Difendiamo i fiumi dei Balcani

Nei Balcani si prevede che costruiscano 2.800 centrali idroelettriche, perlopiù di piccole dimensioni ma di impatto devastante per l’ambiente fluviale. A difesa di questi corsi d’acqua è sorto un collettivo di attivisti e un annuale Balkan Rivers Tour

25/10/2018, Giovanni Vale - Zagabria

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Manifestazione a Lubiana (foto © Katja Jemec - per gentile concessione di Balkan River Defence)

Un mese di viaggio, pagaiando lungo i fiumi dei Balcani dall’Albania alla Slovenia, al fine di proteggere il futuro dei corsi d’acqua sotto attacco. È questo il “Balkan Rivers Tour ”, che si è svolto dal 7 settembre all’8 ottobre, nella sua terza edizione organizzata da un gruppo di attivisti sloveni e con il coinvolgimento di tante associazioni e gruppi di cittadini in diverse località della penisola balcanica.

“Siamo partiti dalla valle della Vjosa nel sud dell’Albania e siamo risaliti fino in Slovenia passando per la Macedonia, il Montenegro, la Bosnia Erzegovina e la Croazia”, racconta Katarina Mulec, una delle volontarie del collettivo “Balkan River Defence ”, all’origine dell’iniziativa. Dopo 36 giorni di viaggio, gli organizzatori sloveni hanno riassunto l’esperienza con qualche simpatico dato chiave: “5.025 km percorsi, 15 azioni organizzate, 1.315 uova consumate, 2 managers di centrali idroelettriche costretti ad uscire dai loro uffici per incontrare i manifestanti, 422 burek mangiati…”.

Remare contro le centrali elettriche

Di che cosa si tratta? La minaccia che pende sui fiumi dei Balcani (e non solo) è al tempo stesso molto grande e poco nota. Nella regione, è prevista la costruzione di circa 2.800 centrali idroelettriche, per la stragrande maggioranza di piccole dimensioni (con capacità spesso inferiore a 1 MW), ma comunque in grado di avere un impatto devastante su quasi tutti i corsi d’acqua dell’area, che oggi scorrono per 35mila km, a volte senza incontrare l’intervento dell’uomo. Ruscelli prosciugati, torrenti deviati, zone inondate… il paesaggio rurale dei Balcani rischia di cambiare notevolmente.

Da questa constatazione è nato dunque il progetto dei Balkan Rivers Tour. L’ideatore, Rok Rozman, è un campione olimpionico di canottaggio, con alle spalle una lunga storia d’amore per i fiumi del suo paese (Rozman ha raccontato il suo background e le sue motivazioni in questo TEDx Talk tenutosi a Lubiana – sottotitoli in inglese). Di fronte all’ipotesi di vedere tutti i fiumi della sua regione tagliuzzati da dighe o costretti in canali di cemento, Rok Rozman si è trasformato in un attivista: “Voglio dimostrare che proteggere la natura può davvero essere Rock’n’Roll”, ha dichiarato.

Ecco che nel 2016 è partito il primo tour, con 33 giorni di kayaking attraverso sei paesi e su una ventina di fiumi diversi e con 2mila persone coinvolte nelle manifestazioni organizzate. Un anno dopo, il programma cambia leggermente: si rema soltanto su due fiumi, ma lo si fa dalla sorgente alla foce. La durata del viaggio rimane pressoché invariata, con un totale di 30 giorni in barca. “Quest’anno, siamo partiti da Lubiana in dieci e lungo il percorso altre 25–30 persone si sono unite per pagaiare con noi!”, riporta Katarina Mulec.

In kayak sul fiume Tara (ME) foto di Katja Jemec, per gentile concessione di Balkan River Defence

In kayak sul fiume Tara (ME) foto di Katja Jemec, per gentile concessione di Balkan River Defence

Il vertice dei fiumi europei a Sarajevo

L’iniziativa dei giovani sloveni, che da tre anni scendono i fiumi dei Balcani, potrebbe sembrare aneddotica, se non fosse che ci sono molti altri segnali del crescente interesse per la situazione dei corsi d’acqua nel Sud Est europeo. Lo scorso 27 settembre, ad esempio, si è tenuto a Sarajevo il primo European Rivers Summit, un vertice organizzato da diverse organizzazioni ecologiste (tra cui Riverwatch, Bankwatch, WWF, Wetlands e Euronatur) e incentrato proprio sulla questione dei fiumi, delle dighe e delle centrali idroelettriche.

“Si tratta di un problema comune a molti paesi, non soltanto nei Balcani. A Sarajevo sono arrivati partecipanti provenienti da oltre 30 paesi”, spiega Ulrich Eichelmann, a capo dell’associazione austriaca Riverwatch . “Il fatto è che in quasi tutti i paesi europei esistono dei sussidi alle energie rinnovabili e all’interno di questi, la lobby dell’idroelettrico è riuscita a farsi spazio, vivendo oggi un vero boom delle centrali”, prosegue Eichelmann. Finanziati dai cittadini attraverso le bollette della luce, migliaia di progetti idroelettrici stanno così spuntando in tutta Europa.

“Nei Balcani, la situazione è ancora più grave perché la società civile è generalmente più debole e la corruzione è più elevata”, aggiunge Eichelmann, che nota comunque come “in Albania, in Serbia, in Bosnia Erzegovina”, la popolazione si stia “ribellando contro i tantissimi progetti di centrali idroelettriche”. “Fermare i cantieri richiede però un grande e costante sforzo, mentre l’unico modo per interrompere definitivamente questo circolo vizioso sarebbe quello di escludere l’idroelettrico dai sussidi per le energie rinnovabili, che dovrebbero concentrarsi su eolico e solare”, conclude il direttore di Riverwatch.

Il cuore blu dell’Europa batte nei Balcani”

Sul sito balkanrivers.net (gestito da Euronatur e Riverwatch assieme ad altri partner locali), è visibile la cartina che mostra le circa 2.800 centrali idroelettriche la cui costruzione è prevista nei prossimi anni nei Balcani. In Serbia, si contano 200 progetti soltanto nelle aree protette (e 800 in totale); in Albania, è uno degli ultimi fiumi selvaggi d’Europa – la Vjosa – ad essere in pericolo; la piccola Macedonia potrebbe a breve dotarsi di 150 dighe… e l’elenco è ancora più lungo, minacciando delle aree dove – secondo Riverwatch – scorrono “i migliori fiumi europei” (poiché per l’80% ancora “in buone o ottime condizioni”).

Finanziate in alcuni casi anche dalle banche multilaterali europee (come la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e la Banca europea per gli investimenti, che hanno fornito assieme oltre 500 milioni di euro), le micro centrali idroelettriche sono degli investimenti molto redditizi. “Grazie ai sussidi, il guadagno generato sale dai 3,5 centesimi di euro per Kwh prodotto ai 6–7 centesimi, persino 10 cent in alcuni casi”, analizza Ulrich Eichelmann. Non sorprende dunque che a fronte di spese relativamente piccole (“anche soltanto 10 milioni di euro per una piccola struttura”), i progetti di questo tipo si stiano moltiplicando.

In Bosnia, persino l’ex giocatore di Basket NBA Mirza Teletović si è lanciato nel business. “Due cause legali sono state presentate contro di lui per la centrale che vuole costruire a Jablanica”, racconta Jelena Ivanić del Centro per l’Ambiente (rete Friends of Earth) di Banja Luka. Ma nonostante il cantiere sia ufficialmente bloccato in attesa del verdetto, i lavori sono ripresi (qualche giorno fa una nuova manifestazione ha tentato di bloccare i costruttori). Un altro celebre sit-in in Bosnia è nato a Kruščica e prima ancora a Fojnica, dove – precisa Ivanić – “la popolazione locale è riuscita a far cancellare il progetto”. Pian piano, infatti, gli abitanti si stanno organizzando. Per lo stupore degli investitori, malgrado le divisioni nel paese, è nata anche una coalizione bosniaca per la protezione dei fiumi .

The Undamaged, il film

I kayak colorati del Balkan Rivers Tour hanno fatto tappa in ognuna di queste località, dove gruppi di cittadini si sono mobilitati contro ruspe e scavatori. Dagli incontri e dalle proteste organizzate assieme ne è nato un film: “The Undamaged ”, letteralmente “intatto”, ma la parola contiene anche il termine “dam”, appunto “diga”. Il documentario, di 45 minuti circa, ripercorre l’iniziativa di Rok Rozman e il percorso seguito due anni fa durante il primo tour. “Siamo partiti con l’idea di fare un breve video del viaggio, ma poi abbiamo trovato così tante storie locali, che il kayak è passato in secondo piano”, racconta Matic Oblak, tra i principali realizzatori del film.

In Albania, gli sloveni incontrano Olsi Nika e la sua Ong Eco Albania, impegnata a fermare lo tsunami idroelettrico voluto da Edi Rama: 550 nuove centrali, di cui 130 già completate e una trentina in costruzione. In Serbia, il viaggio passa anche per Stara Planina, un parco naturale dove sono in programma 60 dighe. Ma oggi, circa 80mila persone seguono sui social networks i gruppi dedicati alla protezione dei fiumi serbi e delle proteste sono organizzate con regolarità (l’ultima il 2 settembre, fa sapere Aleksandar Panić, tra gli organizzatori). “Se lasciamo che si prendano anche l’acqua, non rimarrà più nulla per i nostri figli”, afferma Dušica Jovanović, un’altra attivista.

Quest’anno, la terza edizione del tour in kayak aveva come scopo anche quello di mostrare alle comunità locali il film realizzato grazie al loro contributo. “A partire da quest’inverno il film sarà presentato a diversi festival, poi in primavera si andrà al cinema e entro fine 2019 in televisione”, anticipa Matic Oblak. Per chi volesse saperne di più, l’appuntamento è sul sito di Balkan River Defence dove a breve comparirà un calendario indicando i festival nei quali il film sarà proiettato. L’estate prossima, poi, si terrà un nuovo tour in kayak e tutti, sportivi o meno, sono invitati a partecipare.

 

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