Srbenka, il documentario che racconta la xenofobia

È uno dei migliori documentari dell’anno, premiato a Cannes e al Film Festival di Sarajevo. Intervista con Nebojša Slijepčević, autore di Srbenka. Riceviamo e volentieri pubblichiamo 

08/11/2018, Tatjana Đorđević -

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Locandina del film

(Originariamente pubblicato da Frontierenews , il 4 novembre 2018)

"Una volta ho chiesto a mia madre: mamma, sono srbenka? All’epoca, non sapevo esattamente come si dicesse “serba”. Ho iniziato a piangere, perché fino all’età di sette anni pensavo di essere croata", inizia cosi la storia di Nina, la protagonista del documentario Srbenka, che ha ottenuto questo titolo proprio grazie all'[]e ortografico di Nina.

Premiato come il miglior documentario al Festival di Cannes, il film segue le prove dello spettacolo teatrale "Aleksandra Zec", diretto dal famoso e discusso regista croato Oliver Frljić, che intendeva esaminare il passato e l’omicidio della dodicenne Aleksandra di etnia serba (interpretata a teatro da Nina), uccisa insieme ai suoi genitori, nel dicembre del’91. Gli autori di questo crimine oggi sono ancora persone libere. Quando lo spettacolo andò in scena nel 2014 a Fiume, fu condannato pubblicamente da molti media, dalle associazioni dei veterani di guerra e da molti politici.

Il regista Nebojša Slijepčević conobbe Nina durante le prove dello spettacolo di Frljić. In quell’occasione la ragazza per caso gli rivelò come avesse scoperto di essere serba. Così nacque l’idea per il documentario Srbenka, che racconta la triste realtà della società croata.

Questo documentario descrive solo la posizione della minoranza serba in Croazia oppure si papplicare a tutte le minoranze che oggi si sentono a disagio in Europa?

Non è facile generalizzare. La tendenza della crescita d’intolleranza in Europa è evidente e certamente le minoranze la sentono di più. Il documentario Srbenka parla di tutte le minoranze, non solo quelle nazionali, ma anche quelle sessuali o politiche.

Mentre il registra Frljić riesamina il passato, lei racconta il presente e la situazione attuale nella società croata?

Sì, esatto. Non ho mai pensato di fare un film che raccontasse il passato, però noi dei Balcani non possiamo fuggire da quello che c’è stato qui. Anche quando fai un film che racconta il presente, allo stesso tempo parli del passato. Purtroppo, il passato influenza le nostre vite e viene usato per manipolare le persone. Sebbene siano passati venti anni dalla guerra, il ricordo è ancora fresco. In certi ambienti c’è interesse affinché le ferite non guariscano e che i traumi rimangano ancora aperti.

Di chi è la colpa di questa situazione dove la xenofobia e l’intolleranza sono così evidenti nella società croata?

È colpa dei politici. In Croazia il governo del partito di centrodestra HDZ (Unione democratica croata) ha impoverito il paese e con la sua incompetenza cerca di far emergere nemici fittizi, esterni ed interni. È possibile indicare il momento preciso in cui l’estremismo è cresciuto all’improvviso. E’ accaduto quando la Croazia è entrata nell’Unione europea e quando l’HDZ ha smesso d’interpretare il ruolo di partito pro-europeo.

Dall’altra parte, il partito di sinistra SDP (Partito Socialdemocratico di Croazia) non fornisce risposte a domande importanti. A causa della sua incompetenza. Questo apre le porte a movimenti populisti che molto spesso per mobilitare i loro seguaci usano il linguaggio d’odio. Poi, c’è la Chiesa che fa la sua parte. Non è raro sentire i preti dall’altare che diffondono messaggi d’intolleranza oppure riabilitano i criminali di guerra. In Croazia al momento ci sono diversi movimenti conservatori che cercano di ridurre i diritti delle donne e delle minoranze nazionali attraverso i referendum.

Insieme a Nina, nel documentario ci sono altri protagonisti che parlano delle loro esperienze nella Croazia del dopoguerra. A volte sembra che la guerra non sia mai finita. A chi conviene questa situazione?

A molti. La guerra è una grande vetrina per il futuro, e questo è esattamente quello che si è visto in Croazia. Parallelamente alla guerra, è avvenuta la privatizzazione, di cui ancora oggi sentiamo le conseguenze. Stimolare la paura e l’odio è un modo perfetto per sviare l’attenzione dai problemi reali e dai veri colpevoli. Inoltre, anche dalla Serbia arrivano messaggi radicali che mirano a provocare ostilità. L’estremismo si nutre con l’estremismo. In questo momento alcuni media stanno cercando di usare il mio film per diffondere odio. A loro la verità non interessa.

Il suo documentario svela la situazione vera nella società croata, mentre nello stesso tempo si parla della democrazia, della riconciliazione e della tolleranza. Pensa che il suo film potrà contribuire ad una situazione migliore?

Penso che la pace e la tolleranza non siano valori garantiti, per essi si deve combattere sempre. Un film non può cambiare il mondo o fare i miracoli, ma penso che ogni contributo a questa lotta sia importante.

Il documentario Srbenka ha vinto il premio Doc Alliance al Film Festival di Cannes, il premio per il miglior documentario al Sarajevo Film festival, mentre l’Accademia Europea del Cinema l’ha inserito tra i migliori quindici documentari europei del 2018. Si aspettava questo successo?

Mentre giravamo il film, ho pensato solamente al pubblico locale. Già l’anno scorso quando abbiamo proiettato la versione incompleta del film al Sarajevo Film Festival, ho capito che mi ero sbagliato. Le reazioni degli spettatori stranieri sono state molto emozionanti. Tra le varie spiegazioni che mi sono state date, quella che mi è piaciuta di più è che gli spettatori stranieri nel film riconoscono la stessa situazione nei loro paesi.

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