Armenia: il nuovo parlamento
Trionfo per il protagonista della Rivoluzione di velluto alle recenti elezioni politiche in Armenia. La coalizione guidata da Nikol Pashinyan raccoglie il 70% delle preferenze. Unico segnale di debolezza, la bassa affluenza
Con il voto per le parlamentari avvenuto domenica 9 dicembre si conclude con successo la scalata di Nikol Pashinyan al potere in Armenia. Il protagonista assoluto della Rivoluzione di Velluto della primavera scorsa ha conquistato con la coalizione da lui guidata, “Il mio passo”, una ampia maggioranza. Ha infatti ottenuto il 70% delle preferenze, trasformatesi in 88 seggi su 132 nel neoeletto parlamento armeno.
Una legittimazione popolare che ci si aspettava ma che sorprendentemente è un po’ claudicante: mancano più della metà dei votanti all’appello. Queste elezioni registrano il minino storico di affluenza alle politiche, con solo il 49% degli aventi diritto che si sono recati alle urne. Erano stati il 61% lo scorso anno, 62% per il quinquennio elettorale precedente. Può avere inciso la frequenza del calendario elettorale, visto che quest’anno si era votato anche per il presidente, il risultato dato per scontato da molti e la rassegnazione di molti elettori legati al partito di maggioranza uscente, il partito Repubblicano. Erano stati proprio i Repubblicani a lanciare appelli agli elettori perché andassero a votare. Un appello che evidentemente non ha convinto un armeno su due, che – indipendentemente dalle preferenze politiche e nonostante la grande mobilitazione dei mesi scorsi – ha preferito astenersi dall’andare a votare.
1.260.840 voti (su 2.573.579 aventi diritto) hanno dato forma al nuovo parlamento: appunto 88 seggi a “Il mio passo”, alleanza di due partiti e vari esponenti della società civile capeggiata da Nikol Pashinyan, coalizione centrista di ispirazione liberal, tendenzialmente europeista ma non disposta a compromettere i rapporti con la Russia; "Armenia prospera", la creazione dell’oligarca Gagik Tsarukyan, partito di centro-destra, pro-russo, con l’8% delle preferenze cioè 26 seggi; e "Armenia luminosa", partito liberale di centro-destra, europeista e in passato in alleanza con Pashinyan, con il 6% delle preferenze, quindi 18 seggi. La maggioranza di governo decisamente c’è, ed ha i numeri per portare avanti il proprio programma.
Diventa invece forza extra-parlamentare dopo una permanenza ventennale alla guida del paese il Partito repubblicano. Avevamo scritto prima delle elezioni che i repubblicani avevano forse messo a segno una vittoria di Pirro impedendo l’approvazione della riforma della legge elettorale. Si può constatare ora che oltre a essere stata una vittoria di Pirro, si è rivelato un clamoroso autogol: il partito si è fermato al 4,7%. La soglia elettorale della legge non emendata è del 5%, se fosse passata la proposta Pashinyan sarebbe stata il 3%, e oggi il parlamento armeno ospiterebbe cinque forze politiche invece di tre.
Altro partito storico armeno restato senza rappresentanza in parlamento è stato la Federazione rivoluzionaria armena, che ha ottenuto il 3,9% di preferenze e che seppur fra varie vicissitudini è sempre stata presente nei banchi dell’Armenia indipendente.
Politica interna
La sfide più grandi per il governo, dopo una tornata elettorale giudicata dagli osservatori internazionali molto positivamente perché libera e competitiva, sono invertire l’esodo migratorio rilanciando l’economia e consolidare i successi democratici dell’ultima elezione.
La legge finanziaria in corso è quella approvata nel settembre del 2018, e riguarda tutto l’anno solare del 2019. Il tema portante della Finanziaria 2019 era quello di investire in infrastrutture di pubblica utilità che potessero fare da volano alle economie locali e portare servizi primari in aree che ancora versano in grandi criticità riguardo l’accesso alle reti stradale, idrica, elettrica.
L’opinione pubblica attende poi il concretizzarsi di una grande operazione di riqualificazione etica dei funzionari del pubblico impiego. Sia la Rivoluzione di Velluto che le promesse della campagna elettorale hanno mantenuto accesa l’attenzione sulla dilagante corruzione, e sugli abusi che hanno gravato tanto sui portafogli quanto sulla qualità del vivere civile e sulla tutela dei diritti dei cittadini armeni. La capacità di generare un ripristino di una società più giusta, meno dominata dall’arbitrio e meno povera rimane il banco di prova più importante della nuova maggioranza.
Politica estera
Per perseguire questi obiettivi ambiziosi Yerevan ha bisogno di pace e un contesto internazionale favorevole agli scambi e agli investimenti. E sul governo Pashinyan si può puntare con un cauto ottimismo. L’intenzione espressa finora come governo di minoranza è stata quella di mantenere buoni i rapporti con la Russia, di tenere la porta aperta verso l’Unione Europea e ben attive le sinergie con l’Iran. I primi complimenti al primo ministro in pectore sono arrivati dalla vicina Georgia, altro tassello importante nella stabilità dell’Armenia.
Per quanto riguarda la difficile questione del Karabakh, Pashinyan è il primo leader dall’indipendenza armena la cui ascesa politica non è legata al conflitto dei primi anni ’90. Questo non vuol dire che il suo mandato non risentirà dell’eredità di quegli anni, ma il suo bacino di voti e il suo entourage è meno legato a posizioni oltranziste. E questo già si può apprezzare nelle mosse distensive da settembre ad oggi e un conseguente decrescere di violazioni del cessate il fuoco. Già sono intensi gli incontri fra i ministri degli Esteri dell’Armenia e dell’Azerbaijan. Due giorni prima del voto c’è stato anche un incontro a San Pietroburgo tra Pashinyan e il presidente azerbaijano Ilham Aliyev.
Pashinyan vi si trovava per un duplice appuntamento: il summit dell’Organizzazione per il Trattato di Sicurezza Collettivo e per l’incontro informale dei Capi di Governo della Comunità degli Stati Indipendenti. A latere di quest’ultimo incontro c’è stato lo scambio con Aliyev.
Criticato per queste aperture dai repubblicani durante la campagna elettorale, Panishyan gode ancora di sufficente fiducia popolare per avventurarsi in tentativi di approccio con Baku, anche se i margini di accettazione di possibili compromessi sono molto limitati per l’opinione pubblica armena, e pure per quella azerbaijana.