Turchia, economia ed elezioni

L’economia giocherà un ruolo fondamentale nelle elezioni in Turchia di domenica 24 giugno. Abbiamo fatto una panoramica con la professoressa Gül Günver Turan, presidente dell’Associazione "Turchia – Unione Europea", già docente di Economia dell’Università di Istanbul

22/06/2018, Dimitri Bettoni - Istanbul

Turchia-economia-ed-elezioni

Prof.ssa Turan, quali sono oggi i punti di forza e le debolezze dell’economia turca?

Dando uno sguardo alle crisi economiche e finanziarie del passato, ci sono alcuni tratti caratteristici che emergono: grande resistenza e capacità di recupero. A ciò aggiungiamo fiducia nel futuro, forte spirito imprenditoriale, ambiente favorevole agli affari, facilità di penetrazione tecnologica, una forza lavoro energetica e strutture familiari in grado di fornire sostegno; un insieme che dona all’economia turca una capacità di ripresa più rapida di quanto si pensi.

La capacità di saper far fronte agli shock economici è oggi però intralciata da debolezze dovute sia a fattori interni che esterni. Queste crisi non sono soltanto il risultato di carenze strutturali, ma sono anche dovute alla mancanza di una buona e solida amministrazione macroeconomica.

La Turchia è un’economia orientata all’esportazione, che viene rapidamente influenzata da crisi esterne quali, ad esempio, un improvviso calo della domanda estera. La sua economia interna dipende da importazioni strategiche quali gas, petrolio e materie prime, i cui prezzi sono oggi in vertiginoso aumento. Ne risulta un deficit della bilancia commerciale che ammonta a 57 miliardi di dollari nel solo periodo tra marzo 2017 e 2018. La scarsa propensione al risparmio interno ha portato ad una dipendenza cronica dai capitali esteri. Non arrivano investimenti diretti stranieri o di portafoglio nella quantità che ci si attendeva, creando problemi nella capacità di ripagare il debito estero contratto che, nel 2018, ammonta a 240 miliardi di dollari. A peggiorare le cose la fuoriuscita di capitali dal paese è cresciuta, mentre le aziende turche che operano all’estero sono reticenti a rimpatriare i loro profitti. Infine, la percezione degli attori economici locali e stranieri che nel paese si stia assistendo ad un indebolimento dello stato di diritto e ad un deterioramento dei procedimenti giudiziari.

Come nasce l’attuale debolezza della lira turca?

Attraverso l’enorme debito estero, l’aumento del deficit commerciale, i bassi tassi di profitto degli investimenti e il timore verso il futuro immediato, tutto mentre la Banca centrale resta inattiva. L’articolo 4 parte II della Legge sulla Banca Centrale di Turchia, che definisce i “Poteri fondamentali della Banca”, stabilisce che questa ha a disposizione strumenti di politica monetaria allo scopo di garantire la stabilità dei prezzi. Tuttavia se de jure la Banca è indipendente, de facto prende ordini dal Presidente Erdoğan, che preferisce mantenere bassi i tassi di interesse. La sua insistenza a mantenere tassi bassi, legata all’idea che l’inflazione sia il risultato di tassi elevati, ha accelerato la svalutazione della lira. In un frangente in cui c’è una crescente domanda di valuta estera ed i tassi di interesse sono al ribasso rispetto ai tassi d’inflazione, le logiche dell’economia imporrebbero un aumento dei tassi di interesse invece che un loro abbassamento.

La Banca centrale però ha infine reagito, alzando i tassi ben due volte nelle ultime settimane. Perché proprio adesso? E cosa ha voluto dire Erdoğan quando ha accennato alla volontà di riportare le politiche monetarie sotto il controllo del governo? Con quali conseguenze?

Soltanto quando la lira ha toccato un record negativo di 4.9290 nei confronti del dollaro americano, la Banca Centrale ha finalmente deciso di adottare politiche monetarie più restrittive e ha alzato i tassi di interesse. Le dichiarazioni del presidente di voler assumere dopo le elezioni un maggiore controllo sulla gestione monetaria hanno però ottenuto l’effetto di accelerare nuovamente la vendita di lira turca. Tuttavia la Banca ha mantenuto la linea e alzato i tassi una seconda volta, consentendo un modesto recupero della valuta nazionale. Quanto successo avrà questa misura è tutto da vedersi, perché il trend è di nuovo al rialzo. Dopotutto la “febbre” (ovvero l’inflazione) non accenna a placarsi, piuttosto è il termometro (i tassi di interesse) che maschera la reale dimensione di questa febbre.

Qual è la logica dietro le dichiarazioni del presidente, esternate durante un comizio? Pare quasi che abbia coscientemente desiderato che i tassi di cambio schizzassero nuovamente in alto… Forse è stato mal consigliato dai suoi consiglieri economici, affascinati dall’idea che politiche neo-fisheriante non convenzionali potessero essere applicate alla Turchia, un paese con un’economia surriscaldata da alta inflazione e bisognoso di valuta estera.

Quale parte della società turca sta soffrendo maggiormente e quale trae invece vantaggio dalla situazione?

Il peso sulle spalle di coloro che hanno contratto debiti in dollari o euro è ora assai maggiore. Lo stato si trova a fronteggiare lo stesso problema nel rifinanziare il debito pubblico. Sia le importazioni che le esportazioni vengono influenzate negativamente dal deprezzamento della lira, per effetto dell’elasticità negativa della bilancia commerciale. Energia e materie prime sono divenute più care e questo alimenterà ancor più l’inflazione nei mesi a venire.

Un report titolato “Il lavoro sotto l’AKP” e pubblicato da Disk, la confederazione delle sigle sindacali turche, ha sottolineato come in questi anni siano stati violati i diritti sindacali, proibiti gli scioperi, ridotte le tutele sociali, aumentato il divario nelle retribuzioni, cresciuta la disoccupazione. È aumentato anche il peso della tassazione indiretta sui redditi dei lavoratori, cresciuto del 65% rispetto alla tassazione complessiva. Possiamo tranquillamente affermare che i gruppi economici più deboli non hanno vissuto alcun miglioramento. In questi giorni sembrano esserci più perdenti che vincitori, eccetto coloro che hanno potuto mantenere i loro risparmi in oro o in valuta straniera forte.

Perché quindi il governo insiste così tanto nel mantenere alta la crescita nonostante i suoi costi elevati in termini di inflazione e svalutazione della moneta turca?

È un’insistenza da parte del presidente Erdogan legata all’ambizione di realizzare il progetto Visione 2023, che svelò al pubblico nel 2011. Questo piano consiste in una serie di obiettivi economici, politici e sociali da raggiungere entro il 2023, anno del centenario della Repubblica Turca. I principali obiettivi economici erano fare della Turchia un paese ad alto reddito, con un pil pro-capite di 25.000 dollari, portare il paese ad essere la 10a economia mondiale, triplicare le esportazioni a 500 miliardi di dollari, sviluppare dieci marchi turchi a livello globale e concludere i negoziati di accesso all’Unione Europea. Ma la Turchia è ben lontana dal raggiungere questi obiettivi. Ora siamo in un anno di elezioni e il governo, desideroso di vincerle, non può permettersi di dire alla sua base elettorale che questa crescita economica è solo temporanea e che l’inflazione può essere controllata solo se il tasso di crescita viene ridimensionato. È possibile garantire la sostenibilità di una crescita forte soltanto se si ottiene un consistente aumento del risparmio interno, si producono investimenti e si riduce la dipendenza dall’afflusso di capitali esteri.

Erdoğan ha anche accennato alla possibilità che venga creata un’agenzia di rating nazionale. Come valuta questa possibilità?

Lo scorso marzo anche il presidente dell’Agenzia per la supervisione e la regolamentazione del settore bancario (BDDK) ha, durante una conferenza stampa, paventato la creazione da parte delle banche turche di un’agenzia di rating nazionale operativa nel giro di pochi anni. Dubito seriamente che un progetto di questo tipo, che implica un’agenzia genuinamente indipendente, imparziale e in linea con gli standard internazionali, incontrerebbe la fiducia degli investitori internazionali qualora i suoi dati contrastassero con quelli pubblicati dalle altre agenzie.

Erdoğan sta coscientemente compromettendo l’economia turca in ossequio ad un progetto ideologico che ambisce a sganciare la Turchia dall’Occidente?

Non credo sia così. Ha ormai capito che non si può fare molto affidandosi soltanto al mondo arabo sunnita, che la Russia non è un partner affidabile, che la Cina ha ancora molta strada da fare e che l’Africa costituisce un mercato ancora troppo piccolo. Sa anche quanto sarebbe costoso tagliare i ponti con l’Occidente, dato che il 70% degli investimenti diretti proviene dalla UE, con cui intrattiene anche il 50% dei rapporti commerciali. Sondaggi recenti dicono che il 78% dei cittadini turchi è favorevole a continuare i negoziati di accesso all’Unione. I leader autoritari hanno la tendenza a comportamenti simili e l’opportunismo è assai comune nell’arena politica di oggi.

Il governo ha chiamato elezioni anticipate per assicurarsi il controllo dello stato prima che si scateni la tempesta di una crisi economica?

I sondaggi hanno indicato un declino del sostegno all’Akp e della popolarità del presidente, mentre gli indicatori economici segnalano turbolenze che richiederanno dolorose scelte di riduzione della crescita. L’annuncio delle elezioni cerca di mitigare queste ricadute. Se la coalizione tra Akp e Mhp vince le elezioni, il referendum costituzionale dell’anno scorso instaurerà un regime presidenziale che prevede poteri del presidente aumentati, l’eliminazione del primo ministro e del consiglio dei ministri e l’indebolimento dei poteri parlamentari.

Quali sono le riforme economiche a cui la Turchia deve dare priorità?

Giorni difficili attendono la Turchia e chiunque vinca le elezioni dovrà affrontare sfide importanti. La Banca Centrale ha perso credibilità, avendo agito troppo lentamente nel contenere l’inflazione e proteggere la moneta. Anche la credibilità del Tesoro è in discussione, con il paese divenuto dipendente da finanziamenti esteri a breve termine con scadenze inferiori all’anno. Le riforme necessarie prevedono una riforma del sistema giudiziario, l’abbassamento di inflazione e tassi d’interesse sotto il 5%, promuovere investimenti ad alto valore aggiunto, aumentare l’export tecnologico, investimenti nella ricerca, sostegno al risparmio e riduzione della burocrazia.

Il mondo degli affari si interroga oggi su chi sarà responsabile dell’economia dopo le elezioni, ma nessuno dei candidati ha ancora annunciato i rispettivi team economici. C’è molto da scoprire e da fare.

Gül Günver TURAN

La prof.ssa Gül Günver Turan ha insegnato economia all’Università di Istanbul, occupandosi di economia internazionale, settore bancario, istituzioni finanziarie, affari europei e politica economica turca. Ha insegnato anche alle università Bilgi e Koç, e come visiting fellow a Parigi X, Nanterre, University of Iowa, e alla Thunderbird School of Management a Phoenix, Arizona.

La prof.ssa Turan e attualmente presidente dell’associazione Turchia-UE (TURABDER). E’ membro fondatore della “Fondation du Dialogue Sud-Nord Mediterranée “a Brussels e della “Turkish Economic and Social Studies Foundation” a Istanbul. E’ membro del consiglio editoriale di“Finans Dünyası”e contribuisce con una sua rubrica al quotidiano in lingua francese “Aujourd’hui la Turquie”.

Commenta e condividi

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta