Florian Bieber: l’UE non tollererà all’infinito gli autocrati dei Balcani
Esperto di Balcani ed Europa orientale, professore presso l’Università di Graz, Florian Bieber traccia un profilo dei rapporti tra Balcani e Unione europea, spiegando perché Bruxelles sostiene leader autoritari
(Originariamente pubblicato dal quotidiano Vijesti )
In uno dei suoi articoli ha affermato che l’Unione europea sostiene i leader autoritari dei paesi dei Balcani. Perché, secondo lei? Solo per mantenere la stabilità nella regione oppure c’è qualche altro motivo?
Il motivo principale risiede nel fatto che negli ultimi cinque/sei anni l’Unione europea si è concentrata su altre priorità, come Brexit, le relazioni con gli Stati uniti, diverse crisi, lasciando in secondo piano la questione dell’allargamento. L’UE non vuole occuparsi molto dei Balcani, per cui le va bene ogni leader balcanico che sostiene di tenere la situazione nel paese sotto controllo e di essere filoeuropeo.
Ovviamente, non tutti i politici europei sono uguali; ci sono governi che prestano attenzione a ciò che sta realmente accadendo nei Balcani. La questione dell’allargamento non sarà mai una priorità assoluta nell’agenda dell’UE, ma finché non le verrà prestata maggiore attenzione l’UE continuerà a sostenere i leader balcanici che si offrono come garanti di stabilità, a patto che si dichiarino filoeuropei.
La leadership al potere in Montenegro sta sfruttando questa situazione a proprio vantaggio, per nascondere i problemi interni sotto il tappeto. Lo stesso vale per Vučić e il governo serbo. Ma non si può andare avanti così all’infinito, non è questa la strada che porta all’Unione europea. Tale comportamento viene tollerato solo prima dell’adesione all’UE. Molti stati membri si opporrebbero all’ingresso nell’UE dei paesi guidati dai leader autocratici, soprattutto a causa dei problemi avuti con l’Ungheria, la Polonia, la Romania e la Bulgaria. Se parlate con i diplomatici tedeschi e francesi vi diranno che non vogliono altri paesi simili nell’UE. I funzionari europei non hanno nulla contro i leader autocratici fintanto che restano fuori dall’UE, ma molti di loro non vorranno sedere allo stesso tavolo con Đukanović e Vučić né farsi fotografare con loro. La domanda è in quale misura gli stati membri sono disposti ad accettare il Montenegro e la Serbia nell’UE. Questo tema ora non è sul tavolo, ma un giorno lo sarà.
La Commissione europea ha più volte definito il Montenegro e altri paesi dei Balcani occidentali come paesi imprigionati. Anche lei è dello stesso parere? Come i leader dei Balcani occidentali sono riusciti a imprigionare i loro paesi?
L’espressione “paese imprigionato” illustra bene l’attuale stato di cose nei Balcani. La situazione però non è uguale in tutti i paesi. In Montenegro questa fenomeno si manifesta in maniera molto più accentuata rispetto agli altri paesi perché non c’è mai stato un cambio ai vertici dello stato. Il potere esecutivo non è mai stato svincolato dal controllo del partito, come avvenuto in altri paesi della regione dopo la caduta del comunismo.
Il motivo principale di questa situazione risiede nella debolezza delle istituzioni. Nei Balcani, compresi quei paesi dove c’è stato un cambio di regime, le istituzioni non sono mai state sufficientemente rafforzate, non sono diventate abbastanza forti da poter operare in modo indipendente. È un processo difficile.
Alcune persone in Macedonia mi hanno raccontato quanto sia difficile cambiare questa dinamica, quando, ad esempio, i giudici si aspettano che il governo dica loro come procedere in determinati casi. Non si tratta solo di pressioni da parte del potere; il problema è che anche i dipendenti delle istituzioni statali sono abituati ad obbedire agli ordini.
Il secondo motivo riguarda il controllo esercitato dai principali partiti politici. In Serbia il Partito progressista serbo (SNS) ha più iscritti del primo partito in Germania, che è 12 volte più grande della Serbia. La situazione è simile anche in Montenegro e in Macedonia, dove il numero di iscritti ai partiti politici è molto superiore alla media europea. Ciò si spiega con il fatto che per ottenere un lavoro bisogna essere iscritti a un partito. Questo dimostra che lo stato non funziona in modo indipendente rispetto ai partiti politici, che non sono partiti democratici bensì agenzie per l’impiego controllate da una ristretta élite. È un problema che affligge l’intera regione. All’interno di questa struttura, i leader autoritari agiscono esclusivamente nel proprio interesse. E anche quando cadono, la struttura resta in piedi, come dimostra l’attuale situazione in Macedonia.
In Kosovo, invece, non c’è solo un leader come Đukanović o Vučić, ma ce ne sono tre, e si scontrano reciprocamente. Questa situazione in un certo senso contribuisce a rafforzare il pluralismo politico, ma le istituzioni restano comunque imprigionate, solo che non sono controllate da una, bensì da più persone. Un eventuale cambio di potere in Montenegro o in Serbia non comporterebbe alcun cambiamento immediato del quadro istituzionale. È un processo che richiede molto tempo, le istituzioni non si costruiscono da un giorno all’altro.
Milo Đukanović di solito reagisce alle critiche, proteste e altre mobilitazioni anti-governative sostenendo che siano orchestrate da un nemico esterno, ovvero dalla Russia. Pensa che la presenza della Russia nei Balcani sia davvero così forte da poter rappresentare una minaccia alla stabilità che Đukanović e altri leader dei Balcani pretendono di difendere?
La Russia svolge un ruolo distruttivo nei Balcani, questo è fuori di dubbio. Dall’altra parte, però, la leadership al potere in Montenegro utilizza la narrativa del nemico esterno in modo strumentale ai suoi interessi. Sono d’accordo sul fatto che, prima dell’ingresso del Montenegro nella Nato, la questione della presenza russa nel paese era molto delicata, perché la Russia aveva un forte interesse nell’impedire che il Montenegro aderisse alla Nato. Ma il Montenegro è ormai membro della Nato ed è una questione chiusa. Come anche la questione dell’indipendenza del Montenegro. La decisione è ormai presa e non si torna indietro.
La Russia era contraria anche alla proposta di risolvere la disputa sul nome tra la Macedonia e la Grecia, ma quando l’accordo è stato raggiunto, Mosca lo ha salutato positivamente. I russi sono pragmatici, non hanno interessi strategici nei Balcani, vogliono solo creare caos per causare problemi all’UE e impedire l’allargamento della Nato. Se falliscono si concentrano su altri obiettivi, perché non hanno interessi strategici nei Balcani come in Ucraina e in altri paesi confinanti con la Russia, dove vogliono ad ogni costo bloccare l’allargamento della Nato. In Serbia la situazione è un po’ diversa perché il paese non vuole aderire alla Nato. La stabilità può essere costruita solo in una democrazia dotata di istituzioni indipendenti che poggia le sue basi sullo stato di diritto. È il modo migliore per impedire derive autoritarie.
In Montenegro sono in corso proteste anti-governative, iniziate dopo lo scoppio del cosiddetto “scandalo della busta”, ovvero dopo la pubblicazione di video che mostra un uomo d’affari consegnare una busta piena di soldi a un alto funzionario del partito al governo. Nel frattempo sono scoppiati anche altri scandali che coinvolgono i vertici dello stato. Pensa che questi eventi potrebbero far vacillare la leadership politica montenegrina al potere da 30 anni?
Forse è questa l’occasione giusta per un vero cambiamento per quanto riguarda il sistema di governo e la democrazia in Montenegro. Tutto dipenderà dalla pazienza dei cittadini che protestano e dalla loro capacità di formulare le richieste che potrebbero portare a qualche risultato. Le mobilitazioni e manifestazioni di protesta si svolgono in tutta la regione, in Serbia, in Albania; anche in Macedonia qualche anno fa ci sono state proteste anti-governative. I movimenti di protesta a volte ottengono certi risultati, a volte falliscono. Molto dipende dalla pazienza e dalla prontezza dei cittadini a protestare per un periodo sufficientemente lungo, nonché dalla loro capacità di formulare richieste realistiche.
È inoltre necessario che il movimento di protesta instauri una qualche forma di collaborazione con le forze che offrono un’alternativa politica. In Serbia, come abbiamo visto, il problema principale è che le forze di opposizione sono deboli, nel senso che non offrono alcuna soluzione concreta e i cittadini non le percepiscono come una valida alternativa politica.
In Macedonia la situazione era diversa, perché i manifestanti avevano instaurato stretti rapporti con l’opposizione, e questa collaborazione aveva portato risultati concreti. Tutto era cominciato con lo scoppio di una serie di scandali, che avevano dimostrato come il governo abusasse dei suoi poteri; poi i cittadini erano scesi in strada ed era riuscita a imporsi una forza politica alternativa in grado di offrire un approccio diverso. Solo mettendo insieme tutti questi fattori è possibile giungere a un vero cambiamento politico, e in Montenegro evidentemente mancano ancora questi presupposti. Vedo che l’opposizione montenegrina è profondamente divisa; le forze di opposizione hanno idee diverse su come guidare il paese e godono di scarsa fiducia dei cittadini. I cittadini scendono in strada per protestare anche a dispetto dell’opposizione, non sulla spinta dell’opposizione.
L’opposizione montenegrina ha recentemente firmato un accordo con gli organizzatori delle proteste e ha appoggiato i cittadini che scendono in piazza per protestare. Pensa che i partiti di opposizione abbiano capito che le divisioni non portano da nessuna parte e che solo uniti possono combattere il potere?
Questo è sicuramente un segnale. È ovvio che un’opposizione divisa non può conseguire alcun risultato. Il problema è che tra i partiti di opposizione montenegrini esistono differenze sostanziali, nel senso che alcuni partiti offrono un’alternativa filoeuropea focalizzata sulle riforme, e altri invece una politica piuttosto retrograda e nazionalista, ed è molto difficile unire tutte le forze di opposizione quando ci sono alcuni politici, come Nebojša Medojević, che diffondono le teorie del complotto dell’estrema destra. Questa retorica è in contrasto con l’idea di un cambiamento finalizzato all’attuazione di riforme serie, alla creazione di istituzioni indipendneti e al miglioramento delle condizioni di vita. Questo è un problema per l’opposizione. Se l’opposizione dovesse decidere di ritirare l’appoggio alle proteste perderebbe ogni credibilità. Non intravedo nella situazione attuale alcuna possibilità che venga compiuto un passo decisivo verso un cambiamento della dinamica politica nel paese. Il Montenegro ha bisogno di un cambiamento sostanziale del sistema politico; è necessario separare lo stato dal partito al potere e rompere l’egemonia di quest’ultimo, ma è un processo che avanza un passo alla volta, e al momento non intravedo alcuna strategia finalizzata al raggiungimento di questo obiettivo.
Secondo lei è possibile raggiungere questo obiettivo senza l’aiuto della comunità internazionale?
Penso che sia molto difficile. L’energia, le iniziative e le idee devono venire dal paese, se vengono da fuori non porteranno ad alcun risultato. Dall’altra parte, è molto difficile ottenere il sostegno della comunità internazionale, ma è altrettanto difficile riuscire senza di esso. Prendiamo l’esempio della Macedonia. All’inizio delle proteste, i principali attori internazionali, soprattutto l’Unione europea, erano piuttosto scettici. Per loro, purtroppo, in queste situazioni la stabilità è più importante dello stato di diritto. È sufficiente che il governo dichiari formalmente di essersi impegnato ad assicurare lo stato di diritto. Un altro aspetto che può rivelarsi problematico è legato al fatto che i governi possono sfruttare l’inerzia degli attori internazionali a proprio vantaggio, sostenendo di godere del loro appoggio. Questo ostacola ulteriormente ogni tentativo di introdurre cambiamenti interni.
Inoltre, se l’opposizione è favorevole all’ingresso del paese nell’Unione europea deve essere credibile, affermando di essere in grado di perseguire questo obiettivo con maggiore efficacia rispetto al governo, e deve cercare di ottenere il sostegno della comunità internazionale. Credo che ciò sia possibile, ma bisogna agire secondo una precisa strategia. Abbiamo visto che la cancelliera tedesca Angela Merkel non ha incontrato Milo Đukanović durante la sua recente visita a Berlino, e questo non senza motivo. La Merkel non ha voluto incontrare Đukanović, dimostrando in tal modo che Berlino sta perdendo la pazienza nei confronti dell’élite al potere in Montenegro. Bisogna sfruttare questo momento. Secondo me, l’opposizione montenegrina dovrebbe cercare di instaurare e rafforzare buoni rapporti non solo con i governi dei paesi occidentali ma anche con i partiti politici europei. Le coalizioni di partiti politici europei sono molti forti e possono giocare un ruolo negativo, fornendo sostegno ai regimi autoritari. Orbán gode del sostegno dell’Alleanza dei conservatori e dei riformisti europei, mentre il partito al governo in Montenegro, il Partito democratico dei socialisti, ha ottenuto il sostegno dell’Alleanza dei socialisti e democratici europei. Quindi, se volete criticare e cambiare la situazione politica nel paese dovete intrattenere buoni rapporti con i partiti politici europei.
Il Montenegro e la Serbia si trovano in una situazione simile per quanto riguarda sia i negoziati di adesione all’Unione europea sia il sistema di governo. Vučić e Đukanović a volte sembrano andare d’accordo, a volte si criticano a vicenda, ricorrendo alla retorica nazionalista. Pensa che questi scontri tra Vučić e Đukanović, ma anche tra gli altri leader dei paesi dei Balcani, siano solo una messinscena?
Vučić e Đukanović usano strategie molto simili. Ricorrono alla retorica nazionalista quando conviene loro, per provocare tensioni. Sono allo stesso tempo piromani e pompieri. Hanno sempre bisogno di crisi per poter presentarsi come garanti di stabilità. Se non ci fossero crisi, scontri, problemi bilaterali, nazionalismi, cosa farebbero Vučić e Đukanović? Il loro potere si nutre di crisi. Sono molto pragmatici, è proprio grazie al fatto di essersi dimostrati più pragmatici di altri leader politici che sono riusciti a salire al potere. Io non ci vedo alcuno scontro, è una messinscena. Anche per quanto riguarda le relazioni tra Serbia e Kosovo, non credo che Thaçi e Vučić siano migliori amici, ma quel gioco in cui si odiano a vicenda non è nient’altro che una messinscena, pensata soprattutto per il pubblico locale.