Bosnia Erzegovina: “Zero”, il lago conteso
L’abbandono di una miniera a Vareš, cittadina di montagna della Bosnia, ha portato un regalo inatteso: un lago dalle limpide acque. Quando il progetto di farne un sito di prova per nuove tecnologie minerarie ha minacciato di trasformarlo, è diventato teatro di una lotta per i beni comuni
Nenad ci aspetta sotto le sagome monumentali di due minatori, in ferro arrugginito, che indicano l’inizio della città. La valle è immersa nello strano contrasto di tranquille montagne ricoperte di abeti, torrenti spumeggianti, e i vetri rotti di enormi stabilimenti abbandonati, ciminiere crollate, impalcature arrugginite. L’aria è mutevole: il tempo di presentarci e il limpido cielo di montagna si è chiuso.
Facciamo pochi passi, giusto al di là della strada, e il dolce paesaggio si sconvolge. Ora davanti a noi si apre un enorme cratere di roccia sfatta, rossiccia e verdastra, che digrada ripidissimo in un lago blu cupo. È lo Jezero Nula, "il lago Zero", nato da quel che resta della più grande miniera di ferro della Bosnia Erzegovina, abbandonata nel 1992.
Zero
Agli occhi di tecnici e amministratori il lago Zero deve apparire come poco più di un cimitero industriale. Eppure basta aspettare che un raggio di sole buchi le nuvole per un istante, e l’acqua si ravviva, mostrando trasparenze inaspettate. Ombre grigie di pesci appaiono brevemente. Sulla riva opposta, il torrente Smreka si tuffa nel lago superando i gradoni con una miriade di cascatelle. Il senso di vuoto della montagna sparita dà al posto un fascino indescrivibile.
Quando fu reso noto che Nula era stato "selezionato" per diventare un bacino di sperimentazione di nuove tecnologie per miniere subacquee, racconta Nenad, alcuni ci videro una grande opportunità per la depressa cittadina bosniaca, altri storsero il naso.
La nascita del lago si intreccia con quella della Bosnia indipendente. Intorno infuria la guerra, la miniera chiude e le pompe si fermano: la falda è libera di risalire. Sin dall’inizio, quando è solo una pozza di acqua gelida, qualcuno prende l’abitudine di andarci a nuotare, incurante del fatto che un’ex area mineraria dovrebbe, per definizione, essere un luogo spiacevole.
Lentamente l’acqua occupa tutto il livello più basso del grande cratere, il livello 0, nula, da cui il nome che gli abitanti gli danno affettuosamente. E sempre di più diventa un punto di ritrovo. Gli adulti ci vanno a pescare, e se ghiaccia, in inverno, ci si può anche pattinare. Ma soprattutto, ci si nuota. I ragazzini non farebbero altro che tuffarcisi, c’è da scommetterci, anche se fosse intriso di acido solforico e metalli pesanti, come molti ex siti minerari. Ma è pulitissimo, come confermano gli studi del 2011 e 2018: l’acqua, che per la legge bosniaca è un patrimonio esclusivamente pubblico, si potrebbe quasi bere.
Una buona notizia
Con il nome perfetto per un luogo imprevisto, il lago Zero diventa forse l’unica buona notizia per gli abitanti di Vareš negli ultimi venticinque anni.
Delle ventimila anime che un tempo affollavano la cittadina, in gran parte operai e minatori, oggi ne restano meno di diecimila. Che non sono più minatori, ma perlopiù pensionati, disoccupati o giovani con la valigia pronta. Chi lavora, come Nenad, lo fa a distanza, magari fa il pendolare con Sarajevo.
"Era la città più ‘jugoslava’ della Jugoslavia", dice Svjetlana, attivista del gruppo sarajevese "Jedan grad Jedna borba" che ha seguito le vicende del Nula. Una delle poche municipalità del paese immuni alle divisioni che hanno fatto a pezzi la Bosnia. Alle elezioni del 1990 vinsero i comunisti, e anche nel dopoguerra, quando i partiti nazionalisti si spartiscono il paese, le divisioni etniche continuano a contare pochissimo, nonostante gli atroci crimini di guerra consumati nella valle. Quando gli chiedo che nazionalità prevale nella città, Nenad sorride elusivo: "Non abbiamo questo genere di problemi, qui".
La nuova chiesa cattolica, quella ortodossa e la moschea sorgono a poca distanza. Seminascosta – sembra una semplice casetta di pietra – sorge la più vecchia chiesa cattolica ancora in piedi in Bosnia. Un anziano padre, felicissimo di poter parlare italiano, gira le pesantissime chiavi del vecchio portone. Un raggio di luce illumina le volte di legno abbellite da delicate pitture, intatte dai tempi dell’Impero Ottomano, che nessun gruppo nazionalista ha provato a demolire.
Smantellamento
La riluttanza ad accettare il nuovo corso bosniaco, basato sulle identità nazionali, non è però bastata a risparmiare a Vareš il destino del resto del paese: smantellamento delle infrastrutture, privatizzazioni selvagge, emigrazione.
Nel 2014 i tecnici di un consorzio di società provenienti da cinque paesi europei mettono gli occhi sul lago Zero e la Fondazione per la Ricostruzione e lo Sviluppo di Vareš diffonde la notizia in pompa magna. Il progetto ¡Vamos! punta a sviluppare nuove tecnologie per estrarre minerali da miniere sommerse. Promette di recuperare molti siti abbandonati e allagati, "in maniera sostenibile", riducendo la dipendenza dell’Unione europea da paesi non membri. Per questo riceve fondi dal programma Horizon2020. Si lascia intendere che, se il collaudo dei robot minatori che setacceranno il fondale in cerca di materie prime andrà bene, chissà, anche Vareš potrà rinascere.
Mentre le date di inizio dei test si avvicinano, l’affare si rivela molto diverso. I particolari sono resi noti, per []e, dalla Fondazione per la ricostruzione e lo sviluppo della cittadina, che inavvertitamente pubblica dei documenti riservati ai soli partner del consorzio.
All’idea di riaprire la miniera, tutto sommato, non credeva nessuno. Ma quello che i documenti descrivono, nero su bianco, è ancora peggio. Gli scopi dei test nel lago Zero vanno oltre la produttività della nuova tecnologia: ci si concentra sugli effetti dello smaltimento degli inerti, sulla stabilità strutturale delle rocce, ma soprattutto sugli impatti ambientali. Il programma si pone l’obiettivo di valutare gli effetti delle sperimentazioni sulle proprietà chimiche e fisiche dell’acqua, sull’entità dell’inquinamento atmosferico, sulla dispersione di polveri, sulle emissioni di vibrazioni, rumore e così via. Conseguenze difficili da stimare nell’altro sito delle sperimentazioni, Lee Moor, Inghilterra: un’ex cava di caolino che, si legge nel report, viene usata come bacino di smistamento di un depuratore di acque fognarie.
Lee Moor non è certo la stessa cosa dei sei milioni di metri cubi di acqua pulita, che si riversano nel fiume Stavnja e, da lì, nella Bosna, l’arteria che irrora tutto il paese e che la città di Vareš ha letteralmente adottato. Anzi, verrà colta anche l’opportunità per valutare l’accettazione dei test da parte della popolazione.
Topi da laboratorio
È il marzo del 2018. Il malcontento dei cittadini, che si vedono trattati come topi da laboratorio, tenta di organizzarsi. Un sito internet apposito, Vaš Vareš , traduce e trasmette informazioni dettagliate su quanto sta avvenendo.
In un gruppo Facebook nato con il proposito di bloccare il progetto, che supera in pochi giorni i 2500 sostenitori, un terzo della popolazione condivide foto e commenti che celebrano l’importanza del lago nella vita quotidiana. Nel movimento non c’è un’organizzazione, né gerarchia. E non c’è tempo: gli ultimi sopralluoghi si sono tenuti a febbraio di quello stesso anno e i test che rischiano di distruggere il lago inizieranno entro la primavera. Da Sarajevo, l’associazione EkoAkcija, il gruppo Jedan grad jedna borba ("Una città, una lotta"), e la sede bosniaca del centro Aarhus danno una mano. Ma la palla è in mano ai cittadini di Vareš, e non si può fare molto oltre all’esposizione civile e testarda degli argomenti.
Due lettere aperte toccanti e durissime, indirizzate alla delegazione dell’Unione europea in Bosnia Erzegovina, e al sindaco Marošević, denunciano: a pagare lo sviluppo industriale dell’Europa non devono essere i poveri di Vareš.
Gli attivisti parlano di un processo "poco professionale, riservato e chiuso", soprattutto per colpa di istituzioni bosniache che non hanno vigilato o, se l’hanno fatto, non l’hanno fatto nell’interesse comune. Hanno piuttosto permesso che "un progetto prezioso e significativo dell’UE si basi su test oscuri, controversi e illegali, senza alcuno studio preliminare".
"Quando sono venuti a visitare il sito", continua una delle lettere, "i partner europei di ¡Vamos! hanno visto che erano state presentate una serie di falsità nella domanda, ma hanno anche concluso che a Vareš potevano fare quello che volevano. Hanno accettato l’offerta. E perché mai non avrebbero dovuto?"
Gli attivisti dedicano ironicamente un articolo ai benefici che la località riceverà dai test: la pagina è totalmente bianca. E non è una provocazione: 32mila euro per la Fondazione, partner del progetto e un po’ di "visibilità".
La vicenda conquista allora i media, mentre aumentano le evidenze di numerose irregolarità. I permessi sono stati rilasciati da enti che non avevano l’autorità per farlo, alcune norme aggirate. L’opinione che un altro bene pubblico del paese stia per essere svenduto si diffonde.
Infine, a giugno 2018, viene annunciato che ¡Vamos! rinuncia ai suoi test nel lago Zero. A motivo si adducono una serie di ragioni tecniche, con un’aggiunta stizzita: "Inoltre", si legge nel comunicato ufficiale, c’è stata una "ingiustificata campagna mediatica da parte di alcuni media locali, in particolare portali locali e individui irresponsabili di un gruppo di Facebook della comunità locale, che si sono opposti ai test".
Vittoria
Non è la prima volta che, nelle periferie della Bosnia Erzegovina, pochi "individui irresponsabili" riescono ad prevalere su avversari molto più forti e organizzati. Vittorie isolate, in un paese dominato, in questi ultimi anni, dalla disillusione. Ma è la prova, sostiene Nenad, che bisogna essere tenaci, e i risultati arrivano. Come le donne di Krušćica che, in un altro lembo del paese, hanno impedito con i loro corpi la costruzione di un impianto idroelettrico nel torrente del loro villaggio. Alcune leggi, come quella che sancisce che la risorsa idrica è un bene pubblico e inalienabile, sono efficaci, e non mancano i cittadini, ma anche amministratori e magistrati, pronti a farle valere.
Il progetto ¡Vamos! si conclude in ritardo, nel maggio 2019. L’esito, dichiara il comitato scientifico, è positivo. I test sono stati condotti in un lago minerario irlandese, in una zona disabitata.
"Il ferro e la miniera sono un aspetto importante della nostra storia", commenta Nenad. Una storia che risale a ben prima dell’era industriale. A Oćevija, un villaggio poco più a nord, le fornaci dei fabbri sono alimentate dai mulini ad acqua, una tecnica medioevale che sopravvive solo qui. "Ma non per questo i cittadini di Vareš si identificano solo come minatori – continua Nenad – sono più fieri della fortezza di Bobovac, antica residenza dei re bosniaci, a poca distanza da qui, o delle tante bellezze naturali. La gente rimpiange i tempi in cui la vita era più bella, non la polvere, le deflagrazioni e le demolizioni".
A Vareš i bagnanti possono ancora gioire del lago Nula, il regalo inatteso del passato minerario. "Conosci il vecchio slogan ‘il pane e le rose?’", chiede Svjetlana. "Dimentica le istanze utilitaristiche. Il Lago Zero sono le rose. Il diritto a godersi la vita".