Turchia, il giornalismo non è un crimine

Articoli usati come prove a carico degli accusati, lunghi periodi di detenzione, una definizione di “t[]ismo” dai confini vaghi. In Turchia la situazione della libertà di stampa continua a destare preoccupazione. Il punto della nostra corrispondente

14/02/2019, Burcu Karakaş -

Turchia-il-giornalismo-non-e-un-crimine

Turchia, proteste contro le limitazioni alla libertà di stampa - Orlok/Shutterstock

"A causa dell’ordine di riservatezza, nessuno alla stazione di polizia mi ha detto di che cosa fossi accusato, mi hanno solo fatto un paio di domande sui miei post sui social media: non avevo idea delle accuse fino a quando non ho avuto la possibilità di vedere l’atto d’accusa in cui le mie attività giornalistiche sono state presentate come prova".

Seda Taşkın lavorava per Mezopotamya News Agency, un canale di informazione filo-curdo. A dicembre 2017 è stata detenuta poco dopo che un informatore anonimo ha chiamato la polizia denunciando presunti legami con un’organizzazione t[]istica. Lo scorso ottobre è stata condannata a 7 anni e 6 mesi di prigione per affiliazione con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), reso fuorilegge, con l’accusa di "sostegno ad un’organizzazione t[]istica senza esserne membro" e "propaganda per un’organizzazione t[]istica". Dopo aver trascorso un anno in prigione, Taşkın è stata rilasciata il 17 gennaio dopo una decisione della corte superiore. L’atto di accusa citava interviste da lei condotte, articoli e telefonate con fonti e avvocati come prove di reati legati al t[]ismo, oltre a condivisioni di Facebook e Twitter e sue foto scattate al World Press Freedom Day. "Non c’erano prove tangibili. Non io, ma la professione giornalistica era sotto processo. Il giornalismo, però, non è un crimine. È quello che ho continuato a dire in udienza", ha detto a OBC Transeuropa.

Articoli e social media come prove

Secondo il "Rapporto sul monitoraggio della giustizia: processi per libertà di espressione in Turchia, giugno-dicembre 2018", che raccoglie e analizza i dati di 90 sessioni giudiziarie in 82 udienze di 71 processi, il 72% delle accuse contro i giornalisti sotto processo è legato al t[]ismo. Il rapporto, redatto dall’International Press Institute (IPI) e dall’Unità Legale dell’Associazione Media and Law Studies (MLSA), mostra anche che nel 77% degli studi osservati le prove presentate contro gli imputati erano di natura professionale. Come nel caso di Seda Taşkın, nella maggior parte dei processi che riguardano la libertà di parola in Turchia dichiarazioni, articoli, notizie e post sui social media vengono presentati come prove contro gli imputati e utilizzati per giustificare la continuazione della detenzione. Il rapporto, tuttavia, sottolinea che, soprattutto nei casi di libertà di parola, la detenzione dovrebbe avere uno scopo legittimo oltre a essere una misura necessaria e proporzionata.

Lunghi periodi di detenzione

L’avvocato Veysel Ok della Media and Law Studies Association afferma che i tribunali turchi non rispettano nemmeno gli standard minimi o le decisioni stabilite dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalle convenzioni europee sui diritti umani. "Lungi dal rispettare gli standard internazionali, la Turchia sta facendo il contrario. Il diritto ad un processo equo viene ripetutamente violato e gli imputati vengono incarcerati illegalmente", dice l’avvocato a OBCT.

Veysel Ok sottolinea un altro problema irrisolto nei casi di libertà di espressione: i lunghi periodi di detenzione preventiva, divenuti una pratica ordinaria piuttosto che eccezionale. "Anche se la Corte costituzionale turca per i giornalisti incarcerati Mehmet Altan e Şahin Alpay ha stabilito che articoli e dichiarazioni non possono essere l’unica prova per la detenzione, i tribunali locali non rispettano questa decisione", dice Ok. L’anno scorso a gennaio, la Corte costituzionale ha stabilito che i diritti dei giornalisti erano stati violati a causa della detenzione preventiva, che ha portato a violazioni del "diritto alla libertà e alla sicurezza personale" e alla "libertà di espressione e di stampa".

Oltre ai lunghi periodi di detenzione, la maggior parte degli imputati nei processi per libertà di espressione rilascia la propria testimonianza tramite un sistema di videoconferenza denominato "SEGBIS", che costituisce un’altra violazione del diritto ad un processo equo. Veysel Ok spiega: "Riesci a immaginare di essere detenuto sulla base dei tuoi scritti o discorsi, senza nemmeno avere la possibilità di difenderti in aula?".

"Arresti che intimidiscono la società nel suo insieme"

La Turchia si è classificata al 157° posto su 180 paesi nell’indice World Press Freedom 2018 di Reporter Senza Frontiere (RSF). RSF descrive la tendenza come un "declino storico" per la libertà di stampa in Turchia. Erol Önderoğlu, rappresentante per la Turchia di RSF, afferma che accuse come "Insultare il Presidente", "Diffondere la propaganda del t[]e" e "Aiutare un’organizzazione t[]istica" stanno creando scuse per incarcerare i giornalisti.

"Quando il governo voleva indebolire il principale partito di opposizione della Turchia, il Partito popolare repubblicano (CHP), ha attaccato il quotidiano Cumhuriyet che è affiliato al CHP. Allo stesso modo, non appena il processo di pace curdo è finito, è stato preso di mira il giornale filo-curdo Özgür Gündem", dice Önderoğlu a OBCT.

Önderoğlu crede che l’arresto di giornalisti intimidisca anche la società nel suo insieme e quindi mandi al pubblico un messaggio chiaro e importante. "RSF continuerà a mostrare solidarietà con i casi di libertà di stampa in Turchia", aggiunge.

"La definizione di t[]ismo ha perso il suo significato"

Secondo Andrew Gardner, ricercatore senior per la Turchia di Amnesty International, oggi in Turchia i diritti dei cittadini alla libertà di espressione e di critica sono di fronte a grandi sfide. Gardner pensa che non ci sia alcuna garanzia per coloro che criticano apertamente il governo. "C’è un clima di paura e i processi a persone che hanno espresso opinioni non violente hanno raggiunto un livello epidemico nel Paese", afferma lo studioso ad OBCT.

Secondo Gardner, il concetto di t[]ismo in Turchia è sempre stato incredibilmente vago e soggetto ad abusi da parte del governo per ragioni politiche, "ma mai nella misura attuale, in cui la definizione di t[]ismo ha perso qualsiasi significato". Poiché non esiste un sistema giudiziario indipendente in Turchia, afferma il ricercatore di Amnesty, l’uso improprio della legislazione anti-t[]ismo è un trucco per perseguire tutti i tipi di dissenso in tutto il paese e punire regolarmente autori, giornalisti, attivisti, difensori dei diritti umani e comuni cittadini che esprimono le proprie opinioni sui social media.

Gardner crede fortemente che la violazione del diritto alla libertà di parola sia al momento il problema dei diritti umani più radicato in Turchia. I governi che usano il proprio potere per sopprimere le opinioni degli altri non sono una novità. "Il dissenso non è tollerato e la critica è considerata un insulto", dice.

Per approfondire

Sulla Turchia il Resource Centre curato da OBCT mette a disposizione diversi studi Tra i più recenti segnaliamo il nostro dossier di approfondimento Media Freedom in Turkey. Inoltre, per avere un quadro dettagliato dei processi legati alla libertà di espressione, il report firmato da Media and Law Studies Association (MLSA) e International Press Institute (IPI) è frutto di un esteso lavoro di monitoraggio dei processi in corso.

Commenta e condividi

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta