Sorellanza e unità: le lesbiche nella post-Jugoslavia
Lesbian Activism in the (Post) Yugoslav Space – Sisterhood and Unity, libro curato da Bojan Bilić e Marija Radoman e pubblicato da Palgrave Macmillan nel 2019, ci trasporta in un emozionante viaggio alla scoperta dell’identità lesbica nell’area post-Jugoslava
Iniziamo il nostro viaggio in Slovenia, arriviamo in Serbia e in Croazia, e poi ci dirigiamo verso la Macedonia, il Montenegro e la Bosnia Erzegovina. Nel 1987, anno di inizio del nostro viaggio, la Lega dei Comunisti della Jugoslavia si rivelò piuttosto inefficace da un punto di vista politico, e numerosi movimenti alternativi iniziarono a popolare la scena politica.
In uno di questi scenari si riunirono le femministe jugoslave che, per la prima volta, si incontrarono a Lubiana per discutere su come creare un futuro migliore e più femminista per la loro federazione, che era sì socialista, ma si dimostrava ancora molto patriarcale. Nel 1987, quindi, le femministe jugoslave ebbero l’occasione di iniziare a parlare di temi per loro fondamentali, quali la violenza domestica, e di avanzare ipotesi su come contrastarla; e, sempre per la prima volta, dichiararono l’amore lesbico come un argomento di interesse femminista.
Così facendo diedero vita a quelli che furono decenni di attivismo lesbico al fine di creare le condizioni per rendere le donne lesbiche visibili, in modo sicuro, all’interno dello spazio pubblico. Ogni capitolo di Lesbian Activism in the (Post) Yugoslav Space.
, che si affianca agli altri tre volumi pubblicati fino ad ora da un gruppo di autori guidati da Bojan Bilić, si focalizza sull’attivismo lesbico in ciascuno stato della post-Jugoslavia, riportando esperienze vissute in prima persona, interviste, note auto-etnografiche di coloro che hanno partecipato agli eventi e alle iniziative che sono qui descritte e analizzate.
La domanda che unisce questi testi è la seguente: come si possono affrontare le difficoltà derivanti dal proporre un’alternativa al regime autoritario che non ha tenuto conto dell’importanza dell’eredità sociale quando l’intera regione attraversò prima il lungo conflitto, e poi la dolorosa transizione dal socialismo al capitalismo neoliberale? Il libro fornisce, dunque, una serie di testimonianze sulle difficoltà che la Jugoslavia dovette affrontare fino alla sua dissoluzione, ponendo l’accento sulla prospettiva fortemente marginalizzata delle donne lesbiche e sui rapporti di solidarietà che si sono instaurati fra di loro.
Più specificamente, Teja Oblak e Maja Pan ci raccontano come le femministe lesbiche e le femministe queer diedero vita ad iniziative autonome negli edifici che loro stesse occuparono a Lubiana. Ad esempio, il festival collettivo Red Dawns, il gruppo Universitario Lesbico Femminista e il Collettivo Anarco-Queer-Femminista Rog associarono il concetto politico di autonomia all’occupazione fisica degli edifici, ponendo le basi per le organizzazioni politiche alternative, non-mainstream e non tradizionali contemporanee. Sanja Kajinić analizza il tema dell’attivismo lesbico in due momenti cruciali nella storia dell’attivismo LGBT post-Jugoslavo, il Pride di Belgrado del 2001 e il Pride a Zagabria del 2002, soffermandosi sulle esperienze dei partecipanti che furono vittime di odio e violenza. Kajinić dimostra come eventi tanto memorabili, e soprattutto traumatici, abbiano avuto non solo una profonda influenza sulle identità dei partecipanti, ma anche sulla possibilità concreta di organizzare attività lesbiche e femministe nell’area post-Jugoslava.
Nel suo importante contributo sulla situazione delle donne lesbiche nella Macedonia del nord, Irena Cvetković analizza alcuni dei modi in cui le attiviste lesbiche hanno lottato per cambiare la situazione del loro paese e ci racconta come il silenzio diventi un gesto performativo unito all’ignoranza che pervade l’invisibilità delle donne lesbiche all’interno della sfera pubblica macedone. La voce politica delle donne lesbiche è, quindi, un ornamento silenzioso all’interno di quelli che sono i due discorsi più rilevanti da un punto di vista politico-sociale: quello del movimento dei diritti gay e quello del movimento delle donne. Allo stesso modo, il capitolo scritto da Marina Vuković e Paula Petričević dimostra come nessuna delle attiviste intervistate si sentisse pronta a guidare il movimento delle donne lesbiche all’interno del Montenegro, paese che ancora oggi non vede il potenziale del femminismo come un modo per indebolire il rigido regime, intrinsecamente etero normativo. Il loro capitolo pone l’attenzione sulle ambivalenze date dall’appropriazione del concetto di queer da parte degli attivisti, concetto che divulga l’appartenenza al più recente gruppo KvirA e protegge i suoi attivisti dalla violenza omofobica.
Adelita Selmić e Bojan Bilić analizzano il festival PitchWise, tenutosi a Sarajevo, attribuendogli una duplice funzione: da un lato il festival crea uno spazio intimo, e forse addirittura terapeutico, per le sue partecipanti e, dall’altro lato, agisce come agente sensibilizzante che “femminizza” la sfera pubblica e dà visibilità alle donne lesbiche al suo interno. La liberazione delle donne lesbiche viene posizionata, quindi, nella politica affettiva, intersezionale e femminista, sia a livello regionale che a livello transregionale. In assenza di una specifica organizzazione attivista lesbica, a differenza di quelle che esistono in altri stati della regione, PitchWise rappresenta uno spazio effimero di rapporti affettivi che promuovono l’appartenenza lesbica.
Gli studenti italiani potrebbero essere particolarmente interessati al contributo di Irene Dioli, che usa fonti empiriche, quali interviste con attivisti locali e internazionali che provengono da organizzazioni femministe, LGBT, queer, documentari e li inserisce all’interno della narrazione della sua identità di persona queer e ricercatrice dell’area post-jugoslava. Seguendo un andamento opposto a quello che pone l’accento su interventi internazionali, cooperazione, globalizzazione ed europeizzazione, Dioli si focalizza su alcuni esempi di cooperazione regionale e internazionale, evidenziando il supporto che le attiviste italiane lesbiche diedero alle loro colleghe post-jugoslave negli anni dell’immediato dopoguerra, ispirandole a creare incontri lesbici pan-jugoslavi (Lesbian Weeks, le settimane lesbiche).
Il libro si conclude, infine, con i testi di Marija Radoman e Bojan Bilić. Il capitolo di Radoman è un dialogo transnazionale e intergenerazionale con attivisti provenienti da Slovenia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Macedonia, Croazia e Serbia. Il suo contributo intende riassumere decenni di iniziative di attivismo lesbico in sfavorevoli circostanze post-socialiste e post-conflittuali che sono state aggravate ulteriormente dalla crisi economica globale. Il testo esamina inoltre le dimensioni affettive di un lavoro collettivo sulla storia e sulle politiche dell’attivismo lesbico post-jugoslavo. L’epilogo di Bilić, invece, analizza i volumi che sono stati presentati fino ad ora dimostrandone le loro principali due funzioni: fungono da materiale documentativo, poiché includono testimonianze personali, documenti, volantini, pubblicazioni di attivismo; ma raccolgono anche gli stati emozionali dati dall’attivismo, quali paure, delusioni, speranze e gioia. Questi archivi rappresentano un’importante risorsa per far fronte all’esperienza traumatica che tutti gli autori post-jugoslavi condividono, ma offrono anche nuove prospettive di attivismo in questo contesto post-conflittuale.
In ultimo, il viaggio nell’area post-jugoslava narrato da Lesbian Activism in the (Post) Yugoslav Space – Sisterhood and Unity racchiude le voci delle attiviste lesbiche che hanno lottato per la libertà, per la sicurezza e per la visibilità all’interno della loro regione conflittuale. Queste donne non sono state solo testimoni, ma vere e proprie protagoniste di alcuni cambiamenti sociali cruciali nel tentativo di arginare il loro corso distruttivo. In questo modo, hanno spesso creato spazi femministi sicuri in cui le differenze di genere e sessuali si abbracciano e coesistono. Questo volume ha messo molti di questi sforzi su carta, in modo tale che possano essere condivisi ed essere di ispirazione per le generazioni future. Facendo ciò, il libro non solo ha dato spazio a una voce generalmente marginalizzata, ma è diventato esso stesso un posto sicuro, trasformandosi in un lesbian nest, un rifugio per le donne lesbiche.