L’UE nei Balcani, “resilienza” la parola chiave?

Nei Balcani la politica di cooperazione internazionale UE si intreccia con le prospettive di allargamento dell’Ue. L’evolversi delle strategie verso l’area, ha dato uno spazio crescente al concetto di "resilienza"

27/06/2019, Ornaldo Gjergji -

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Federica Mogherini in visita ufficiale in Macedonia del Nord - Alexandros Michiailidis / Shutterstock

Negli ultimi dieci anni, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e la conseguente istituzione del Servizio Europeo di Azione Esterna (SEAE), l’Unione europea ha cominciato ad essere più attiva in politica internazionale, cercando di mettere in pratica una politica estera coerente e condivisa dai suoi stati membri, in grado di portare avanti i valori e gli interessi dell’Unione.

Nel 2014, con la nomina di Federica Mogherini ad Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, è iniziato un processo di riflessione strategica mirato a forgiare una visione condivisa e preparare il terreno per un’azione comune dell’Unione europea come attore internazionale. L’obiettivo era quello di superare la European Security Strategy (ESS) del 2003, l’unico documento strategico pubblicato dall’UE fino ad allora, considerato ormai obsoleto visti i profondi mutamenti in atto nella politica internazionale e le crisi correlate: dalla crisi economica fino a quella delle democrazie liberali, passando per i nuovi conflitti in Medioriente ed Ucraina, la crisi migratoria e la minaccia del t[]ismo di matrice islamica.

La riflessione strategica voluta dall’Alta rappresentante è culminata nel 2016 con la pubblicazione della European Union’s Global Strategy (EUGS). Un vero documento strategico che, diversamente dalla ESS, oltre a elencare i rischi e le priorità in politica estera e di difesa, getta le basi per le risposte da dare per affrontare le sfide e realizzare gli obiettivi dell’Unione in un mondo innegabilmente “connesso, conteso e complesso”.

Fra i cambiamenti introdotti dalla EUGS, vi è l’adozione del concetto relativamente nuovo di “resilienza” come fulcro della politica estera e di cooperazione internazionale dell’UE.

Cos’è la resilienza e a cosa serve

“Resilienza” è un termine preso in prestito dalle scienze naturali e dallo studio dei sistemi biologici. Applicato ai sistemi di governance, la resilienza indica la capacità di un sistema di resistere agli shock, interni o esterni, e tornare al suo punto di equilibrio originario; oppure di adattarsi ai cambiamenti e alle crisi mutando se stesso, essendo in grado di affrontare efficacemente le problematiche e le criticità del mutato panorama socio-politico.

Inizialmente, il concetto di resilienza era stato adottato in merito alle politiche di sviluppo, aiuto umanitario e di gestione dei rischi, in documenti come l’EU Approach to Resilience, e l’Action Plan for Resilience in Crisis Prone Countries for 2013-2020. Nel 2017, con la pubblicazione della Comunicazione Congiunta al Parlamento Europeo e al Consiglio, l’UE ha meglio definito il suo approccio strategico alla resilienza, i cui obiettivi sono: promuovere l’adattabilità di stati, società, comunità ed individui a pressioni economiche, ambientali, demografiche o sociali, al fine di sostenere i progressi per lo sviluppo; rafforzare la capacità di uno stato di resistere a pressioni e shock, mantenendo o ripristinando le sue funzioni, assicurando il rispetto della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti fondamentali; favorire la capacità delle società e delle comunità locali di gestire le opportunità e i rischi in maniera pacifica e stabile.

Come riportato nella EUGS, infatti, “uno stato resiliente è uno stato sicuro, e la sicurezza è la chiave per la prosperità e la democrazia”. Inoltre, “per assicurare una sicurezza sostenibile, non sosterremo solamente le istituzioni statali […]. Una società resiliente caratterizzata da democrazia, fiducia nelle istituzioni, e sviluppo sostenibile si trova nel cuore di uno stato resiliente”.

Quello della resilienza è un concetto che racchiude in sé l’interconnessione fra i vari livelli – nazionali, subnazionali e sovranazionali – di governance e che evidenzia la complessità necessaria per soluzioni di lungo periodo.

La resilienza in pratica: cosa fare, e come

L’azione esterna dell’UE mirata a rafforzare la resilienza nei paesi partner si articola su diverse aree politiche, interdipendenti fra loro: intende stimolare la costruzione di società partecipative ed inclusive, poiché favoriscono lo sviluppo economico, la prevenzione di conflitti e la legittimità e forza delle istituzioni democratiche; vuole sostenere uno sviluppo economico che sia sostenibile e che punti a standard elevati per quanto riguarda i diritti economici e sociali; ritiene centrale la prevenzione dei conflitti, promuovendo l’inclusione sociale, l’accesso alle risorse, e il rafforzamento delle istituzioni; pone attenzione al cambiamento climatico e al degrado ambientale, mediante la costruzione di aree urbane in grado di resistere a shock naturali che potrebbero mettere a rischio l’incolumità o la sicurezza economica della popolazione; infine spinge alla presa d’atto del crescente fenomeno migratorio, a cui può essere fatto fronte solo mediante l’elaborazione di politiche economiche e sociali in grado di catturare la complessa interazione tra demografia, istituzioni democratiche, squilibri economico-sociali, conflitti e ambiente.

L’UE ha stilato un decalogo di linee guida da seguire per portare a compimento efficacemente l’approccio strategico alla resilienza nella cooperazione internazionale:

  • Rafforzare  la resilienza  è un mezzo e non  un fine.
  • La comprensione dei fattori di resilienza in un determinato contesto può aiutare la preparazione per contrastare le pressioni e gli imprevisti in modo più efficace.
  • La resilienza  è legata a  contesti specifici  e richiede approcci  specifici.
  • Individuare  e sviluppare  le fonti positive  di resilienza esistenti  è importante quanto reperire  e affrontare le vulnerabilità.
  • La resilienza  è un fattore  di trasformazione  e non di mantenimento  dello status quo.
  • La resilienza richiede un approccio politico.
  • La resilienza  richiede una  programmazione  consapevole dei  rischi.
  • La flessibilità e l’adattabilità sono necessarie a costruire un programma che miri a sviluppare la resilienza.
  • Alla rapidità dei segnali di allerta deve corrispondere la tempestività dell’azione.
  • ll punto  di partenza  operativo è una  più ampia analisi  dei punti di forza,  dei punti deboli e delle pressioni.

Nello sviluppo delle politiche di azione esterna, l’UE cerca di connettere le istituzioni e le società attraverso interventi mirati a rafforzare le infrastrutture critiche, la sicurezza energetica, l’adattamento climatico, lo sviluppo economico, l’occupazione, la salute pubblica e la ricerca scientifica. Queste politiche sono sviluppate dando enfasi al multilateralismo e all’inclusività. Nella sua azione esterna L’Ue intende infatti procedere in modo armonico con le politiche di altri attori internazionali, come le Nazioni Unite, l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Organizzazione internazionale del lavoro, e il G20, nonché di concerto con i vari attori della società civile dei paesi beneficiari.

Resilienza e Balcani

Ai Balcani è rivolta un’attenzione particolare dall’azione esterna della UE. Fra i paesi della regione infatti vi sono infatti quattro candidati ufficiali all’adesione: Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia; mentre Bosnia e Kosovo, anche se ancora non sono paesi ufficialmente candidati, stanno da anni intraprendendo la strada verso una futura integrazione.

Il 6 marzo 2017, alla chiusura del Consiglio "Affari Esteri" della UE, parlando dei Balcani, la Mogherini ha dichiarato come la regione sia esposta a diverse sfide e tensioni, sia interne che esterne e che “i Balcani potrebbero facilmente diventare uno degli scacchieri su cui potrà essere giocato il gioco delle grandi potenze”.

Nella regione si può osservare infatti una crescente attività di potenze non europee, come Russia, Cina e Turchia, che portano avanti politiche di diplomazia economica e culturale ed i cui interessi, come nel caso russo, sono distanti se non antitetici all’integrazione europea della regione. Per far fronte a quelle che considera ingerenze esterne il SEAE ha costituito la Stratcom Western-Balkans Task Force e la Commissione ha finanziato iniziative per rafforzare l’indipendenza dei media per salvaguardare la qualità dell’informazione pubblica.

Per quanto riguarda la dimensione interna, vi sono dinamiche che creano tensioni in alcuni paesi o tra paesi che, evidenzia l’Alto rappresentante, “sono estremamente pericolose perché potrebbero portare la regione indietro di anni”.

L’Unione europea cerca di far fronte alle debolezze politiche ed istituzionali dei paesi della regione attraverso il sostegno al processo di integrazione europea nonché finanziando programmi finalizzati a salvaguardare la libertà e l’indipendenza dei media e sostenendo il ruolo della società civile nei processi decisionali. Per combattere e prevenire il rischio di radicalizzazione nei Balcani l’UE ha istituito il la Western Balkans Counter T[]ism Initiative e il Radicalization Awareness Network to the Western Balkans. Per sostenere gli sforzi fatti dai paesi della regione l’UE ha implementato delle misure per il sostegno all’aiuto umanitario che vede impegnati paesi come la Bosnia Erzegovina, oltre a garantire l’integrità e la sicurezza dei confini della regione mediante la Western Balkans Border Security Initiative.

Rilevanti problematiche restano anche quelle economiche, campo in cui l’UE è impegnata con i programmi di sostegno più ingenti al mondo. I paesi candidati, infatti, possono godere di investimenti finanziati da diverse iniziative, strutture e framework attivati dall’UE. L’Unione europea è anche il principale partner commerciale per tutti i paesi dei Balcani occidentali, e gli stati membri dell’UE contribuiscono per la maggior parte degli investimenti diretti esteri nella regione.

L’orizzonte politico di lungo periodo offerto dall’UE alla regione dal 1999 ad oggi resta comunque quello di integrare i 6 paesi della regione a tutti gli effetti nell’UE, garantendo loro accesso al mercato unico, nonché ai fondi strutturali. Le prospettive di ingresso nell’UE sono infatti il volano del cambiamento politico nella regione, anche se negli ultimi anni il processo di allargamento avanza con non poche difficoltà. Per quanto la Commissione abbia delineato nel 2018 una strategia credibile per la prospettiva di allargamento verso i paesi balcanici, la regione sembra però più lontana oggi, rispetto a pochi anni fa, a diventare parte dell’Unione.

 

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto ESVEI, co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa. 

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