Serbia: il – limitato – dialogo interno sul Kosovo

Nel 2017 il presidente della Serbia Aleksandar Vučić ha lanciato il "Dialogo interno sul Kosovo". Scopo? A parole consultare in senso inclusivo la società serba su potenziali soluzioni relative al Kosovo. Non è andata proprio così

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(© melitas/shutterstock)

Oggi già dimenticate, le discussioni pubbliche note come "Dialogo interno" sono state lanciate nel luglio 2017 dal presidente serbo Aleksandar Vučić con lo scopo di consultare un pubblico più ampio sulla potenziale soluzione della questione Kosovo. Ma dopo una trentina di eventi, il dialogo interno si è concluso senza raggiungere il proprio obiettivo dichiarato. Da giugno 2018 non si sono più svolte attività nel quadro del dialogo interno e non c’è traccia dell’annunciata relazione finale. Tenendo presente che nel 2019 i governi di Serbia e Kosovo rimangono ancora bloccati in una disputa apparentemente irrisolvibile in merito a statualità e status internazionale del secondo, vale la pena esaminare qual è il retaggio del processo di dialogo interno e se ha avuto un impatto sul raggiungimento di un consensus all’interno della società serba.

L’iniziativa per il dialogo interno nasce dal fatto che la Serbia si trova in una situazione quasi impossibile: anche se (ancora) non vuole riconoscere il Kosovo, deve trovare una formula magica per conciliare la necessità di risolvere questo problema per continuare con il processo di integrazione europea pur continuando a ritenere il Kosovo parte integrante del paese. Tuttavia, che si trattasse di una farsa o di un’intenzione sincera di tentare di far emergere una soluzione creativa, il processo di dialogo interno non ha fatto che mettere in evidenza ulteriormente le divisioni nella società serba e la mancanza di volontà nel risolvere la controversia con il Kosovo. Il contesto politico e sociale della Serbia caratterizzato da mancanza di libertà dei media, repressione dell’opposizione e declino delle istituzioni – con sempre maggiore ostilità verso le voci critiche – non può certo stimolare la discussione e la partecipazione dei cittadini. Di conseguenza il dialogo interno, in quanto processo ad hoc condotto in forma di tavole rotonde al di fuori del quadro istituzionale, si è rivelato essere niente di più di un’udienza pubblica organizzata dallo stato con uno spazio limitato di discussione.

Inoltre, anche se il dialogo interno è stato presentato come un invito a diversi gruppi sociali a impegnarsi in una discussione sul Kosovo, in realtà i suoi organizzatori hanno coinvolto un gruppo limitato di funzionari pubblici e professionisti, quindi il processo è stato prevalentemente controllato. Il governo non ha cercato di includere una gamma più ampia di attori (tradizionalmente) interessati al Kosovo, come ad esempio la Chiesa ortodossa serba (SPC) e l’Accademia delle scienze e della arti della Serbia (SANU). La mancata partecipazione dei partiti di opposizione e la resistenza allo spostare le discussioni in Parlamento mostrano la mancanza di una sincera intenzione di coinvolgere anche gli oppositori del governo. Pertanto, il dialogo interno ha avuto carattere performativo con una fondamentale mancanza di inclusività e insufficiente partecipazione dei diversi strati della società serba. Allo stesso tempo, in quanto processo che affronta principalmente la posizione dei serbi in Kosovo, la partecipazione di questi ultimi è stata inadeguata con solo due tavole rotonde organizzate in Kosovo.

Da aggiungere che le proposte emerse come dominanti durante il processo di dialogo interno mostrano diversi limiti della società serba. Innanzitutto, l’élite intellettuale e accademica non è sufficientemente informata sul Kosovo, sul dialogo di Bruxelles e sul processo di integrazione della Serbia in Europa. Questi aspetti, così come gli sviluppi in Kosovo negli ultimi dieci anni, sono stati completamente trascurati dalla maggior parte dei partecipanti al dialogo interno, portando così a proposte lontane dalla realtà. In secondo luogo, il processo di integrazione europea non è stato trattato come una questione primaria e un quadro strategico per risolvere la questione del Kosovo. Solo in una tavola rotonda si è sottolineata la necessità di garantire l’adesione all’Unione europea, mentre la grande maggioranza dei partecipanti ha semplicemente ignorato il processo di adesione, sperando in un cambiamento geopolitico. Questo è indice di sentimenti profondamente antieuropei radicati nella società serba. E infine, se guardiamo alle proposte dominanti (status quo e correzione dei confini), si può concludere che la normalizzazione delle relazioni tra i due paesi è stata sostanzialmente respinta. In conclusione, il dialogo interno non è servito a esplorare diverse alternative per la normalizzazione, ma ha piuttosto mostrato che la normalizzazione delle relazioni tra la Serbia odierna e il Kosovo non è nemmeno un’opzione.

Così, invece di contribuire al processo di normalizzazione delle relazioni con Pristina e raggiungere un compromesso od offrire proposte sulle future relazioni tra Serbia e Kosovo, il dialogo interno ha per lo più trascurato quanto realizzato finora. È servito da piattaforma per voci antieuropee che hanno chiesto cambiamenti alle frontiere e la fine dell’integrazione europea. I pochi sostenitori della prosecuzione del dialogo con Bruxelles si sono dimostrati incapaci di fornire una definizione di ciò che potrebbe comportare la normalizzazione delle relazioni. Tuttavia, senza un compromesso e un consensus all’interno della società serba sul Kosovo, è difficile raggiungere qualsiasi soluzione sostenibile e pacifica. E il dialogo interno ha mostrato l’incapacità della Serbia di affrontare la realtà in Kosovo, segnalando la sua volontà non di normalizzare le relazioni, ma di proporre e difendere soluzioni rischiose.

 

Quest’analisi è stata sostenuta dalla Kosovo Foundation for Open Society come parte del progetto "Costruire conoscenze sul Kosovo (2.0)", i cui risultati saranno presto pubblicati.

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