Dieci anni dopo la guerra in Ossezia del Sud

Dieci anni dopo la guerra tra Georgia e Russia nell’Ossezia del Sud è tempo di adottare un approccio sfumato ai conflitti nello spazio post-sovietico. Le soluzioni pragmatiche e umane che riconoscono l’agire locale sono la via da seguire

06/08/2018, Giorgio Comai -

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Tbilisi, 7 agosto 2009. Nel primo anniversario della guerra del 2008 in Ossezia del Sud, fotografie esposte nella via centrale di Tbilisi ricordano anche i conflitti di inizio anni Novanta. (foto G. Comai)

(Pubblicato contemporaneamente da Ispionline )

Il libro che consiglio di leggere nel decimo anniversario della guerra di agosto 2008 tra Georgia e Russia in Ossezia del Sud è Near Abroad di Gerard Toal. Pubblicato nel 2017, offre un’eccellente panoramica della catena di eventi che ha portato allo scoppio della guerra in quei giorni di agosto, così come delle culture geopolitiche che hanno contribuito a plasmare quegli eventi e in gran parte determinato sia le reazioni politiche che la copertura mediatica al tempo. È importante leggerlo anche perché incoraggia i lettori ad abbracciare la complessità e trovare le proprie risposte a domande che sono ovvie solo a prima vista. Importano i dettagli di ciò che è accaduto sul terreno? Toal cita il controverso punto di vista di Robert Kagan su questa domanda apparentemente semplice:

"I dettagli su chi ha fatto cosa per scatenare la guerra della Russia contro la Georgia non sono molto importanti. Vi ricordate i dettagli precisi della crisi dei Sudeti che ha portato all’invasione della Cecoslovacchia da parte della Germania nazista? Certo che no, perché quella disputa moralmente ambigua è giustamente ricordata come una piccola parte di un dramma molto più grande."

Il punto di vista di Kagan è stato ampiamente, seppur implicitamente accettato negli ambienti decisionali e nelle dichiarazioni ufficiali: l’attribuzione di responsabilità per la guerra dell’agosto 2008 si è ampiamente basata su nozioni prestabilite relative alle parti, piuttosto che sulle relazioni dettagliate e sfumate delle missioni di fact-finding sponsorizzate dall’UE. Se siamo d’accordo con Kagan, questo è corretto, e non era necessaria nessuna missione di accertamento dei fatti. Questa visione può essere attribuita alla geopolitica sottile, che, come argomentato nel libro di Toal, si basa sulla dicotomia morale: "Impero contro libertà, democrazia contro autoritarismo, Russia contro occidente". Mentre facilitano la creazione di narrazioni coerenti, tali semplificazioni plasmano largamente l’opinione pubblica, la conversazione principale sugli sviluppi nello spazio post-sovietico, comprese questioni tanto diverse quanto il conflitto in Ucraina orientale o la contestazione politica in Moldova.

Ma cosa succede se, invece, crediamo che i dettagli contino, che dovremmo riconoscere la "disordinata eterogeneità del mondo", che "le condizioni locali contano, che l’agire è raramente singolare, che il potere è esercitato geograficamente" (alcuni degli attributi di geopolitica spessa)? L’immagine risultante sarebbe probabilmente inaccettabilmente complessa per le inquadrature dei media tradizionali. In particolare, in un contesto come quello dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale, dove è difficile immaginare grandi scambi e accordi di pace globali, la complessità e i dettagli sono assolutamente necessari per sviluppare un approccio basato sui diritti umani per migliorare la vita delle persone, vita che è stata distrutta dal conflitto. Ridurre l’impatto delle frontiere de facto, facilitando il transito di merci e persone, sarebbe certamente un passo importante nella giusta direzione.

Regolamentare il commercio

Dopo il conflitto all’inizio degli anni ’90, l’Ossezia del Sud è stata a lungo un luogo di transito e le aree controllate dalle autorità de facto a Tskhinvali erano facilmente accessibili. La situazione è cambiata bruscamente dopo il 2008, quando le nuove politiche e la recinzione fisica del confine hanno reso l’Ossezia del Sud in gran parte inaccessibile dalla Georgia, fatta eccezione per alcuni residenti. Come evidenziato in un recente rapporto del Crisis Group , tuttavia, la frontiera non è effettivamente sigillata e lungo la linea di demarcazione si è svolto un significativo commercio. Infatti, a partire da gennaio 2018 , le autorità dell’Ossezia del Sud hanno introdotto una legislazione che consente l’importazione dalla Georgia e hanno iniziato a raccogliere dazi doganali. L’apertura di un corridoio di transito attraverso l’Ossezia del Sud è ora una concreta possibilità, discussa da tutte le parti coinvolte, e alcuni aspetti tecnici sono già stati risolti (sia la Russia che la Georgia hanno firmato un contratto con la società svizzera SGS per monitorare gli scambi sulla rotta).

Nel caso dell’Abkhazia, come descritto in dettaglio in una serie di report , il commercio attraverso l’Inguri è continuato in questi anni, anche se non è mai stato formalizzato. È giunto il momento di regolarlo .

Regolamentare il commercio attraverso parti in conflitto svolgerà solo un ruolo limitato nel processo di peace-building , ma ha esternalità positive fondamentali. In primo luogo, migliorerà probabilmente il sostentamento delle persone che vivono attraverso la divisione del conflitto, potenzialmente riducendo la corruzione e facilitando il transito formale attraverso il confine de facto non solo per i beni, ma anche per le persone (almeno per le visite a breve termine). In secondo luogo, spinge tutte le parti a riconoscere e discutere gli atti normativi in ​​Abkhazia e Ossezia del Sud che, anche se la loro attuazione è spesso disomogenea, hanno un impatto sulla vita dei residenti. Ben oltre il commercio, questo è fondamentale per sostenere gli sforzi volti a proteggere e promuovere i diritti umani negli stati de facto, e non dovrebbe essere respinto sulla base del fatto che gli attori internazionali "non riconoscono il quadro costituzionale e giuridico" degli stati de facto (un fraseggio utilizzato nelle dichiarazioni UE , ad esempio in occasione delle elezioni in questi territori). In questo contesto, vale la pena sottolineare che il riferimento al quadro giuridico dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale, anche da parte dei funzionari statali, non implica il riconoscimento. Infatti, dato che l’intento è una componente cruciale del riconoscimento internazionale, i timori di riconoscere inavvertitamente uno stato de facto sono infondati: il riconoscimento accidentale è impossibile sia nella teoria che nella pratica.

Il dialogo sui diritti umani può essere molto pragmatico

La regolamentazione commerciale non è tuttavia l’unico settore che richiede un impegno pragmatico. Come ho già sostenuto nel caso della Transnistria, report indipendenti e approfonditi sui diritti umani comprendono un dettagliato elenco di aspetti che possono essere affrontati pragmaticamente e possono fungere da base per un impegno e una cooperazione rafforzati da parte dell’Unione europea e di altri attori con questi territori. Un autorevole report sui diritti umani in Abkhazia è stato pubblicato nel 2017 e dovrebbe servire come punto di partenza per affrontare alcuni problemi urgenti, tra cui – ma non solo – questioni come la libertà di movimento e la lingua di istruzione, che possono essere affrontati in gran parte anche senza un accordo di pace più ampio. Data l’importanza dell’assistenza della Russia, vi è poco spazio per clausole di condizionalità , ma rimangono molte occasioni per maggior interazione e cooperazione.

La velocità dei drammatici eventi dell’agosto 2008 ha lasciato poco spazio alle sfumature, spingendo molti a interpretare ciò che stava accadendo attraverso la lente di nozioni preconcette delle motivazioni e degli obiettivi degli attori coinvolti. Dieci anni dopo quella guerra, abbracciare la complessità, riconoscere l’agire locale e lavorare a soluzioni pragmatiche e umane è la via da seguire per la pace e il benessere nel Caucaso meridionale e altrove nello spazio post-sovietico.

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