Bosnia Erzegovina, i fiumi sotto assedio
La Bosnia Erzegovina e le iniziative dei suoi cittadini in difesa delle risorse naturali e dei suoi corsi d’acqua
Nei 244 corsi d’acqua della Bosnia Erzegovina sono in progetto o in costruzione oltre trecento impianti idroelettrici. Un trend comune a tutta la penisola balcanica, dove nei prossimi anni potrebbero essere operativi quasi tremila nuovi impianti. In Bosnia, paese che è stato teatro di importanti iniziative di protesta, gli ultimi mesi sono stati ricchi di eventi.
Le "donne coraggiose" di Kruščica
Si è conclusa negli ultimi giorni del 2018 la lotta che ha dato al boom dell’idroelettrico nei Balcani una visibilità internazionale: quella delle delle hrabre žene, "le donne coraggiose" di Kruščica. Le abitanti di questo villaggio di ottocento abitanti nella Bosnia centrale hanno presidiato per quasi diciotto mesi un ponte per impedire la costruzione di due impianti idroelettrici.
Il tribunale cantonale di Novi Travnik, il 14 dicembre, ha dato ragione alle pasionarias bosniache – fino a un anno e mezzo fa, per lo più, tranquille madri di famiglia – , capovolgendo il finale di una storia che sembrava scritta in partenza.
La vicenda era iniziata nell’estate 2017, quando la cittadinanza fu messa al corrente del progetto: i due impianti a piccola produzione avrebbero sfruttato le acque del torrente che porta lo stesso nome del villaggio, quasi prosciugandolo per un lungo tratto. Il Kruščica, infatti, dona già il 70% delle sue acque per dissetare le vicine città di Zenica e Vitez. I lavori potevano iniziare subito, nonostante non ci fosse stata alcuna discussione pubblica come previsto dalla legge.
Dopo una petizione di protesta caduta nel vuoto, i cittadini avevano organizzato una manifestazione sul ponte, via d’accesso obbligata al cantiere. Ma era intervenuta la polizia, con una violenza che aveva indignato gli abitanti, stringendoli ulteriormente intorno alla causa. In questo scenario di tensione, un gruppo di donne aveva deciso di mettersi in prima fila, pacificamente. Dopo gli scontri, la società la società idroelettrica aveva tentato più volte di aprire il cantiere con la forza, nonostante fosse nel frattempo stato aperto un procedimento giudiziario. Le donne organizzarono quindi un presidio permanente, articolato su turni: giorno e notte, estate e inverno, fino alla vittoria definitiva in tribunale.
Tutt’intorno, intanto, cresceva il sostegno di parte dell’opinione pubblica e delle organizzazioni ambientaliste. Ben otto tra le hrabre žene si sono presentate alle elezioni locali, conquistando la maggioranza: un risultato ancor più notevole vista la tradizionale prevalenza maschile in politica nel paese, e che ne fa, per alcuni, un punto di riferimento che va oltre le questioni ambientali.
La sentenza dello scorso dicembre impone lo stop ai lavori e riscontra numerose irregolarità del progetto in tutte le sue fasi. Il torrente Kruščica, per il momento, è salvo. Ma per gli ambientalisti rischia di rimanere un successo isolato.
Il torrente Doljanka
Azioni di protesta, anche se con minore rilevanza mediatica, sono in corso quasi ovunque nel paese le società idroelettriche ottengano una nuova concessione.
Dallo scorso 21 ottobre una frenetica serie di sit-in, campagne sui social e petizioni si svolge intorno al fiume Doljanka, nei pressi di Jablanica, dove la società privata Ekovat sta già costruendo due impianti idroelettrici. Sponsor dell’iniziativa, l’ex stella del basket Mirza Teletović. I cittadini, come a Kruščica, sostengono di non essere stati interpellati, e chiedono una nuova Valutazione di Impatto ambientale. Nonostante una petizione firmata dal 95% degli abitanti della zona e una causa in corso, però, i lavori vanno avanti. Entro la fine del 2019 le centrali potrebbero essere produttive, ma del torrente, finora l’unico affluente della Neretva ancora privo di dighe, e parte di un monumento naturale, non resterà traccia per un tratto di oltre tre chilometri, tanto quanto saranno lunghi i canali di derivazione delle acque necessari alle turbine.
Un paese fondato sui fiumi
Da sempre i fiumi sono la ricchezza della Bosnia Erzegovina oltre che il suo biglietto da visita: basti pensare al vecchio ponte sulla Neretva a Mostar, o al più celebre romanzo che racconta il paese, Il Ponte sulla Drina. Lo stesso nome, Bosna, è il nome del terzo fiume del paese.
Lo sanno bene le migliaia di appassionati di rafting che, da tutto il mondo, percorrono i canyon dell’Una, del Vrbas e della Neretva. Eppure nemmeno i siti più spettacolari sono al sicuro. Nel marzo 2018 sono state ultimate due centrali a poche centinaia di metri dalla sorgente carsica del fiume Sana (che prende il nome da proprietà curative attribuitegli fin dall’antichità). Per 5 MW di produzione, quanto tre piccole pale eoliche, è stata compromessa una delle meraviglie naturalistiche del paese.
Il complicato status giuridico della Bosnia Erzegovina, diviso in due entità rigidamente separate, la Federazione di Bosnia Erzegovina e la Republika Srpska, crea dei vuoti legislativi che colpiscono spesso la legislazione ambientale. L’entità a maggioranza serba non ha neppure mai stabilito il deflusso minimo vitale, cioè il livello minimo di cui un corso d’acqua ha bisogno per la sua integrità ecologica. La Federazione ha una legislazione più articolata, ma comunque datata e in ogni caso poco rispettata. La speculazione è spesso dietro l’angolo e a volte, come nel caso di Kruščica, i cantieri procedono senza aspettare valutazioni e sentenze. Lo status di energia "green" appare spesso un pretesto in un paese che continua ad affidarsi soprattutto al carbone, in assenza di un piano energetico per il prossimo futuro.
Se la politica nazionale si mostra piuttosto sorda alle questioni ambientali, va un po’ meglio a livello locale, come a Banja Luka, seconda città del paese, che ha recentemente deciso di rinunciare a una diga di 20 metri sul fiume Vrbas. La società civile, a volte poco reattiva, ma altre capace di inaspettate resistenze, si è organizzata in una fitta rete di associazioni e organizzazioni non governative, molto attive sia sul piano della sensibilizzazione che su quello legale.
La corsa all’oro blu nei Balcani
L’exploit dell’idroelettrico, oltre alla Bosnia, interessa tutti i paesi balcanici, dove in tutto sono in progetto o in costruzione ben 2796 nuovi impianti. In questa regione si concentrano gli ultimi corsi d’acqua del continente che scorrono allo stato naturale, e quindi quelli più appetibili alle società energetiche. Per la maggior, i nuovi impianti rientrano nella categoria del mini e micro idroelettrico: più piccoli delle classiche dighe, permettono di sfruttare anche i torrenti minori, finora risparmiati dalla produzione energetica. La loro realizzazione è in genere favorita da generosi incentivi per le energie rinnovabili, che talvolta ne compensano lo scarso rendimento economico.
Lo status di rinnovabile, però, non sempre basta a decretare la sostenibilità di una fonte energetica: gli ecosistemi fluviali sono tra i più sensibili in assoluto, e le crescenti pressioni antropiche hanno fatto sì che, in tutto il pianeta, negli ultimi 40 anni le acque dolci abbiano perso l’81% della loro fauna selvatica. Nonostante gli sforzi della comunità scientifica per un idroelettrico realmente sostenibile, gli accorgimenti suggeriti vengono raramente messi in pratica, soprattutto nel sud-est del continente europeo, che è anche la regione dove i corsi d’acqua sono più in salute.
Attivisti, accademici e società civile dei paesi balcanici hanno intrapreso una serie di iniziative tese a coordinare i loro sforzi. Nel settembre 2018, a Sarajevo si è tenuto il “River meeting”, una conferenza internazionale che ha visto la partecipazione di oltre 250 tra attivisti e studiosi da trenta paesi. Tra azioni dimostrative, petizioni, documentari, gli ambientalisti sono talvolta riusciti a interferire con i lavori, e spesso hanno ottenuto l’attenzione dell’opinione pubblica, come in Serbia, dove lo scorso 28 gennaio oltre 5000 persone sono scese in strada contro i nuovi impianti in progetto nel paese e in tutta la penisola.