La guerra raccontata dalle donne, così il Kosovo va agli Oscar
Il lungometraggio "Zana" della kosovara Antoneta Kastrati, ispirato alla tragedia della sua stessa famiglia, rappresenterà il Kosovo agli Oscar. Il film racconta il dolore tormentato delle madri i cui figli furono uccisi durante la guerra: per loro la fine del conflitto non rappresenta la fine della sofferenza
(Pubblicato originariamente da Birn il 10 ottobre 2019)
Il mattino del 10 giugno 1999, solo poche ore dopo la firma dell’accordo di pace che avrebbe posto fine alla guerra del Kosovo tra NATO e Jugoslavia, Antoneta Kastrati e sua sorella più giovane Sevdije fuggirono da casa e cercarono rifugio in una foresta a diversi chilometri di distanza. Kastrati non riuscì a convincere sua madre e sua sorella maggiore ad andare con loro.
Poche ore dopo, sua madre Ajshe, 50 anni, e sua sorella Luljeta, 24 anni, vennero uccise in una casa dove 18 civili avevano trovato rifugio, nel loro villaggio natale di Zahaq, vicino alla città del Kosovo occidentale di Peja/Pec. I responsabili furono un gruppo formato da poliziotti serbi e civili armati. La vittima più giovane fu una bambina di 11 anni.
Queste ore tormentano Kastrati – giorno e di notte – da più di due decenni. Cinque anni fa ha deciso di realizzare un lungometraggio che descrive come una "versione filtrata della mia storia personale". Il film, intitolato ‘Zana’, ispirato dall’esperienza della regista della perdita di sua madre e sua sorella, è stato presentato come candidato del Kosovo per il miglior lungometraggio internazionale agli Oscar del prossimo anno.
Il film di Kastrati utilizza la personale esperienza del dolore e del trauma della guerra del 1998-99 come base per un dramma struggente su una madre la cui vita è stata fatta a pezzi, raccontando quanto possa essere difficile per un genitore rimettere insieme la sua vita dopo la morte di coloro che ama.
“Ho avuto il presentimento che sarebbe accaduto qualcosa di terribile"
"La guerra è la cosa più terribile che può accadere ad un paese ed è la peggiore esperienza, da cui è difficile sfuggire per lungo tempo. Durante tutto il periodo della guerra ho avuto un forte presentimento e non ho voluto essere a casa quando è stato raggiunto un accordo di pace. Ho sentito che assieme alle buone notizie, qualcosa di terribile sarebbe arrivato", ha risposto Kastrati a BIRN in un’intervista telefonica dalla sua casa di Los Angeles.
Anni dopo, mentre stava ancora lottando con i suoi incubi di guerra, ha deciso di cercare di superare il suo dolore cercando di raccontare la sua storia.
"Volevo andare più in profondità, per vedere come qualcosa che non si può più recuperare, come i membri della famiglia perduta, può trasformare la tua vita", ha spiegato. "Dopo la guerra, nonostante quello che hanno vissuto, molte donne in Kosovo non hanno potuto ottenere un adeguato trattamento psicologico", ha aggiunto.
Il film racconta di Lume (interpretata da Adriana Matoshi), un’albanese kosovara che non è mai stata capace di accettare la morte della figlia Zana, di quattro anni, in guerra. E’ ossessionata da incubi notturni e si trova nell’incapacità di avere un altro figlio, anche se non è sterile, a causa delle sue condizioni psicologiche. Alla ricerca disperata di un figlio, il marito Ilir (Astrit Kabashi) e la suocera Remzije (Fatmire Sahiti) la spingono a cercare aiuto da guaritori mistici dopo che la medicina moderna si dimostra incapace ad aiutarla.
Questo film indaga su come le madri che hanno perso i loro figli nella guerra del 1998-99 hanno lottato per articolare il loro dolore, il quale era esacerbato da sentimenti di ingiustizia, e guarda a come le donne hanno affrontato la perdita di un figlio tra le pressioni di una società patriarcale.
"È immaginario, ma deriva anche dalla mia vita. I brutti sogni della protagonista fanno parte dei miei incubi che non guariranno mai", ha detto Kastrati.
"Per le donne che hanno perso i figli, il conflitto continua"
Con il passare degli anni, il tema del disordine post-traumatico da stress nella società del dopoguerra l’ha motivata a raccontare la storia, non appena si è sentita pronta ad affrontare questo episodio straziante della sua vita personale.
"Ci sono problemi profondi. Ho voluto andare oltre e mostrare la realtà della nostra società e le sfide nell’affrontare correttamente i traumi", ha detto.
"Ho visto personalmente che il dramma emotivo continua per molte donne che hanno perso i loro figli durante la guerra. Molte di loro sono tornate ad essere madri, ma ci sono anche quelle come il personaggio del mio film che sentono di non poter essere madre per altri figli. Questo significa che non tutte loro sono riuscite a superare la perdita dei loro figli", ha aggiunto.
Per queste donne che non possono sfuggire al loro dolore, "la guerra continua", sottolinea Antoneta Kastrati.
"La nostra società patriarcale a volte ha fatto sentire di più il peso del trauma alle donne. Le donne sono usate per la guerra, la resistenza (politica) e obiettivi nazionalistici. Ma poi nessuno può vedere quanto profonda e oscura sia la loro sofferenza e il loro trauma".
‘Zana’ riflette anche una sorta di sofferenza collettiva, mostrando come il passato doloroso del paese influenzi ancora in modo cupo, potente e vincolante il presente.
Anche se i colpevoli vengono consegnati alla giustizia e devono affrontare la verità in tribunale, i loro crimini continuano ad avere conseguenze umane, ha sottolineato la regista.
"Per me è successo e non può essere annullato", ribadisce. "Potrebbero esserci condanne in nome della giustizia, ma questo non darebbe alcuna soddisfazione perché nessuno può riportare indietro i miei parenti o cancellare le mie sofferenze”.