Bulgaria: sci e speculazione

La corte suprema di Sofia si è pronunciata contro un contestato progetto di ampliamento del comprensorio sciistico di Bansko, all’interno del sito Unesco dei monti Pirin

30/01/2019, Marco Ranocchiari -

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Bansko, inverno 2018 (Foto © Nataliya Nazarova/Shutterstock)

Lo scorso 16 gennaio la massima autorità giudiziaria della Bulgaria ha respinto una controversa legge che, se non bloccata, avrebbe modificato in maniera radicale la gestione del Parco Nazionale dei monti Pirin. Nelle intenzioni del governo, che ha portato avanti il provvedimento nonostante dubbi e proteste, fino al 48% dell’area protetta avrebbe potuto essere sacrificato per permettere l’ampliamento del resort sciistico di Bansko. A questo si aggiungono generose concessioni sul prelievo di legname e d’acqua.

Per aggirare i dubbi di costituzionalità che da subito gravavano su tale progetto, il governo Borisov aveva tentato persino di modificare alcune leggi sulla gestione del patrimonio forestale, ignorando le voci che da più parti si erano alzate a difesa del sito Unesco in cui si trova il comprensorio: gli interessi intorno alla stazione sciistica, in pieno sviluppo, sono infatti forti, e la convivenza con un’importante area protetta si prospetta ancora difficile.

Il Pirin tra natura e sci

Bansko, inverno 2018 (Foto © Nataliya Nazarova/Shutterstock)

Le vette dei monti Pirin, che sfiorano i 3000 metri, si specchiano in circa settanta laghi glaciali. Le fitte foreste che li circondano ospitano lupi, orsi bruni e alcuni tra gli alberi più vecchi al mondo. Paesaggi che l’Unesco – che nel 1983 ha iscritto nella lista dei patrimoni dell’Umanità – definisce capaci di regalare al visitatore la gioia della "lontananza" dal mondo.

Eppure dai primi anni 2000 la cittadina di Bansko, sede del Parco, conosce un tumultuoso sviluppo che ruota intorno al suo emergente comprensorio sciistico. Sempre più sciatori da tutta Europa sfrecciano sulle nevi che tra poco meno di un mese saranno teatro di due gare di Coppa del Mondo. Gli investitori, di conseguenza, hanno progettato in grande: con le modifiche appena respinte in tribunale avrebbero potuto quintuplicare i chilometri di piste, facendo di Bansko il più grande comprensorio del continente al di fuori delle Alpi. Ma il conto, in termini ambientali, sarebbe stato salatissimo.

Un’espansione controversa

Dietro il successo di Bansko, a dire il vero, si sono celate ombre fin dall’inizio. Un report del WWF dello scorso anno dipinge un quadro spietato fatto di speculazione edilizia, disboscamenti illegali e infrastrutture su aree ben più ampie di quelle autorizzate sin dai tempi della realizzazione dei primi impianti, intorno al 2000. Nel 2010 l’Unesco è stata costretta a escludere dal sito tutta l’area di Bansko e Dobrinishte in quanto "irreversibilmente danneggiata". Il comprensorio resta, comunque, Parco Nazionale e in quanto tale beneficia di fondi europei (10 milioni per il decennio 2007-2017).

Secondo i Verdi europei, molto attivi sulla questione, la situazione è opaca anche dal punto di vista finanziario: non si capirebbe esattamente chi ci sia dietro Yulen, il consorzio che gestisce gli impianti. La rosa dei nomi varia continuamente: negli ultimi mesi è comparso, a sorpresa, l’ex campione Marc Girardelli nella nuova veste di imprenditore. Ma come dichiarato in un’intervista dal primo ministro in persona, la proprietà è molto vicina al Presidente della Federazione bulgara dello sci, e quindi in palese conflitto di interessi.

Nel parco nazinale dei Monti Pirin (© Albena Markova/Shutterstock)

In un contesto del genere difficile immaginare che la sconfitta in tribunale possa scoraggiare gli investitori. Il governo aveva portato il suo disegno fino all’ultimo grado di giudizio, nonostante una prima sentenza sfavorevole che ne denunciava il contrasto sia con la legislazione bulgara che europea. Il tutto senza neppure autorizzare una valutazione ambientale strategica, normalmente necessaria in questi casi. Adesso, sostiene il gruppo "For the Nature" che coordina le operazioni a difesa del Parco Nazionale, il governo ha ancora molte carte da giocare per legittimare l’ampliamento, inclusa una radicale revisione della legge sulle aree protette.

Un anno di proteste

La società civile bulgara, e in primo luogo una miriade di organizzazioni non governative, non sono rimaste a guardare. All’inizio del 2018, all’inaugurazione del semestre bulgaro alla presidenza dell’Unione Europea, un’imponente mobilitazione ha portato in piazza migliaia di persone in quaranta città bulgare e in tutto il mondo per quattro mesi. Nella città di Sliven, una piccola folla si è data appuntamento in piazza ogni giovedì fino alla vigilia della sentenza. Per vincere l’insensibilità da parte dei media, gli attivisti sono ricorsi a proteste creative come flash mob, installazioni artistiche, una fitta campagna social e video, oltre naturalmente alle petizioni e ai ricorsi legali. Un anno fa, una manifestazione di oltre ottomila persone aveva visto la partecipazione dell’eurodeputata verde Ska Keller, che aveva sollevato la questione davanti al Parlamento europeo. La risposta del governo era giunta attraverso il profilo Facebook dell’allora vice primo ministro, Valeri Simeonov. In un post pieno di insulti, l’esponente ultranazionalista del governo Borisov forgiava per la leader tedesca la curiosa etichetta di "jihadista verde" e ne invocava l’espulsione dal paese.

Che il clima della Bulgaria degli ultimi anni non favorisca il dialogo sulle questioni ambientali non è d’altronde una novità. Mentre il ministro dell’Ambiente Neno Dimov è un attivo negazionista del cambiamento climatico, gli attivisti denunciano di non ricevere abbastanza visibilità mediatica. Il paese balcanico occupa in effetti il centoundicesimo posto nella classifica di Reporter senza Frontiere per la libertà di stampa, fanalino di coda dell’Unione Europea. Ultima anche per reddito pro capite, la Bulgaria non riesce a fare grandi progressi neppure nella lotta al crimine organizzato e alla corruzione. Il tutto in un contesto in cui i fondi per le aree protette sono in costante calo. Con queste premesse, la sensibilità mostrata da larga parte dell’opinione pubblica ai temi dell’ambiente e alle sorti dei monti Pirin è un risultato degno di nota, a cui la decisione della Corte suprema dà nuova linfa.

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