I terremoti che scuotono i Balcani

Il drammatico terremoto in Albania, seguito da altre scosse importanti in Bosnia Erzegovina e Grecia, ci ricorda che la penisola balcanica è tra le zone più sismiche d’Europa

28/11/2019, Marco Ranocchiari -

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Carta del rischio sismico in Europa  (progetto SHARE, 2013)

Il terremoto che lo scorso 26 novembre, alle 3:54, ha sconvolto l’Albania è stato il più forte nel paese negli ultimi quarant’anni. I ricercatori hanno situato l’epicentro nei pressi di Durazzo e calcolato una magnitudo 6.2. Le vittime sono almeno trentadue, i feriti centinaia. L’entità dei danni è per ora difficile anche solo da stimare.

Un disastro immane, ma non del tutto inaspettato. Appena due mesi prima, il 21 settembre, due scosse di magnitudo 5,6 e 5,2 a poche minuti l’una dall’altra avevano t[]izzato gli abitanti di Durazzo. A giugno, invece, due terremoti avevano interessato le regioni al confine con la Grecia.

A poche ore di distanza dalla scossa del 26 novembre, inoltre, due sismi hanno colpito la Bosnia Erzegovina (magnitudo 5,4, con danni di moderata entità) e la Grecia (a Creta, magnitudo 6,0). Una tragica coincidenza, debitamente sottolineata dall’attenzione mediatica, che non fa che ricordarci che i paesi balcanici sono tra quelli a maggior rischio sismico del Mediterraneo.

L’Albania e i terremoti

Il Paese delle Aquile è esposto al rischio sismico quasi nella sua interezza. La serie storica dei terremoti nel paese risale al 1851. In quell’anno due eventi catastrofici colpirono la storica città di Berat, danneggiandola gravemente e uccidendo almeno quattrocento persone, e Valona, dove le vittime furono circa duecento. Anche nel Novecento non mancarono i terremoti distruttivi; a differenza di altri paesi europei, però, i dati riguardanti l’Albania sono poco dettagliati e incompleti. Basti pensare, a titolo di esempio, che un grave sisma che nel 1919 colpì l’area di Leskovik fu studiato dai geologi più di cinquant’anni dopo, nel 1972. Nel 1967 fu la volta di Shupenzë, tra Elbasan e il lago di Ohrid, che causò almeno 11 vittime.

Il sisma più devastante nella seconda metà del secolo fu quello del 1979. L’epicentro fu nel vicino Montenegro, ma anche il nord albanese fu gravemente colpito. I successivi quarant’anni, fino al 2019, non videro altri eventi particolarmente gravi, anche se la terra tremò varie volte, anche nella capitale Tirana, che nel 1988 fu interessata da un sisma di magnitudo 5,3.

Le altre tragedie nei Balcani Occidentali

Il 15 aprile 1979, una scossa durata appena una manciata di secondi, con epicentro nei pressi di Bar, in Montenegro, provocò devastazione tra l’allora repubblica jugoslava e l’Albania. Con una magnitudo di circa 7,0 il sisma uccise oltre centoquaranta persone, lasciandone centomila senza un tetto. Scuole, ospedali, alberghi e abitazioni furono rasi al suolo, mentre i beni culturali danneggiati furono quasi millecinquecento. I lavoratori jugoslavi contribuirono agli enormi costi della ricostruzione devolvendo per i successivi dieci anni l’1% del loro salario alla ricostruzione.

La Jugoslavia era già stata colpita da un sisma ancora più grave: quello che, nel 1963, rase al suolo i tre quarti della città di Skopje. La scossa costò la vita a circa mille persone. La ricostruzione, cui contribuirono trentacinque paesi, fu uno straordinario fenomeno di solidarietà internazionale che fece della città macedone un laboratorio di architettura a cielo aperto.

Nei Balcani occidentali, anche la Bosnia Erzegovina nel 1969 (a Banja Luka) fu colpita da un grave sisma.

Il pericolo sismico è una costante di tutto il sud-est europeo, dalla Romania (la capitale Bucarest fu devastata nel 1940 e nel 1977) alla Grecia (1978 e 1999), passando per la Bulgaria e per la Turchia europea. Quest’ultima, con gli oltre quindici milioni di abitanti di Istanbul, rappresenta una delle aree più a rischio del mondo.

Timidi passi avanti

Nella gestione del rischio sismico, le vicende geologiche si intrecciano a quelle politiche ed economiche. Il quadro che ne deriva, per i Balcani, non poteva che essere complicato.

Il registro dei terremoti del passato, primo passo fondamentale per valutare la pericolosità delle diverse regioni, è incompleto, oppure compilato con criteri e lingue diverse. Secondo i ricercatori è molto probabile che si sia persa memoria di eventi importanti, con il rischio di sottostimare l’entità del pericolo in molte zone.

L’isolamento dell’Albania negli anni della dittatura non ha certo contribuito alla raccolta di dati completi sui danni dei terremoti, mentre nei caotici anni Novanta le politiche del territorio furono praticamente inesistenti.

La Protezione Civile nel paese è nata ufficialmente solo con una legge del 2001. Pochi mesi prima dell’ultimo terremoto, nel luglio 2019, è stata approvata una legge che ne regola nei dettagli le funzioni, adottando gli standard di altri paesi europei, come l’Italia, e un approccio tutto orientato alla prevenzione.

Negli ultimi trent’anni l’Albania, come molti paesi balcanici, ha fatto passi avanti nella direzione suggerita dalle Nazioni Unite e dalla comunità scientifica per la riduzione dei disastri, ma tanto resta da fare.

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