Germania-Balcani: lavoro, non asilo

Nel 2015 la Germania ha adottato un regolamento sui Balcani occidentali grazie al quale un cittadino proveniente da quest’area geografica può, a certe condizioni, ottenere un posto di lavoro. Una politica che ha ridotto le richieste di asilo e cambiato la vita a migliaia di cittadini balcanici

23/08/2018, Mehdi Sejdiu -

Germania-Balcani-lavoro-non-asilo

Illustrazione di Kosovo 2.0

(Pubblicato originariamente da Kosovo 2.0 il 17 agosto 2018)

Nel maggio del 2015 me ne stavo in una stanza piena di richiedenti asilo, insieme ad alcuni funzionari tedeschi, in un centro di asilo in Germania.

Stavo facendo volontariato come interprete albanese/tedesco per un centro richiedenti asilo che si stava occupando di un gran numero di richieste, presentate da cittadini kosovari e albanesi. “Digli che non hanno la minima possibilità di ottenere asilo qui”, mi diceva il funzionario tedesco. “Noi vogliamo provarci comunque”, ribattevano i richiedenti.

Mentre spiegavo al funzionario le preoccupazioni di queste persone, venute in Germania per lavorare e non per starsene sedute in un centro richiedenti asilo, uno di loro sbottò: “Non voglio asilo, voglio lavorare! Traducilo!”

Quell’anno, Kosovo e Albania sono stati tra i paesi con il maggior numero di richiedenti asilo in Germania, paragonabili ai paesi in guerra del Medio Oriente. L’Albania si è classificata subito dopo la Siria, seguita dal Kosovo, lasciando in quel momento Iraq e Afghanistan dietro, in termini di numero dei richiedenti.

L’aumento dei richiedenti asilo è dovuto a vari fattori, tra cui disoccupazione e mancanza di prospettive nei Balcani e una grande disinformazione da parte dei trafficanti di esseri umani sul fatto che gli albanesi abbiano possibilità di lavorare in Germania e sul fatto che il sistema di richiesta di asilo offra sussidi mensili più alti rispetto agli stipendi percepiti in Kosovo e Albania.

Distinzione tra rifugiati in fuga dalla guerra e migranti in fuga da gravi situazioni socio-economiche

Molti cittadini dei Balcani hanno dovuto affrontare una mancanza di prospettive nei loro paesi d’origine e allo stesso tempo l’assenza di canali migratori legali verso i paesi occidentali. Queste persone, in particolare provenienti da Kosovo e Albania, hanno tentato l’unica strategia “possibile” di migrazione, ovvero quella illegale, attraverso il canale dell’asilo. Per quanto preoccupante, l’ondata di richiedenti asilo in Germania, provenienti dai Balcani, non ha di per sé innescato né un ampio dibattito pubblico né una situazione di emergenza.

Tuttavia, nell’agosto del 2015, l’incremento degli arrivi dei migranti in Europa e la decisione della Germania di aprire i confini alle persone colpite dalle guerre del Medio Oriente, rese urgente la necessità di trovare delle soluzioni per i richiedenti asilo provenienti dai Balcani.

La situazione rifugiati relativa ai siriani, se comparata con quella dei richiedenti asilo provenienti dai Balcani, è stata per le autorità tedesche come passare dalla pentola alla brace.

Questa situazione, in cui la Germania stava accogliendo i rifugiati di guerra, rese le richieste di asilo da parte di cittadini dei Balcani non più prioritarie, in quanto provenienti da paesi relativamente sicuri. Anzi, tali richieste risultavano piuttosto un onere per l’amministrazione dell’asilo, occupata a gestire i rifugiati e i migranti in arrivo dal Medio Oriente.

Così in Germania erano presenti sia rifugiati che migranti economici. Questa situazione spinse il governo tedesco a fare una distinzione tra rifugiati in fuga dalla guerra e migranti in fuga da gravi situazioni socio-economiche. Il livello di gravità della situazione socio-economica del paese d’origine del migrante non era un motivo valido per ottenere asilo.

Tuttavia, questo non cambiò il fatto che i richiedenti asilo non vedevano un futuro nei loro paesi e che anche dopo essere stati rimpatriati avrebbero comunque provato a migrare nuovamente in un altro paese europeo.

I Balcani: una regione sicura senza prospettive

Nell’autunno del 2015, i partiti politici tedeschi concordarono sul definire i paesi balcanici come ‘paesi sicuri’, il che avrebbe accelerato il processo di richiesta di asilo per i cittadini provenienti da quest’area. Con la nuova regolamentazione, le domande di asilo dei cittadini dei Balcani sarebbero state esaminate con procedura rapida, avrebbero ricevuto un sussidio inferiore da parte dello Stato e, in caso di rigetto della richiesta di asilo, che si verifica nella maggior parte dei casi, i richiedenti non sarebbero più stati autorizzati a rientrare nell’Unione Europea per svariati anni.

Nello stesso periodo, nell’ottobre del 2015, la politica tedesca si accordò per migliorare le opportunità di lavoro legale per i cittadini dei paesi balcanici, con la cosiddetta Westbalkanregelung (Regolamento dei Balcani Occidentali). Secondo questo regolamento un cittadino proveniente dai Balcani può ottenere un contratto da un’azienda tedesca a condizione che nessun cittadino tedesco o dell’Unione Europea abbia fatto domanda per lo stesso posto di lavoro. In questo modo, le persone in cerca di lavoro provenienti da un paese dell’UE non sarebbero state danneggiate e, allo stesso tempo, le aziende tedesche che si fossero trovate in carenza di manodopera non qualificata potevano rivolgersi ai cittadini balcanici.

Il Regolamento dei Balcani Occidentali ha rappresentato un’innovazione nella politica di asilo, in quanto ha aperto il mercato del lavoro ai lavoratori non qualificati, ai quali non veniva richiesto nessun tipo di requisito in materia di qualifiche o di conoscenze linguistiche. Esistevano già modi legali per migrare in Germania, ma solamente per lavoratori qualificati, che erano idonei per ottenere la carta blu UE. Tuttavia la maggior parte dei richiedenti asilo dei Balcani erano persone che possedevano soltanto un’educazione primaria o secondaria, quindi in tal senso l’apertura di un mercato rivolto ai lavoratori non qualificati si è rivelato cruciale. Ed è stato così anche per alcuni settori commerciali del business tedesco, nei quali le aziende faticavano a trovare lavoratori.

Tra la fine del 2015 e settembre 2017, la nuova regolamentazione ha visto assegnati 101.000 contratti di lavoro a candidati provenienti dai Balcani, di cui il 37% (37,241) a lavoratori kosovari. La maggior parte di questi contratti riguardavano il campo dell’edilizia, dei servizi sanitari e della gastronomia.

Molti richiedenti asilo sono entrati a far parte della forza lavoro tedesca

Il cosiddetto problema dell’asilo riguardante i Balcani – nel 2015 si è ad esempio assistito a più di 33.000 domande di asilo da parte di kosovari in Germania – ha spinto il governo tedesco a ripensare da una parte alla politica di asilo e dall’altra alla politica in materia di immigrazione per persone non in possesso di istruzione universitaria e in cerca di lavoro. Con l’apertura del mercato del lavoro alla fine del 2015, molti richiedenti asilo sono entrati a far parte della forza lavoro tedesca. In questo modo l’anno scorso si è verificata ad esempio una riduzione di almeno 1.300 di prime domande di asilo da parte di cittadini kosovari in Germania.

Ciononostante, altre migliaia di persone in cerca di lavoro continuano ad attendere in fila per ottenere un visto presso le ambasciate tedesche negli stati balcanici. A Pristina, a causa delle limitate capacità dell’ambasciata di soddisfare l’enorme numero di richieste che vengono fatte dai cittadini kosovari, il tempo medio di attesa per un visto lavorativo è di oltre 12 mesi. Questa attesa è spesso troppo lunga per i datori di lavoro che quindi decidono, frequentemente, di ritirare le loro offerte di lavoro.

A questo proposito la coalizione al governo in Germania sta già discutendo nuove forme di possibilità migratorie.

Il ministro della Sanità tedesco Jens Spahn ha dichiarato che sta cercando di colmare la necessità di operatori sanitari, per rimediare ad una carenza nazionale, attraverso l’assunzione di personale proveniente dai Balcani, in particolare da Kosovo e Albania, in quanto, secondo il ministro, in questi due paesi sono presenti molti professionisti qualificati che potrebbero potenzialmente lavorare in Germania.

Nel frattempo, il ministro del Lavoro tedesco Hubertus Heil, ha proposto la concessione ai migranti di un visto di sei mesi per la ricerca di un impiego, eliminando in questo modo sia il problema burocratico dei contratti di lavoro, che il problema dell’attesa, il quale persiste con il Regolamento dei Balcani Occidentali. Attraverso quest’ultimo infatti, una persona disoccupata deve contattare un’azienda dal Kosovo in Germania, e qualora gli venisse rilasciato un contratto dovrebbe comunque chiedere all’azienda di aspettare più di un anno, attesa media necessaria per ottenere un visto.

Entro la fine di quest’anno, la coalizione di governo dovrebbe approvare una legge sull’immigrazione la quale dovrebbe facilitare la migrazione della forza lavoro verso la Germania, per alcuni tipi di impiego. Sicuramente una legge di questo tipo avrà un impatto diretto sui Balcani, in particolare sul Kosovo, dove più del 50% dei giovani sono disoccupati e dove la migrazione è considerata la forma più semplice di sopravvivenza economica e di mobilità sociale.

Sebbene il 2015 sia stato un anno triste per il Kosovo, dove intere famiglie si spostavano illegalmente verso l’Europa Occidentale, questa migrazione ha messo in evidenza la disuguaglianza esistente tra i Balcani e l’Europa occidentale. Secondo Branko Milanović, studioso di disuguaglianza reddituale, "il tempo di volo tra Vienna e Belgrado è di circa un’ora, ma il divario reddituale tra le due città è probabilmente 4 a 1. Questo corrisponde alla perdita di un 30% del proprio reddito ogni 15 minuti".

Oltre alla disuguaglianza in campo, il 2015 ha inoltre dimostrato come i cittadini dei Balcani non abbiano quasi nessuna possibilità di migrare legalmente per lavoro nella parte ricca del continente europeo.

La politica che ha permesso un’apertura parziale del mercato del lavoro tedesco ha cambiato la vita di centinaia di migliaia di cittadini balcanici, trasformando delle persone che utilizzavano risorse pubbliche in contribuenti, in quanto ha dato loro quello che stavano cercando da tempo: lavoro, non asilo.

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