Nagorno Karabakh: più vicini al fronte, più a favore della pace
Chi ha vissuto in prima persona la situazione in Nagorno Karabakh ed è stato più colpito dalle ostilità è più a favore di un processo di riconciliazione. Lo si afferma in un report di International Alert
(Pubblicato originariamente da OC Media il 18 ottobre 2018)
“Inquadrando la pace” è il primo studio su ampia scala in merito alle attitudini rispetto al conflitto in Nagorno Karabakh dalla recrudescenza delle ostilità avvenute nell’aprile 2016 nella cosiddetta “Guerra dei 4 giorni”.
Lo studio ha esaminato le visioni “dal basso” in merito al Nagorno Karabakh di chi vi vive e tra le comunità residenti invece in Azerbaijan e Armenia. Tra le persone prese in considerazione anche sfollati interni e coloro i quali abitano vicino alla linea del fronte.
Dallo studio è emerso che tra coloro i quali hanno vissuto direttamente le conseguenza degli scontri armati – le comunità che vivono nei pressi del fronte e della linea del cessate il fuoco e chi è stato coinvolto direttamente nel conflitto – vi è maggior sostegno ad una riconciliazione con “l’altro”.
“Sono persone che capiscono l’importanza del risolvere questo conflitto e che possono adottare passi concreti a favore delle iniziative di costruzione della pace”, sottolinea Carey Cavanaugh, a capo del consiglio direttivo di International Alert, ed ex co-coordinatore del Gruppo di Minsk dell’OSCE.
Il Gruppo di Minsk dell’OSCE, guidato da Russia, Francia e Stati Uniti ha operato da mediatore sul conflitto in Nagorno-Karabakh sin dal 1992. “Più le persone vivono lontane dal fronte più parlano di patriottismo”, si afferma nel report.
Incapaci di risolvere il conflitto
Nel report si sottolinea che le comunità hanno dovuto adattarsi alla lunga durata delle ostilità. “Non ho nemmeno provato a pensare cosa sarebbe la mia vita senza il conflitto”, dice una delle persone intervistate per realizzare lo studio.
Questa sorta di adattamento e di “consapevolezza di impossibilità” – poca fiducia nel aver controllo su ciò che ci sta attorno, sulla propria vita, sul futuro – potrebbe, secondo gli estensori del rapporto, avere un’influenza negativa sulle iniziative di peacebuilding.
Le persone intervistate, sia in Nagorno Karabakh che in Armenia e Azerbaijan, hanno tutte espresso un senso di impotenza nel risolvere il conflitto. Questo – si suggerisce nel rapporto – assieme ad una scarsa fiducia nei confronti di soggetti esterni di peacebuilding come il Gruppo di Minsk, gli Stati Uniti e la Russia, pone ulteriori sfide ai negoziatori ed ai policymaker.
Il protrarsi del conflitto, secondo lo studio, è stato accompagnato da una “propaganda del nemico” in particolare condotta dalle istituzioni e dai media dell’Azerbaijan.
Lo studio inoltre sottolinea anche le diverse attitudini di azerbaigiani e armeni in merito ai molti anni dello stallo “nessuna pace, nessuna guerra”. Chi abita in Nagorno Karabakh e in Armenia identifica l’attuale status quo con la “stabilità” mentre per i cittadini dell’Azerbaijan evoca piuttosto un senso di “giustizia” identificato con la “restituzione dei territori”.
International Alert ha fatto appello per un maggior sostegno ad iniziative che potrebbero aiutare le tre società a superare questa tendenza a svalutare la vita umana e per indagare meglio sulle vite di chi abita nelle aree di confine.
International Alert ha inoltre sottolineato che continua l’esclusione dei rifugiati, in tutte e tre le società, dal dibattito relativo al conflitto. “È necessario rifocalizzarsi sulle persone che si sono portate sulle spalle il grave peso della guerra, sui loro sentimenti, sui loro pensieri, paure e speranze. Le storie personali devono essere chiaramente viste e soppesate. Solo allora sarà possibile apprezzare il valore di una persona e la sua attività”, si scrive nel rapporto.
L’ente di ricerca suggerisce che si avviino progetti giornalistici per sottolineare le storie personali.
Si sottolinea inoltre la necessità di aumentare la consapevolezza degli appartenenti alle varie comunità dei costi personali legati al conflitto, sia in termini umanitari che economici. “Se la gente si rende conto che ogni singolo individuo ed ogni famiglia sta pagando per il conflitto in atto, questo potrebbe aiutare ad alterarne le dinamiche”, si scrive.
International Alert inoltre raccomanda che venga evidenziato come il conflitto aumenti le ineguaglianze sociali, un problema sentito in modo comune da chi è stato interpellato in tutte le comunità.
“Lo status quo non è più a vantaggio dell’Armenia”
Lunedì 15 ottobre, l’ambasciatore americano in Armenia uscente, Richard Mills, ha affermato che il conflitto in Nagorno Karabakh e il conseguente embargo da parte di Azerbaijan e Turchia contribuisce alla diffusione della corruzione in Armenia. “Lo status quo non va più a vantaggio dell’Armenia […] Non che qui la corruzione è diffusa perché vivono persone più disoneste che altrove. Il terreno era molto fertile perché avete confini chiusi ed un’economia particolarmente piccola, quindi è facile controllare i mercati”, ha dichiarato in un’intervista a EVN Report.
Nella stessa intervista Mills dichiara di essere stato colpito dalla mancanza di dibattito in Armenia su quali sarebbero delle “accettabili soluzioni di compromesso” per gli armeni ed ha aggiunto che la soluzione del conflitto del Nagorno Kharabakh non può prescindere dalla “restituzioni di parte dei territori occupati” all’Azerbaijan.
Mercoledì 17 ottobre il primo ministro ad interim dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ha brevemente commentato questa dichiarazione dicendo che la posizione armena è nota “e non cambierà”.
La Russia, uno dei paesi protagonisti del Gruppo di Minsk, recentemente ha causato le reazioni delle istituzioni dell’Azerbaijan quando, il 7 ottobre scorso, una sua funzionaria, Svetlana Zhurova, vice-presidente del Comitato affari internazionali della Duma, ha fatto visita al Nagorno Karabakh senza il loro permesso.
Il suo viaggio era parte dell’iniziativa “Donne per la pace” promossa dalla moglie di Pashinyan, Anna Hakobyan.
Zhurova è finita nella lista nera del governo dell’Azerbaijan di chi entra ‘illegalmente’ in Nagorno Karabakh.
Nuovi negoziati
Il Gruppo di Minsk dell’OSCE rimane l’unico format ufficiale per le negoziazioni di pace. Negli ultimi anni non ha portato a grandi novità.
La leadership dell’Azerbaijan continua nell’insistere sul rispetto dell’integrità territoriale del paese e sul fatto che l’Armenia debba ritirare le proprie forze armate dal Nagorno Karabakh e dalle regioni circostanti.
Dal cambio di potere avvenuto in Armenia lo scorso maggio, il nuovo primo ministro Nikol Pashinyan ha insistito sull’includere anche le autorità del Nagorno Karabakh nel processo negoziale come parte in causa, direttamente coinvolta nel conflitto.
L’Azerbaijan ha rifiutato la proposta. Ciononostante in un recente incontro del Gruppo di minsk, tenutosi lo scorso 27 settembre ai margini della 73sima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, diplomatici dell’Armenia e dell’Azerbaijan di alto livello si sono detti d’accordo nel continuare le negoziazioni.
Le speranze in un progresso sono poi state alimentate da un incontro informale tra Pashinyan e il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev avvenuto a Dushanbe lo scorso 28 settembre. L’incontro ha rappresentato la prima interazione tra i due paesi dopo il cambio di potere in Armenia.
Dopo l’incontro entrambi i leader hanno concordato di essersi messi d’accordo sull’apertura di una linea diretta di comunicazione tra loro, attraverso i rispettivi ministri della Difesa, per prevenire incidenti lungo la linea di contatto in Nagorno Karabakh.