Cina nei Balcani: il potere “dolce”

La Cina ha ormai da qualche tempo adottato una strategia di soft-power nei Balcani occidentali con conseguenze sull’assetto geopolitico della regione e ancor più sul processo a lungo termine di adesione all’Unione europea. Una ricerca

14/11/2019, Francesca Bertin -

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Salonicco, Grecia - © Bestravelvideo/Shutterstock

Nei Balcani occidentali la Cina sta sviluppando la sua strategia su più livelli (economico, culturale e politico), contraddistinguendosi per l’uso di soft power, o potere “dolce”, per stringere relazioni di varia natura con i governi nazionali e attori locali. Principalmente gli interessi cinesi sono di tipo commerciale, nel tentativo di creare una rete infrastrutturale a sostegno dell’espansione dei propri mercati in Europa verso paesi con forte potere d’acquisto. Tutto ciò emerge dalla terza edizione di Political Trends and Dynamics, un’analisi promossa dalla fondazione Friedrich-Erbert-Stiftung e dedicata, quest’anno, proprio a Cina e sud-est Europa.

La presenza cinese nei Balcani occidentali costituisce per Pechino una buona occasione per creare relazioni diplomatiche più forti, privatizzare le risorse energetiche della regione ed espandere il proprio export avvicinandosi ai mercati dell’Europa occidentale e in particolare ai settori di investimento nella tecnologia avanzata di quest’ultima.

Nella regione, tuttavia – evidenziano i ricercatori – la maggiore forma di cooperazione non viene attuata tramite investimenti diretti, ma si basa su prestiti per la costruzione di infrastrutture. Nel lungo termine questo approccio rischia di mettere i paesi dell’area balcanica in una condizione di indebitamento che ne mina la stabilità politica ed economica. L’eventuale entrata di questi paesi nell’Unione europea costituisce un’altra fonte d’interesse per la Cina, che tuttavia con la propria azione la sta di fatto ostacolando. Finanziando infatti opere infrastrutturali che intrappolano nel debito i paesi, che abbassano gli standard ambientali e lavorativi, che alimentano corruzione e mancanza di trasparenza – tutti fenomeni questi già ampiamente presenti nella regione – non fanno che contribuire ad allontanare sempre più il progetto a lungo di termine di entrare nell’Ue per i Balcani occidentali. Secondo Valbona Zeneli, Presidente del Dipartimento di Iniziative Strategiche del Centro Europeo George C. Marshall per gli Studi sulla Sicurezza, è anche per questo che l’Unione europea dovrebbe rinnovare il proprio interesse nei Balcani occidentali e utilizzare leve politiche ed economiche accattivanti per stabilizzare il suo vicinato e portarlo più vicino ai propri valori, regole, istituzioni e modelli di governo liberali e democratici.

Nella strategia cinese nei Balcani occidentali – sottolineano i ricercatori della Friedrich-Erbert-Stiftung – c’è un divario tra la presenza crescente di Pechino e la sua immagine nella regione, poiché gli strumenti di soft power usati dalla Cina non corrispondono necessariamente alle priorità degli stati dell’area balcanica. Ad esempio, Pechino ha promosso la costruzione di centri culturali cinesi nell’intento di diffondere nei Balcani il proprio stile di vita e cultura. Questa iniziativa tuttavia non ha riscosso particolare successo: ad oggi ci sono solo due centri ufficiali di promozione culturale, uno a Skopje e uno, in costruzione, a Belgrado. Secondo Plamen Tonchev, capo dell’Unità Asiatica dell’Istituto delle Relazioni Economiche Internazionali (IIER) in Grecia, il modello di sviluppo cinese non interessa particolarmente ai paesi dei Balcani occidentali, così come non aiuta il fatto che Pechino stia instaurando relazioni privilegiate con la Serbia, vedendola più favorevolmente rispetto agli altri paesi della regione.

Certo comunque è che la Cina ha mutato il contesto delle dinamiche regionali nei Balcani, anche adoperando il proprio potere simbolico di potenza economica. Il tempismo dell’arrivo di Pechino nella regione dopo lo scoppio della crisi finanziaria globale ha spianato la strada alle mire espansionistiche commerciali cinesi. Considerandolo un sostegno al proprio sviluppo economico, gli attori locali hanno sostenuto i progetti cinesi, ma non si sono preparati adeguatamente per negoziare con Pechino. Anastas Vangeli, PhD presso l’Accademia polacca delle Scienze a Varsavia, è dell’opinione che elementi di debolezza siano arrivati anche da Unione europea e Stati uniti che, pur avendo tentato nella regione di contrastare la Cina, nel farlo affrontano un grande problema: da un lato hanno contribuito alla creazione dell’immagine della Cina come potenza globale in crescita, e dall’altro le loro agende nell’area dei Balcani hanno inviato segnali troppo contraddittori.

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