Ivan Cankar, argonauta della coscienza
In Slovenia e nei territori dei paesi vicini in cui è presente la minoranza slovena, l’anno 2018 è stato dedicato alle celebrazioni del centenario della morte di Ivan Cankar (1876-1918), narratore, poeta e drammaturgo
Quando esce dall’autostrada Lubiana-Postumia al casello di Vrhnika, il viaggiatore non ha bisogno di chiedere ai passanti come raggiungere la casa-museo del più grande scrittore sloveno. Nella cittadina di Vrhnika, che nelle cronache viene menzionata anche con il nome di Oberlaibach, tutto è dedicato alla memoria di Ivan Cankar.
Tuttavia, i dépliant turistici ricordano ai visitatori che a Vrhnika si trovano anche le sorgenti del fiume Ljubljanica, le tracce di un insediamento neolitico e i resti di un castello di epoca romana. L’importanza rivestita da Vrhnika nell’antichità è testimoniata anche dal suo antico nome, Nauportus (dal greco naus,“nave”, e dal latino portum, “porto”) – una città fondata prima della città romana di Emona (odierna Lubiana) – , nonché dal mito di Giasone e degli Argonauti. Secondo la leggenda, gli Argonauti dal Mar Nero risalirono il Danubio e la Sava fino alle sorgenti del fiume Ljubljanica, dove smontarono la nave e la portarono sulle spalle fino all’Adriatico.
Nella casa natale di Ivan Cankar
Una mattina di marzo, l’esplosione del blu primaverile sopra Vrhnika. Passo accanto alla chiesa di San Lenart ed eccomi all’inizio di una ripida strada denominata Na klancu [Sul colle], davanti alla Casa Museo di Ivan Cankar. Nel luogo oggi occupato da questo modesto edificio un tempo sorgeva una capanna di legno col tetto di paglia. In quella casetta nacque il futuro scrittore e poeta, ottavo dei dodici figli di un povero sarto. Della casa natale di Ivan Cankar, distrutta in un incendio, oggi rimane solo un muro. La famiglia Cankar cambiò casa cinque volte, a testimoniarlo sono le targhe commemorative poste sulle facciate di alcune modeste case della città.
Sto sognando o è Cankar ad aprire la piccola porta in legno della Casa Museo? – lui in persona! Alla mia espressione stupita il giovanotto in abito nero dell’epoca della monarchia austro-ungarica, di nome Damjan Debevec, risponde con un sorriso radioso. No, non è una figura banale come quei personaggi in costume che si possono incontrare in diversi castelli e fortezze del vecchio continente. Al contrario, conquista facilmente il visitatore con l’immediatezza di ogni parola pronunciata. “Non sei il primo a pensarlo!”. Forse è questo che voleva dirmi con quel sorriso. Ma eccolo che già mi racconta vivacemente dell’infanzia e della giovinezza di Cankar, di com’era allora la città di Vrhnika, della crisi economica che colpì quella regione, causando molte difficoltà anche alla famiglia Cankar. “Ora immaginiamo una famiglia numerosa che vive in una casetta come quella che un tempo sorgeva qui. I bambini dormivano persino sulla stufa in terracotta, e quelli più piccoli all’interno del tavolo da sartoria!”.
La Casa Museo di Ivan Cankar è nata grazie alle donazioni di oggetti antichi da parte degli abitanti del luogo. Gli unici oggetti autentici appartenenti allo scrittore sono alcuni suoi libri e due ritratti. Cankar per mantenersi eseguiva ritratti su commissione. Uno scrittore non va cercato nella sua casa natale, lo so. Ma questa mattina sono curioso.
Mi soffermo davanti a una vetrina in cui sono esposte tutte le edizioni delle opere di Cankar. Mi torna in mente un pensiero, come un’eco di una mia vecchia convinzione: Cankar era un vero scrittore. Uno di quelli che scrivono quotidianamente, senza reticenza, del mondo di ingiustizie e ipocrisie, ma anche di se stessi. Cerco con lo sguardo il libro “Črtice” [Vignette], la prima opera narrativa di Cankar, pubblicata nel 1899. Si tratta di brevi racconti autobiografici dell’infanzia e dell’adolescenza di questo grande modernista sloveno, attraverso i quali mi sono avvicinato alla sua immensa opera letteraria; veri e propri gioielli narrativi che non hanno nulla da invidiare, né sul piano estetico né su quello semantico, alle migliori pagine di Guy de Maupassant e di Anton Čechov.
Damjan si aspetta che io gli faccia qualche domanda, ma io – con lo sguardo fisso sugli scaffali pieni di libri – resto in silenzio. Mi mostra il primo e l’unico libro di poesie di Cankar intitolato “Erotika” che, con la sua grande libertà espressiva, irritò l’allora vescovo di Lubiana. Sua Eccellenza Antun Bonaventura Jeglič comprò con i propri soldi le 700 copie del libro e le bruciò tutte. Così questo alto dignitario ecclesiastico entrò nella storia della letteratura, insieme al fumo e cenere dei roghi censori, e Cankar, che era sempre in difficoltà economiche, guadagnò parecchi soldi. Qualche anno più tardi, nel 1902, Cankar decise di dare alle stampe una seconda edizione di “Erotika”, in segno di protesta per la censura subita. Non scrisse mai più poesie.
Dopo aver salutato Damjan, mi incammino lungo Stara cesta (Strada vecchia). Mi imbatto in un bar interamente dedicato ai baffi di Cankar, ce ne sono di tutti i colori. Mi fermo a bere una birra alla spina (non dico quale, per non far arrabbiare gli altri produttori). Poi mi dirigo verso Voljčeva cesta, per vedere la casa, penultima nella lista delle case abitate dalla famiglia Cankar, dalla quale Ivan, una volta diplomatosi alla scuola superiore, partì per studiare a Vienna. In questa casa la famiglia Cankar disponeva di una sola camera, condividendo la cucina con altre due famiglie.
La Vienna di Cankar
Il lettore interessato a conoscere la biografia dettagliata di Ivan Cankar può cercarla in internet. Vi troverà facilmente diverse fonti (anche in italiano), e io, che sto quasi finendo il mio migliaio di parole – quante ne dovrebbero contenere i miei testi su questo portale – farei meglio a dire qualcosa di più del periodo viennese di Cankar. Il primo, più breve soggiorno di Cankar a Vienna avvenne tra il 1896 e il 1897, e il secondo tra il 1898 e il 1909. Vienna, che in quel periodo era uno dei maggiori centri culturali e artistici d’Europa, aprì a Cankar nuovi orizzonti letterari, ma anche politici. Ben presto abbandonò gli studi intrapresi presso l’Università tecnica e si iscrisse agli studi di slavistica. A Vienna conobbe tutte le tendenze dell’arte moderna europea e l’opera della maggior parte degli scrittori moderni tedeschi, francesi, inglesi, italiani e scandinavi, ma anche le contraddizioni che rispecchiavano la realtà sociale dell’intera monarchia.
Durante il periodo trascorso a Vienna Cankar elaborò completamente le sue idee socialiste. Fu partecipe e osservatore della vita dei poveri, dei lavoratori dei sobborghi, dei disoccupati e degli emarginati. In quel periodo scrisse la maggior parte delle sue opere narrative e teatrali, in cui criticava duramente il mondo dei ricchi, un mondo ipocrita ed egoista, creando personaggi ispirati alla gente comune, schiacciata dalla povertà ma consapevole dei valori della giustizia sociale. Cito solo alcune delle opere di Cankar le cui riflessioni sul mondo e sull’uomo oscillavano tra istanze nietzschiane e cristianesimo: “Na klancu” [Sul colle], “Hlapec Jernej in njegova pravica” [Il servo Jernej e il suo diritto], “Martin Kačur“, “Hiša Marije Pomočnice“ [La casa di Maria Ausiliatrice], “Kralj na Betajnovi“ [Il re di Betajnova].
Durante gli undici anni trascorsi a Vienna Cankar rimase completamente sconosciuto come scrittore. Quando Sofka Kveder, la sua fidanzata, riuscì finalmente a convincerlo a pubblicare “Črtice”, Cankar decise di dare alle stampe solo alcuni dei racconti contenuti nel libro. Già da studente del ginnasio tedesco di Lubiana, si sentiva un cittadino di serie B in quanto sloveno.
Gli austriaci scoprirono Ivan Cankar – le cui opere sono state tradotte in numerose lingue, tra cui finlandese, ceco, serbo, etc. – solo a metà degli anni Novanta grazie a Erwin Köstler che, dopo essersi resi conto dei difetti delle traduzioni precedenti iniziò a tradurre le opere di Cankar in tedesco moderno. Oggi in Austria e in altri territori germanofoni Cankar è riconosciuto come uno scrittore europeo di grande spessore.
Ritornato in Slovenia, Cankar divenne un oppositore della monarchia e della sua politica militarista e un sostenitore dell’unificazione degli slavi meridionali in un unico stato, ma anche della conservazione dell’identità culturale e linguistica del popolo sloveno. Ma questo è un altro tema, che appartiene perlopiù al passato, come anche il summenzionato stato che non c’è più. Cankar morì l’11 dicembre 1918, dieci giorni dopo la proclamazione di quel primo stato jugoslavo. Fu sepolto con le massime onoreficienze nel cimitero Žale a Lubiana, accanto ai suoi amici, poeti modernisti Josip Murn e Dragotin Kette.
2018, l’anno di Cankar
In Slovenia e nei territori dei paesi vicini in cui è presente la minoranza slovena l’anno 2018 è stato dedicato alle celebrazioni del centenario della morte di Ivan Cankar. Il ministero della Cultura della Repubblica di Slovenia ha proclamato il 2018 anno di Ivan Cankar. La maggior parte delle iniziative è stata realizzata nell’ambito del piano nazionale per la cultura 2018, presso la Casa Museo di Ivan Cankar e in diverse biblioteche. Nel link sopra indicato manca il riferimento allo spettacolo “Kralj na Betajnovi” [Il re di Betajnova] del Teatro stabile di Trieste. Si è trattato di un programma culturale molto ampio: i principali editori sloveni hanno pubblicato nuove edizione delle opere di Cankar; i suoi testi teatrali sono stati messi in scena in diversi teatri; tutte le biblioteche in Slovenia hanno focalizzato la loro attenzione su questo anniversario; la Casa Museo di Ivan Cankar e il Museo della città di Lubiana hanno ospitato due grandi mostre; anche l’orchestra filarmonica slovena ha omaggiato Cankar con un concerto. Menzioniamo anche due lungometraggi, "Tisoč ur bridkosti za eno ur veselja" [Mille ore di amarezza per un’ora di gioia] e "Cankar", realizzati nel 2018 e presentati al Festival del cinema sloveno di Portorož (Portorose).
Alla mia domanda in merito alle iniziative organizzate in Italia per celebrare il centenario della morte del più grande scrittore sloveno ha gentilmente risposto Martin Lissiach, coordinatore della rassegna “Cankarjevo leto v Trstu” [L’anno di Cankar a Trieste], promossa dall’Unione culturale economica slovena. “Si può dire che è stata ribadita l’importanza che Cankar riveste per la cultura slovena […] Aggiungo inoltre che qui da noi a Trieste sono stati pubblicati tre libri: ‘Sull’isola’, raccolta di racconti brevi curata da Marija Mitrović, tradotta da Paola Lucchesi e pubblicata in versione bilingue dall’Editoriale della stampa triestina (Založništvo tržaškega tiska); ‘Keep Calm and Read Cankar: pensieri, parole e desideri di Ivan Cankar’, raccolta di citazioni dalle sue opere letterarie e conferenze triestine, curata e tradotta da Darja Betocchi, Poljanka Dolhar e Martin Lissiach, ed edita in versione bilingue con testo a fronte dall’associazione Slovenski klub; e ‘Il servo Jernej e il suo diritto’, racconto tradotto e curato da Darja Betocchi ed edito in versione bilingue da Comunicarte edizioni. Le presentazioni di queste pubblicazioni sono tuttora in corso, pertanto possiamo parlare, considerando anche altre iniziative in Slovenia e altrove, di un prolungamento dell’anno di Cankar. È mio dovere citare i nomi di Marija Mitrović, Marta Ivašič e Marija Pirjevec, intellettuali grazie alle quali sono state realizzate le iniziative triestine”.
Aggiungo una breve considerazione: tante iniziative! È una cosa buona, anzi ottima. Dalla caduta del comunismo ad oggi la chiesa e il pensiero cristiano in Slovenia hanno cercato di appropriarsi dell’eredità letteraria di Cankar, riducendo la sua opera alla triade Madre, Patria, Dio, una sorta di resa dei conti, presente soprattutto nel suo ultimo libro di racconti “Slike iz snova” [Immagini dal sogno], pubblicato nel 1917. Ma Cankar è molto più di questo. Lasciamo, pertanto, che di lui parlino le sue opere, una cinquantina in tutto, tra prosa, drammi teatrali, saggi, poesie e articoli.
Il re di Betajnova a Belgrado
L’anno scorso, con la messa in scena de “Il re di Betajnova” di Cankar, lo Jugoslovensko dramsko pozorište [uno dei principali teatri belgradesi] ha festeggiato i settant’anni di attività. Questo dramma, pubblicato nel 1902, andò in scena per la prima volta a Lubiana nel 1904, mentre a Belgrado fu messo in scena nel 1948 – in occasione dell’inaugurazione dello Jugoslovensko dramsko pozorište – dal leggendario regista teatrale Bojan Stupica. La nuova messa in scena di questo testo, purtroppo ancora attuale, è stata affidata al regista Milan Nešković.
“Incredibile! Bisogna vederlo – dopo un intero secolo, le stesse cose!”, mi scrive in un breve messaggio un mio amico di Belgrado. “Josef Kantor, usuraio, ladro e assassino impunito, convinto che il fine giustifichi qualsiasi mezzo – è nostro contemporaneo! È una metafora viva di questa transizione infinita e della decadenza di tutti i valori! Tutti noi, che ci teniamo ancora all’onestà e all’onore, ci rispecchiamo nell’impotenza del suo avversario, lo studente Maks… Incredibile, ti dico!”.
Un argonauta della coscienza e giustizia
Non so chi abbia proposto né chi abbia realizzato lo stemma del comune di Vrhnika raffigurante, su uno sfondo azzurro, la nave di Giasone con una vela bianca e sette paia di remi, ma mi sembra che la nave gialla di Giasone rappresentata sullo stemma della città assomigli al baffo sinistro di Cankar, un argonauta della coscienza e giustizia.
Concludo questo omaggio proponendo ai lettori pazienti un frammento di un racconto di Cankar intitolato “Zastidio se majke” [Si vergognò della madre], che è il più profondo racconto breve della letteratura europea sul tema del peccato.
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La madre era venuta da lontano, da un villaggio che distava dalla città quattro ore di cammino. I suoi stivali – stivali da uomo che le arrivavano alle ginocchia – erano tutti infangati; anche la gonna – un’ampia gonna paesana a fiori di color verde – era bagnata. Nella mano destra la madre teneva un ombrello e un grande involto, con all’interno le camicie e un paio di scarpe nuove per Joža, e nella mano sinistra teneva una grande sciarpa con nodo, in cui aveva messo una moneta da dieci corone destinata a Joža.
La madre era stanca e aveva fame, quella mattina non aveva comprato nemmeno un pezzo di pane perché voleva che quei soldi rimanessero intatti. Le facevano male le gambe e tossiva; il suo viso era secco, aveva buchi profondi sulle guance. Camminava lentamente su e giù e guardava le finestre che brillavano come se fossero dorate.
Suonò la campanella di scuola, suonò a lungo, poi si levò un brusio. Da una grande porta sbucò una folla di alunni; prima quelli più giovani – gridavano e correvano per la piazza, e poi quelli più grandi, che camminavano con aria più seria e fiera.
Arrivò anche Joža, circondato da una folla di amici allegri. Vide la madre – gonna paesana a fiori, stivali alti infangati, soprabito rosso, sciarpa colorata in testa con un nodo dietro la nuca, un grande involto e un grosso ombrello.
“Quella non è tua madre?”, gli chiese un amico.
“No, non è mia madre”, rispose Joža.
Si vergognava della gonna paesana a fiori di color verde, degli stivali alti, del vestito rosso, della sciarpa, dell’ombrello e del grande involto, e in quell’involto c’erano le sue nuove camicie, che la madre cuciva di notte e sulle quali cadevano le sue lacrime.
Si nascose tra la folla e passò accanto alla madre senza fermarsi.
[…]Fuori dalla città lei salutò il figlio, e Joža avrebbe voluto inginocchiarsi davanti a lei, nascondere la testa nel suo grembo e dire: “Madre, mi sono vergognato di te!”, ma non si inginocchiò.
Quando la madre era ormai lontano, gridò: “Madre!”
La madre si girò.
“Addio, madre!”
Da lontano guardò la madre mentre camminava lungo la strada infangata. Era piegata su se stessa, come se portasse un fardello sulle spalle.
Joža andò a casa e si sedette in un angolo sul quel grande involto che gli aveva portato la madre. Si coprì il viso con le mani e cominciò a piangere.
Il peccato gli pesava sull’anima e le lacrime non potevano cancellarlo, scivolavano lungo di esso come se fosse una pietra dura.
Da allora è trascorso molto tempo, e il peccato grava sulla sua anima, pesante e grande come il primo giorno, e la sua vita ora è piena di tristezza e sofferenza.