Turchia: la libertà d’espressione è ancora possibile
Şükran Şençekiçer, conduttrice del canale televisivo on-line Medyascope ne è certa, in Turchia – nonostante la repressione governativa – c’è chi è sopravvissuto e fa del buon giornalismo. Ed è da qui che occorre ripartire, con coraggio ed entusiasmo
In Turchia, il giro di vite sulla libertà d’espressione sembra lontano dall’allentarsi. Numerosi giornalisti si trovano in carcere, altri subiscono processi arbitrari mentre i media tradizionali appaiono sempre meno obiettivi. Eppure, anche in un contesto così difficile e complesso, c’è chi continua a credere in un’informazione indipendente e approfondita.
Şükran Şençekiçer è collaboratrice e presentatrice di Medyascope, canale televisivo online che rappresenta una delle realtà più interessanti e maggiormente in crescita del panorama “post-15 luglio”. Abbiamo provato con lei a fare un punto della situazione e a immaginare i possibili sviluppi del mondo dei media in Turchia, anche a partire dalle ultime vicende politiche.
Le ultime elezioni hanno visto la vittoria dell’opposizione in molte città turche. Pensa che questo posso cambiare qualcosa nell’ambito del giornalismo?
Medyascope non è affiliata a nessun partito politico ed è una realtà giornalistica che si propone di essere il più indipendente possibile. Parlo dunque da osservatrice degli sviluppi politici.
Detto questo, non credo che i risultati delle ultime elezioni possano cambiare qualcosa in termini di sicurezza dei giornalisti, repressione o creare spazi di libertà che prima non c’erano. Tuttavia, i cambi politici possono contribuire a formare un’atmosfera diversa. Dopo il tentativo di golpe del 2016, in Turchia è stato introdotto lo stato d’emergenza, la repressione governativa si è intensificata e molti giornali e agenzie di stampa sono state chiuse. Si è instaurato cioè un pesante clima di paura e di diffidenza.
Ma c’è anche chi, come noi, è riuscito a sopravvivere e continua a fare buon giornalismo. Ecco, penso che le ultime elezioni riescano forse ad infondere una maggiore fiducia in tal senso, facendo capire che tutto è ancora possibile e che occorre provare a svolgere il nostro mestiere con sempre maggiore entusiasmo.
Voi non avete mai subito tentativi di censura?
No. Ovviamente ci sono dei limiti che è meglio non oltrepassare ma, fintanto che non insultiamo o attacchiamo qualche personaggio politico in maniera diretta, ci sentiamo liberi di parlare di qualsiasi notizia o argomento ci sembrino degni di attenzione. In tal senso, le uniche regole che ci diamo sono relative alla correttezza dell’informazione: è importante per noi controllare le fonti, riportare i fatti nel modo più accurato possibile, non commettere nessun []e.
Per raggiungere questi obiettivi seguiamo alcuni principi: innanzitutto, non andiamo a caccia di “scoop” o di “notizie sensazionalistiche”. Cerchiamo sempre di prenderci tutto il tempo necessario per analizzare i fatti e raccogliere un numero sufficiente di dettagli che li spieghino. Poi, ci proponiamo di individuare con meticolosità le persone più titolate a parlare delle notizie, a suggerire interpretazioni stimolanti. Infine, prestiamo il più possibile attenzione a non portare il discorso su un terreno di polemica o scontro gratuiti. Al contrario di ciò che avviene in molti media mainstream, dove “risse” e battibecchi sono all’ordine del giorno, non vogliamo mai perdere di vista i contenuti.
Questo vi sta dando una maggiore credibilità rispetto a canali più “ufficiali”?
Credo che Medyascope si sia sicuramente guadagnato la fiducia e il rispetto di una fetta di popolazione, in particolar modo i giovani e gli accademici. Inoltre, il nostro sito cerca di dare spazio a temi e argomenti che in Turchia vengono trattati di rado o in maniera superficiale: scienza e cultura, soprattutto. Da un po’ di tempo, comunque, molte persone si stanno orientando verso canali di informazione diversi da quelli tradizionali. Tanti giornali e televisioni “mainstream” sono sotto il totale controllo del governo e la gente, stufa di sentire solo la voce di Erdoğan e del suo partito Akp, cerca sempre più notizie e analisi attraverso il web.
Dall’altro lato, posso dire che godiamo di una buona stima da parte di chi è coinvolto in episodi e situazioni di una certa rilevanza. Non capita praticamente mai che qualcuno rifiuti di farsi intervistare dalla nostra redazione e questo ci consente di approfondire con cura le notizie e offrire prospettive di buona qualità.
Al momento, in Turchia, più di 150 giornalisti si trovano in carcere e, come lei stessa ha detto, c’è un clima di paura e diffidenza per chi lavora nel settore dell’informazione. Cosa si può fare? Pensa che le campagne e i gesti di solidarietà internazionale servano?
Le campagne di mobilitazione internazionale, le proteste interne e anche le espressioni di dissenso attraverso i social media sono per me dei gesti sempre doverosi. Difficile dire quanto abbiano influito sulla situazione attuale, ma in ogni caso è giusto che continuino. Anche noi proviamo il più possibile a portare la nostra solidarietà a chi è sotto accusa o sotto processo. È importante creare un’opinione pubblica critica rispetto all’operato della Corte di Giustizia: uno dei principali problemi è dato dal fatto che i processi contro i giornalisti non sono equi. Spesso ci si basa su delle accuse generiche e risibili. Ad esempio, sul semplice fatto che i giornalisti abbiano avuto conversazioni telefoniche con affiliati di FETÖ. Ma il compito di un giornalista è appunto cercare informazioni, parlare con tutti… oppure se il direttore di una testata fa parte di qualche gruppo inviso al governo, automaticamente l’intera redazione viene messa sotto accusa. Inoltre, le prove che vengono portate in tribunale sono il più delle volte artefatte o prive di fondamento. Insomma, occorre chiedere a gran voce che il sistema della giustizia turca agisca secondo la legge. La situazione è tale per cui chiunque si opponga o si sia opposto al governo è ora passibile di denuncia e persecuzioni.