dei comportamenti. Ultimamente mi interessa la fisica quantistica: da quando ho scoperto che ci possono essere più risposte allo stesso problema mi sento più rilassato.
Utilizzerà la fisica quantistica e questi spunti in un film?
Ho appena messo in scena il mio primo dramma teatrale inserendo discorsi sul tempo, la fisica e il buddismo. Ho anche fatto usare occhiali VR nei quali vedevano un set realistico ma virtuale, così vivevano il testo in modi diversi, con stati d’animo diversi. Si tratta di un lavoro sulla percezione, come percepisco le cose e come sono nella realtà.
Mi sembra attratto dalla realtà virtuale, la userà in un prossimo film?
Sto pensando di fare un film in VR, anzi, stiamo pensando di fare un remake in VR di “Hooked”, nel quale il pubblico potrebbe scegliere quale personaggio seguire.
Ha anche altri progetti?
Sì, sto lavorando a due film. Uno vorrei girarlo quest’anno, un film a piccolo budget come “Illegittimo”, perché non voglio fare richieste di finanziamento e stare ad aspettare: queste procedure hanno tempi lunghi e nel frattempo perdi interesse nella storia. Sto poi scrivendo assieme ad uno sceneggiatore per presentare un’altra domanda, perché, a meno di essere un grande nome, non si possono chiedere finanziamenti senza una sceneggiatura definita.
In Romania avete anche la fortuna di avere un gruppo di bravi attori…
Sì, sono bravi, ma bisogna lavorare molto con loro affinché siano bravi, gli serve allenamento. È come con gli atleti, possono essere forti, ma non sono competitivi a un mondiale o a un’Olimpiade se non sono preparati. A me piace fare lunghe prove con gli attori per non trovarmi brutte sorprese al momento delle riprese, che sono il mio momento preferito tra tutti, per via dell’adrenalina che c’è.
Il pubblico romeno vede i film romeni?
Non esiste una rete di sale d’essai in Romania, ci sono molti multiplex, soprattutto nelle città grandi, che fanno una programmazione commerciale. Solo Bucarest e Cluj hanno sale arthouse, che proiettano cinema d’essai e indipendente. È difficile dire se i film romeni siano visti. Quelli che sono su youtube hanno molte visualizzazioni e molti sono prodotti e trasmessi dalla rete tv Hbo: si possono vedere, ma non so in quanti li guardino. Da parte mia sono pessimista, abbiamo una nicchia di pubblico, ma da noi non vedo molta curiosità verso questa nuova onda romena.
Un’ultima cosa. La maggior parte dei film romeni sono ambientati a Bucarest, al massimo partono dalla capitale per andare in cerca di qualcosa, come il suo “Fixeur” o, tra i più recenti, “Breaking News” di Iulia Rugina. Rarissimi sono quelli in provincia e ancora di più quelli che fanno il movimento inverso, dalla provincia alla capitale…
Non saprei, forse accade perché viviamo tutti a Bucarest, tutto il cinema si fa là e tutto parte da là. Mi vengono in mente proprio pochi casi di film, come “Morgen” di Marian Crisan, ambientati lontano da Bucarest.