Agrofest a Pukë: a tutt’agricoltura!
Formaggio di capra, confetture di corniolo, funghi essiccati. Sabato scorso cento produttori agricoli del nord dell’Albania si sono dati appuntamento all’Agrofest. Abbiamo intervistato Nicola Battistella, di RTM Volontari nel Mondo, tra i promotori dell’iniziativa
Sabato scorso a Pukë, nord dell’Albania, si è tenuto l’Agrofest. Di cosa si tratta?
E’ una fiera dedicata ai prodotti tipici locali, che si tiene ormai da quindici anni. E’ nata grazie ad Agropuka, un’associazione locale che si occupa di coordinare e formare produttori attivi nel settore dell’allevamento, della raccolta dei frutti di bosco e dei funghi. Noi di RTM, negli anni passati, accompagnavamo qui i produttori beneficiari dei nostri progetti di sviluppo rurale, ma quest’anno vi è stato un passo in più: grazie alle risorse messe a disposizione dal programma Alleanza per lo sviluppo e la valorizzazione dell’agricoltura familiare nel nord dell’Albania cofinanziato da AICS e CEI, abbiamo deciso di contribuire attivamente all’organizzazione dell’evento. Assieme ad Agropuka e alla Municipalità di Pukë abbiamo cercato di concepire la fiera non solo come mercato, ma come luogo di incontro e confronto tra tutte le componenti e gli interessati al comparto agricolo.
Quest’anno erano presenti circa cento produttori, principalmente di Pukë, Fushë Arrëz ma anche di Vau i Dejës e delle zone di pianura, in settori che vanno dalla filiera ovicaprina a miele, funghi, frutta secca, frutti di bosco e relativi trasformati, verdure fresche, conserve e tisane di montagna.
Chi sono i visitatori di questa fiera?
Quest’anno abbiamo investito di più sulla preparazione, sulla visibilità, sulla comunicazione. Questo ha portato più persone che sono in gran parte della zona, ma Agrofest inizia ad attirare anche gente che viene da più lontano: c’erano visitatori da Tirana e Scutari.
Questo avviene perché ora c’è un’offerta maggiore rispetto al passato che va dall’animazione per i bimbi ad una serie di premi per categoria ai produttori.
Per la prima volta poi ci sono stati espositori con macchinari agricoli, ovviamente di piccole dimensioni, soprattutto per la lavorazione del miele, la mungitura o per l’alimentazione degli animali.
Ci può raccontare Pukë e i suoi dintorni?
E’ una cittadina di poco meno di cinquemila abitanti del nord dell’Albania, posta in una zona prevalentemente montuosa, che ha subito un pesante spopolamento a partire dagli anni ’90. Non sono presenti grandi attività economiche per cui lo sviluppo locale si basa su piccole realtà, spesso a gestione famigliare. Questo è l’approccio più sostenibile, data anche l’assenza di grandi infrastrutture di collegamento e di servizi, sia generali sia rivolti al business.
Una fetta rilevante delle persone che vivono in queste aree rurali è occupata nel settore ovicaprino. Parliamo di famiglie che possiedono 60-80 capre, qualcuna 200, e un piccolo laboratorio per la produzione del formaggio. Basano la maggior parte del loro reddito famigliare sulla vendita dei capretti per la macellazione e del formaggio. Per dare una dimensione alle cose: se si hanno 100 capre e si lavora bene si può avere un reddito di 300-400 euro al mese, se spalmato su tutto l’anno.
Ultimamente in questa zona sta crescendo anche la produzione del miele, con famiglie che hanno dai 50 ai 70 alveari. Altra attività è la raccolta e trasformazione di more, lamponi, mirtilli, corniolo. Questi sono per la maggior parte raccolti in natura anche se ora qualcuno inizia con la coltivazione. Formaggio di capra, frutti bosco, e miele sono i tre settori che sembrano più promettenti e sui quali si stanno muovendo più cose.
Perché la presenza di RTM nel nord dell’Albania?
RTM è arrivata per la prima volta in Albania in modo un po’ indiretto, durante la crisi in Kosovo, per dare sostegno ai rifugiati che arrivavano da lì. Poi ha iniziato ad operare proprio in Kosovo dopo la fine della guerra, ma il rapporto con il Nord Albania non è mai venuto meno anche perché vi era la Diocesi di Reggio Emilia, città dove abbiamo sede, presente in zona. Nel 2013 si è deciso di tornare in maniera più costante in Albania intervenendo in due settori, quello dello sviluppo rurale e quello dei diritti delle donne.
Tornando all’Agrofest, uno dei suoi stand era dedicato al marchio “Sapori del nord”…
Uno dei risultati dei nostri progetti è stata la creazione di un marchio, e di un relativo disciplinare, per i prodotti ovicaprini di montagna, in particolare dedicato al formaggio. Il marchio, in albanese Shija e Veriut, è nato dal lavoro insieme ad un gruppo di allevatori. Non è stato ancora ufficialmente presentato, probabilmente lo faremo in primavera, ma intanto abbiamo deciso di farlo girare in contesti di questo tipo.
L’idea è quella di un marchio per i prodotti ovicaprini che possa fungere da traino anche per altri prodotti tipici e per le piccole "guesthouse" che offrono ai visitatori produzioni locali.
Utilizzare la promozione di un prodotto molto tipico come il formaggio di capra per trainare anche altre tipicità della zona è cruciale. Con queste azioni comunitarie si vuole ovviare ai problemi che sono connessi alla piccola se non piccolissima dimensione delle attività produttive locali.
Vi è stato qualche produttore a Pukë che l’ha particolarmente colpito?
L’emigrazione qui colpisce spesso i giovani, che cercano lavoro fuori e quindi nelle zone rurali spesso rimangono gli anziani. Ciononostante sia a livello di pubblico che di produttori all’Agrofest siamo riusciti a coinvolgere giovani tra i 25 e i 35 anni, che si sono dimostrati particolarmente attivi e propositivi.
Hanno poi raccolto un certo successo sia a livello di prodotti sia nel riuscire ad infrangere quell’immagine del settore ovi-caprino che troppo spesso è associato a situazioni di indigenza a un ‘non c’è altro da fare, ci tocca fare questo’.
I casi di questi ragazzi giovani che riescono nel loro settore ha un impatto enorme su quello che viene visto come un lavoro marginale e diventa invece un lavoro che può portare a bei risultati.
Tutto questo ha tra l’altro impatto anche sull’introduzione di miglioramenti nei processi produttivi: questi giovani sono disposti a sperimentare, introdurre cose nuove, mettersi in gioco.
Ha trascorso ormai qualche anno in Albania ad occuparsi di sviluppo territoriale. Quali gli elementi più critici?
Gli elementi sui quali ci sono più criticità sono sostanzialmente strutturali. Innanzitutto la carenza di infrastrutture, dalle strade al fatto che la fornitura elettrica in alcune zone è ancora molto incostante – oppure non c’è – e questo pone seri problemi per la conservazione dei prodotti.
Poi vi è l’inaccessibilità a sovvenzioni istituzionali e la difficoltà ad accedere al credito. Risulta difficile fare investimenti se non si hanno sovvenzioni governative o se andando in banca per chiedere un prestito vengono richieste condizioni che risultano proibitive per la maggior parte dei produttori locali. Si parla ad esempio di tassi di interessi superiori al 10% per un allevatore di queste zone che non ha alcuna garanzia. Anche le sovvenzioni ministeriali continuano ad essere inaccessibili per la maggior parte di loro, vuoi perché occorre spostarsi nei centri urbani per fare domanda o perché vengono richiesti una serie di requisiti che molti non hanno.
Infine occorre tener presente che molte di queste attività economiche rimangono – almeno parzialmente – informali. Non vi sono vantaggi a regolarizzare completamente un’attività e non vi sono sanzioni se non lo si fa. Questo però rallenta la possibilità di sviluppo in questo settore, limitando ad esempio i controlli costanti sulla qualità delle produzioni o una commercializzazione più organizzata.
Elementi di ottimismo?
Innanzitutto il fatto – ribadisco – che vi sia un consistente numero di giovani che si sta muovendo in questo settore, che è forse una tendenza che abbiamo visto anche in Italia negli ultimi anni. E poi ci sono tentativi – seppur lenti e non facili – di creare reti di produttori. Ad esempio, l’inverno scorso, un gruppo di allevatori ci ha chiesto di aiutarli in questo. E in un paese dove – dato il passato comunista – qualsiasi forma di cooperazione e associazione è vista con disinteresse o in maniera negativa, è stato un segnale forte. Abbiamo quindi iniziato questo percorso che ha portato a luglio alla nascita di un’associazione di allevatori, di cui fanno parte alcuni giovani, tra questi anche alcune ragazze. E’ un primo passo, abbiamo iniziato a fare delle attività, potrebbe finire tutto in sei mesi, ma potrebbe anche portare all’organizzazione di gruppi di acquisto in comune, a sistemi di vendita in comune, all’avvio di trattamenti veterinari comuni. Tutto questo potrebbe smuovere delle cose.
Abbiamo tra l’altro notato che una serie di misure, di trattamenti, di procedure che prima non venivano adottate ora sono entrate nell’agire quotidiano di questi produttori. Nel momento in cui si creano dei casi di buone pratiche, poi si diffondono molto rapidamente: se lavorando con i produttori più attivi e propensi a sperimentare si ottengono dei buoni risultati, poi sono proprio loro a comunicarli ai colleghi. Alcune misure che hanno avuto riscontri positivi, si stanno diffondendo ben al di fuori dei beneficiari dei nostri progetti.
E da parte dei consumatori? C’è maggiore attenzione a questo tipo di prodotti?
Alcuni prodotti su cui abbiamo lavorato molto, in particolare carne di capra e formaggi, si vendono ora ad un prezzo mediamente superiore rispetto a pochi anni fa. E questo, per i produttori, è assolutamente positivo. Hanno giovato senza dubbio gli eventi di promozione. Ma anche il fatto che questi produttori sono più sicuri di sé e non hanno più il timore di non riuscire a vendere il prodotto. Prima accettavano un prezzo basso per liberarsene quanto prima, e incassare quanto si poteva incassare. Ora non c’è più timore di rimanere con dell’invenduto. Il formaggio di capra si fa solitamente da giugno a settembre e quest’anno sarà probabilmente l’ultima fiera a cui molti produttori parteciperanno perché hanno già esaurito le scorte. Ora piccole produzioni che stanno facendo bene riescono a raggiungere ad esempio Tirana, quando prima erano confinate a Pukë o al massimo a Scutari. Qualcuno ha iniziato a esportare anche negli stati vicini, e serve da esempio e da traino per tutti gli altri.