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Il governo serbo e il genocidio di Srebrenica
Di recente la premier serba Ana Brnabić ha negato apertamente che a Srebrenica sia stato commesso un genocidio. L’affermazione ha avuto conseguenze regionali ed anche a livello dell’Ue
La dichiarazione della premier serba Ana Brnabić, secondo la quale a Srebrenica non è avvenuto un genocidio bensì un grave crimine, per giorni è stata citata sulle prime pagine dei giornali di tutta la regione, ma anche di quelli internazionali, ed è stata oggetto di commenti e condanna da parte di alcuni politici e organizzazioni non governative. È stata invece accolta con favore dai sostenitori nazionalisti della coalizione di governo, tra i quali sicuramente contribuirà all’aumento della popolarità della premier, ma non porterà alcun beneficio alla società serba. Anzi, danni sembrano già inevitabili.
Le affermazioni pronunciate dalla premier serba, in un’intervista rilasciata alla Deutsche Welle a metà novembre, hanno avuto una forte eco non solo in Serbia, bensì nell’intera regione e nell’Unione europea, e le prime conseguenze si sono fatte sentire già a fine novembre quando il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui si condanna “la negazione del genocidio” di Srebrenica da parte delle autorità di Belgrado. Nella risoluzione, relativa al percorso verso l’Ue della Serbia, si afferma che quest’ultima ha compiuto alcuni progressi nelle riforme economiche ma, al contempo, si sottolinea che è di fondamentale importanza che vengano raggiunti risultati tangibili anche nella riforma del sistema giudiziario, nella lotta alla corruzione e nel migliorare la libertà dei media. A seguito ad un emendamento al testo iniziale nella lista delle mancanze nell’operato delle autorità serbe è stata aggiunta anche la negazione del genocidio di Srebrenica.
Nell’emendamento su Srebrenica, presentato dall’europarlamentare sloveno Igor Šoltes, si afferma che il Parlamento europeo “deplora la continua negazione del genocidio di Srebrenica” da parte delle autorità serbe e ricorda loro che “la piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, e con il suo meccanismo residuale che gli è succeduto, implica anche il pieno riconoscimento e l’attuazione delle loro sentenze e decisioni”. Nell’emendamento si sottolinea inoltre che “il riconoscimento del genocidio di Srebrenica è un passo fondamentale sulla strada della Serbia verso l’UE”.
Così il cambiamento dell’atteggiamento delle autorità serbe nei confronti del genocidio di Srebrenica è formalmente diventato un aspetto importante per l’adesione della Serbia all’UE. E questa non è una buona notizia per il governo serbo che ha posto l’ingresso nell’UE come principale obiettivo della sua politica estera. Non è dato sapere se il presidente serbo Aleksandar Vučić, che è uno dei più accesi sostenitori dell’integrazione europea, abbia parlato con la premier Brnabić in merito alla controversa intervista, ma di sicuro non ha pubblicamente condannato le sue dichiarazioni su Srebrenica, ampiamente riportate dai media mainstream serbi. Inoltre, i principali media serbi hanno completamente ignorato la risoluzione del Parlamento europeo, oppure si sono limitati a citarla brevemente tra le notizie meno importanti.
La negazione del genocidio
L’ossatura dell’attuale coalizione di governo è costituita dai partiti che erano al potere all’epoca del genocidio di Srebrenica, o che sono eredi o stretti alleati dei partiti al governo all’epoca. La loro riluttanza ad accettare le sentenze del Tribunale dell’Aja sul genocidio di Srebrenica non è per nulla sorprendente, ma non ci si aspettava che la premier esplicitamente negasse il genocidio. La Brnabić non ha fatto un’affermazione ambigua bensì, quando il giornalista che la intervistava ha insistito affinché riconoscesse che a Srebrenica è stato compiuto genocidio, ha detto che per la Serbia quanto avvenuto a Srebrenica non è stato un genocidio, negando in tal modo la sentenza del Tribunale dell’Aja.
“La persona responsabile di questo terribile crimine di guerra è stata consegnata all’Aja e la Serbia ha fatto tutto ciò che doveva fare”, ha dichiarato la Brnabić. La risoluzione del Parlamento europeo dimostra tuttavia che molti politici europei ritengono che questo argomento non sia ancora chiuso. Le autorità bosniaco-erzegovesi si aspettano dalla Serbia non solo di riconoscere l’esistenza del genocidio di Srebrenica, ma anche di riconoscere il proprio ruolo nell’incitamento e compimento del genocidio, e questa posizione è sostenuta anche da altri paesi della regione, in primis la Croazia.
In Serbia, e tra la maggior parte dei serbi che vivono in altri paesi della regione, è diffusa la convinzione che tutte le parti coinvolte nelle guerre combattute negli anni Novanta sul territorio dell’ex Jugoslavia abbiano commesso dei crimini e debbano assumersi le proprie responsabilità, senza dare particolare rilevanza solo ad alcuni crimini. Il fatto che il massacro di Srebrenica sia stato definito genocidio mina le fondamenta di questa idea. Le autorità di Belgrado ritengono che sia sufficiente che la Serbia si sia scusata per quanto avvenuto a Srebrenica e considerano ogni altra azione come un’inutile auto-umiliazione che potrebbe arrecare loro danni politici e mettere a repentaglio il futuro della Serbia e del popolo serbo.
Questo atteggiamento si è ulteriormente rafforzato dopo la decisione della Corte d’appello di Sarajevo di assolvere Naser Orić, ex comandante della difesa di Srebrenica, dalle accuse di crimini contro la popolazione civile serba nei dintorni di Srebrenica. La sentenza è stata emessa all’indomani dell’approvazione della risoluzione sulla Serbia da parte del Parlamento europeo, e in Serbia è stata percepita come un’offesa al popolo serbo e un’umiliazione delle vittime serbe, ma anche come l’ennesima prova dell’ingiustizia subita dal popolo serbo, ed è stata fortemente criticata dai più alti funzionari statali, compreso il presidente Vučić.
Lo stato d’animo
È possibile che la premier serba abbia fermamente respinto l’idea della necessità di riconoscere il genocidio di Srebrenica e di confrontarsi criticamente col passato a causa della sua scarsa esperienza politica, ma l’assenza di qualsiasi reazione alle sue dichiarazioni da parte dei rappresentanti del potere riflette lo stato d’animo della coalizione al governo. Le forze nazionaliste alla guida del paese alimentano la convinzione che il popolo serbo sia la maggiore vittima delle guerre degli anni Novanta e che l’idea sulla necessità di confrontarsi criticamente con il passato sia solo un’altra fregatura ideata dai “nemici della Serbia” e dalla comunità internazionale.
Vučić e il suo Partito progressista serbo (SNS) hanno conquistato una parte dell’elettorato con la promessa che avrebbero portato la Serbia nell’Unione europea, per cui le mosse che mettono a repentaglio la prospettiva europea del paese potrebbero portare alla diminuzione del sostegno da parte degli elettori, anche se per Vučić la priorità resta quella di non perdere il sostegno dei nazionalisti. Una netta presa di posizione su Srebrenica, che ci si aspetta dalle autorità di Belgrado (ora anche sotto forma di un documento ufficiale), è ulteriormente ostacolata dal fatto che gran parte dell’élite intellettuale e politica serba, i principali esponenti della coalizione di governo e la Chiesa ortodossa serba sono restii a confrontarsi con il passato. Nel 2010, quando il presidente della Serbia era Boris Tadić, il parlamento serbo ha approvato una risoluzione su Srebrenica in cui però quanto accaduto a Srebrenica non è stato definito come genocidio, bensì come un crimine.
Alcuni partiti di opposizione sono favorevoli al confronto con i crimini compiuti negli anni Novanta e al pieno riconoscimento delle decisioni del Tribunale dell’Aja, ma evitano di esprimersi pubblicamente sul tema. Alla domanda su cosa pensa della dichiarazione della premier, Borko Stefanović, leader della Sinistra serba (LS, partito di opposizione membro dell’Alleanza per la Serbia), ha risposto che anche lui avrebbe detto la stessa cosa. Quindi, un eventuale cambio ai vertici dello stato potrebbe creare i presupposti per il cambiamento dell’atteggiamento nei confronti del genocidio di Srebrenica, ma non sarebbe sufficiente a garantire che ciò accada.
A differenza di molti esponenti dell’opposizione, il settore non governativo non esita a criticare apertamente l’atteggiamento della leadership al potere nei confronti dei crimini commessi negli anni Novanta. “Il fatto che in Serbia le giovani generazioni crescano con una narrazione basata sulla negazione del genocidio è pericoloso a lungo termine”, ha dichiarato al portale Vijesti la direttrice del Comitato di Helsinki per i Diritti Umani in Serbia Sonja Biserko, aggiungendo che da quando l’SNS è salito al potere “la tendenza a negare il genocidio di Srebrenica si è intensificata”.
Stando alle sue parole, questa tendenza negativa ha raggiunto il punto in cui vengono umiliati, oltre alle vittime, tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina. “Penso che l’attuale governo abbia contribuito a umiliare la Serbia a livello internazionale più di chiunque altro, tranne magari il regime dei primi anni Novanta, e che in un certo senso abbia fatto naufragare il tentativo di aprire un dialogo interno su quanto avvenuto nel passato”.