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Turchia: Erol Önderoğlu, Ahmet Nesin e Şebnem Korur Fincancı di nuovo a processo
A meno di due mesi dall’assoluzione in primo grado, due giornalisti e un attivista si ritrovano imputati di “propaganda t[]istica”: Erol Önderoğlu, Ahmet Nesin e Şebnem Korur Fincancı dovranno affrontare il processo di appello
La buona notizia è durata lo spazio della pausa estiva, il tempo che nei tribunali la macchina amministrativa riprendesse a girare. A Erol Önderoğlu, rappresentante in Turchia di Reporters sans Frontières, la notifica è arrivata martedì 10 settembre: a breve dovrà presentarsi alla Corte regionale d’Appello per rispondere, ancora, di “propaganda t[]istica”, “giustificazione di atti criminali” e “incitazione al crimine”, dopo che dalle stesse accuse era stato assolto il 17 luglio scorso in primo grado.
Arrestato il 20 giugno 2016 e trattenuto in carcere per 10 giorni, Erol Önderoğlu, assieme ad un altro giornalista Ahmet Nesin e alla attivista per i diritti umani Şebnem Korur Fincancı, ha dovuto affrontare tre anni di quello che lo stesso Önderoğlu, nella sua dichiarazione difensiva lo scorso aprile, aveva definito una vera e propria azione intimidatoria: “Questo processo per me non è che un tentativo di intimidire i giornalisti e i difensori dei diritti in Turchia”.
In difesa del pluralismo dei media, i tre avevano partecipato alla campagna di solidarietà per il quotidiano curdo Özgür Gündem’s, accettando di diventarne “direttore per un giorno”. Poche settimane dopo, nell’agosto del 2016, il quotidiano era stato chiuso e gli autori di diversi articoli erano stati incriminati per incitazione all’attività t[]istica.
L’assoluzione in primo grado era stata accolta a luglio come “un’eccezionale vittoria della giustizia e della libertà di stampa in un paese dove entrambe sono violate ogni giorno”. Lo aveva dichiarato il segretario generale di Reporters sans Frontières Christophe Deloire, che ora, all’annuncio del ricorso presentato dal pubblico ministero, ribadisce: “Siamo sconcertati dall’intollerabile insistenza con cui l’accusa procede contro Erol Önderoğlu e i suoi due colleghi. L’assoluzione era una rara dimostrazione di buonsenso e offriva un barlume di speranza per i giornalisti vittime dell’oppressione in Turchia. Ricorrendo in appello, le autorità mandano alla società civile turca e ai futuri partner un segnale allarmante di rinnovata oppressione”.
Oltre che in questo processo, Önderoğlu è coinvolto anche nel procedimento che pende su una ventina di attivisti colpevoli di aver mostrato solidarietà agli accademici firmatari di una petizione che chiedeva di cessare le attività dell’esercito nei territori curdi, nel sudest del paese. Anche in questa vicenda, la cui udienza per il rappresentante di RSF è prevista per il 7 novembre, le accuse di “propaganda t[]istica” e “sostegno all’attività t[]istica” mirano a colpire la libertà di espressione.
“Per chiunque ami la democrazia è un grave peso essere processato proprio sulla base delle proprie attività professionali o per aver espresso solidarietà – aveva dichiarato Önderoğlu in aprile – noi non siamo tanto preoccupati per le accuse che pendono su di noi come una spada di Damocle, quanto piuttosto per la società intera: siamo preoccupati per l’erosione di quel senso di giustizia che ci tiene tutti uniti”.
La notizia della presentazione dell’appello da parte del pubblico ministero non fa che acuire le preoccupazioni internazionali sulle violazioni delle libertà fondamentali in Turchia, paese dove sono 136 i giornalisti dietro le sbarre, e questo proprio nei giorni in cui una delegazione internazionale di osservatori sta avendo una serie di incontri: oltre che con alcuni reporter, i delegati di IPI , ECPMF – di cui anche OBCT fa parte – e delle più autorevoli organizzazioni che lavorano sulla libertà di stampa, si incontreranno ad Ankara con il ministro della Giustizia, la Corte Costituzionale e la Suprema corte di Cassazione.
Nell’attesa, la mobilitazione a favore di Önderoğlu continua con una petizione che dall’inizio del processo ha raccolto quasi 30mila adesioni.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto