Basta ricatti sui Balcani occidentali, l’Europa si pensi a 33

"Riformare l’UE, e solo allora aprire ai Balcani". Il ragionamento del presidente francese Macron – oggi forte in Europa – sembra sensato, ma porta fuori strada. L’UE deve cambiare pensandosi a 33, senza lasciare alla deriva i Balcani occidentali

04/07/2019, Luisa Chiodi - Trento

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Balcani - deepstock/Shutterstock

Da anni i ragionamenti sull’allargamento dell’UE ai Balcani si ripetono stancamente, niente di nuovo, solo ostacoli da una parte e vittimismo dall’altra. E’ arrivato il tempo di cambiare discorso. Di smascherare chi approfitta del fatto che si tratti di un tema spinoso per fare fumo retorico e politiche miopi o cattive.

Poche cose sono chiare a tutti: l’UE ha attuato un allargamento massiccio 15 anni fa ma non è riuscita a dotarsi di strumenti efficaci per sanzionare gli stati membri devianti dal modello democratico. E’ rimasta un’unione basata sull’adesione volontaria dei suoi membri e questo non poteva che costituire un presupposto pericoloso. Evidentemente, non c’era spazio di manovra al momento della firma del Trattato di Lisbona. E tuttavia si è creato un vulnus pericoloso per il nostro consorzio tra stati, come ha dimostrato la deriva autoritaria in Ungheria e Polonia. 

Oggi dunque la sola idea di avere altri sei stati potenzialmente devianti – vista la fatica colossale che fanno le rispettive classi dirigenti a far funzionare i propri sistemi politici nel rispetto delle regole democratiche – giustificherebbe la paralisi del processo di allargamento.  Macron in primis sembra proporre un ragionamento coerente quando invoca la necessità di rafforzare il funzionamento dell’UE approfondendo l’integrazione politica prima di proseguire il dialogo con i Balcani occidentali. E invece si sbaglia e ci fa sbagliare. 

Tanto per cominciare, il processo di integrazione dei Balcani  occidentali è ancora lungo e tortuoso. Stime alquanto ottimistiche citano il 2025 come possibile data d’ingresso dei paesi più avanti nel percorso, attualmente Serbia e Montenegro. Come sanno tutti da tempo, prima di essere ammesso nell’Ue un paese candidato deve chiudere tutti capitoli negoziali e poi dimostrare di avere un sistema politico ed economico che funziona secondo le regole comuni. In caso contrario, uno qualunque degli stati membri può rimandare indefinitamente il suo ingresso. Compiere progressi nel processo, aprire e chiudere nuovi capitoli negoziali, non costringe di per sé i paesi membri ad un impegno irrevocabile verso i candidati. Basti l’esempio della Turchia, che 15 anni fa faceva passi avanti notevoli nel dialogo con la Commissione europea, ma il suo percorso di integrazione ha subito un arresto ormai considerato da tutti definitivo per la volontà di paesi come la Francia. 

Ciò significa che Macron, che agita lo spettro della propria opinione pubblica a rischio di deriva euroscettica, potrebbe facilmente spiegare agli elettori che non corrono alcun rischio: la Francia può fermare qualsiasi paese balcanico in modo semplice e definitivo qualora lo ritenesse opportuno. Alla spaventata opinione pubblica francese Macron potrebbe poi evidenziare che quello che conta davvero è il processo di integrazione, quel percorso complesso che consente ai Balcani occidentali di affrontare riforme radicali per diventare un mercato ed una democrazia liberale funzionanti. 

Per fare un solo esempio, senza la spinta dell’UE l’Albania non avrebbe mai avviato la sua difficile riforma della giustizia. Si tratta di una riforma così destabilizzante per l’establishment di Tirana, e che vede così tanti portatori di interesse rischiare di perdere la propria posizione di privilegio, che senza un intervento esterno non sarebbe mai iniziata. Per restare all’esempio, contrariamente a quanto si legge spesso, l’integrazione europea produce risultati concreti, in tempi medio lunghi, e alcuni di questi mettono in moto dinamiche interne difficili da anticipare: e infatti ancora non sappiamo come si concluderà la riforma della giustizia albanese data la forte conflittualità politica che ha scatenato.  Diventa quindi particolarmente importante che l’UE mantenga un atteggiamento coerente e un sostegno convinto nel tempo per fare sì che i risultati auspicati vengano effettivamente raggiunti.

Di contro, quando il processo di integrazione europea si è arrestato in questi anni, i fragili paesi dei Balcani sono finiti regolarmente in pericolose derive autoritarie. La Macedonia del Nord, cui avevamo promesso l’avvio dei negoziati già nel 2005, ha vissuto anni terribili per via del blocco politico imposto dalla Grecia. La soluzione del contenzioso bilaterale tra i due paesi, arrivata un anno fa, andava premiato senza ambiguità per favorire la stabilità regionale, al contrario di quello che pensa Macron. 

Srdjan Cvijić argomenta in modo convincente a favore dell’introduzione del voto a maggioranza qualificata per l’esame delle tappe intermedie del processo di integrazione europea: non si può lasciare i Balcani occidentali in balia dei capricci di questo o quel leader europeo, dalle credenziali europee più o meno solide. E qui Macron dovrebbe dirci chiaramente a cosa ambisce: se vuole rafforzare davvero l’unione politica tra stati membri, la proposta di Cvijić costituirebbe un ottimo inizio.  

La mia sintesi dunque è la seguente: 

 – nessun cittadino UE dovrebbe essere preoccupato di aprire i negoziati con la Macedonia del Nord e l’Albania, o dei progressi di uno degli altri paesi, perché in ogni momento il processo di integrazione può essere fermato da uno qualsiasi degli stati membri;

 – il percorso per diventare uno stato membro a pieno titolo è ancora molto lungo per tutti e sei i paesi dei Balcani occidentali e non può essere messo in discussione ad ogni cambio di governo di uno stato dell’unione; 

 – ci sono  i tempi tecnici per affrontare in parallelo la riforma del funzionamento dell’UE e assicurare che, gli stati membri che deviano dalle regole concordate, siano sanzionati in modo inequivocabile

 – tutti  i cittadini UE dovrebbero temere le conseguenze della paralisi del processo di integrazione europea dei Balcani occidentali, perché si tratta di paesi di fatto già integrati nello spazio economico europeo, la cui precarietà può solo danneggiare il funzionamento della vicina UE.

Non sono messaggi difficili da far passare alle opinioni pubbliche europee, cambiare la narrazione sull’allargamento è possibile.

Usare i Balcani occidentali come arma di ricatto nella politica interna all’UE non farà bene a nessuno. Avrà invece l’effetto di aggravare l’instabilità e a indebolire il sistema democratico nei paesi di una regione che resta di vitale importanza per l’UE. 

Il processo di riforme dei Balcani occidentali va messo al riparo da politici miopi o capricciosi, optando per il voto a maggioranza qualificata sulle tappe intermedie del loro avvicinamento all’Unione. L’UE non si salverà affossando i Balcani, ma pensandosi a 33 e introducendo regole chiare ed efficaci per far funzionare la sua unione politica.

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