Serbia: l’élite al potere travolta dagli scandali

In quest’ultimo periodo in Serbia si affastellano scandali su scandali che vedono coinvolti ministri del governo in carica. Il potere però cerca di minimizzarne la portata e di mettere a tacere i media che non controlla

03/12/2019, Dragan Janjić - Belgrado

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(© Lightspring/Shutterstock)

La scorsa settimana, durante un dibattito in parlamento, la premier serba Ana Brnabić ha dichiarato che suggerirà ai ministri del suo governo di non rispondere alle domande sullo “scandalo Krušik”, definendolo uno scandalo “montato”, e di replicare a domande di questo tipo citando dati sui “risultati del governo”. Questa affermazione lascia intendere che la premier e il governo serbo siano disposti a fornire ai giornalisti (che sono anche rappresentanti dell’opinione pubblica) solo quelle informazioni che gettano una luce positiva sull’operato del governo, ignorando tutte le domande che potrebbero metterli in imbarazzo.

La tendenza del potere esecutivo a eludere domande scomode non è certo una novità, ed è presente anche nelle democrazie più consolidate, dove però i rappresentanti del potere non osano parlare pubblicamente della loro riluttanza a rispondere alle domande scomode. Secondo la premier serba, il ruolo dei media dovrebbe essere ridotto a quello di un semplice mezzo attraverso il quale il potere esecutivo comunica all’opinione pubblica solo ciò che vuole comunicare, e i giornalisti dovrebbero astenersi dal porre domande che potrebbero infastidire il governo. Il messaggio rivolto ai giornalisti è chiaro: chiedete pure, ma fatelo senza alzare troppo la voce ed evitando di sollevare questioni che potrebbero infastidire il potere.

Questa tendenza è, ovviamente, in netto contrasto con il ruolo che i mezzi di informazione dovrebbero rivestire nella società democratica, e potrebbe essere interpretata come un tentativo di ostacolare i media nello svolgere il loro ruolo di controllo nei confronti dell’operato del governo. Se i giornalisti dovessero stare attenti a cosa domandare ai politici il cui operato dovrebbero controllare (o se dovessero essere costretti a consultarsi con loro per concordare le domande), non sarebbero in grado di adempiere alla loro funzione di watchdog della democrazia né di servire l’interesse pubblico, e il loro unico compito sarebbe quello di esaudire i desideri e le esigenze del governo e di altri centri di potere.

Scandali

Lo scandalo Krušik – a cui la premier Brnabić ha fatto riferimento rendendo nota la sua intenzione, a dir poco insolita, di suggerire ai ministri di eludere domande scomode – è scoppiato dopo che alcuni media indipendenti hanno pubblicato una serie di documenti che dimostrano che negli ultimi anni l’azienda privata GIM che si occupa della vendita di armi, legata al padre del ministro dell’Interno Nebojša Stefanović, ha registrato un forte incremento del giro d’affari (negli ultimi tre anni il fatturato dell’azienda è aumentato di circa 3500 volte), mentre nello stesso periodo il fatturato di alcune aziende statali che operano nel settore delle armi è rimasto sostanzialmente invariato. È inoltre emerso che la fabbrica statale di armi e munizioni Krušik vendeva armamenti a prezzi di favore ad alcune aziende private, tra cui anche l’azienda GIM, consentendo loro in tal modo di generare notevoli guadagni.

Tenendo conto del fatto che il ministero dell’Interno svolge un ruolo decisivo nel rilascio delle licenze per la vendita di armi, viene da chiedersi se nella compravendita di armi tra l’azienda statale Krušik e l’azienda privata GIM si sia verificato un conflitto di interessi e se esistano canali informali attraverso i quali vengono esercitate pressioni sulle aziende statali produttrici di armi affinché vendano i loro prodotti ad alcune aziende private a prezzi di favore.

Queste domande restano per ora senza risposta. Nel frattempo, la leadership al potere ha lanciato una dura campagna mediatica, accusando tutti quelli che indagano sugli affari legati all’export di armi serbe di agire contro la Serbia, senza però fornire alcuna spiegazione concreta in merito alle informazioni contenute nei documenti sullo scandalo Krušik pubblicati dai media.

Qualche settimana fa la procura speciale per il crimine organizzato di Belgrado ha ordinato alle autorità competenti di verificare la fondatezza delle rivelazioni sugli affari sospetti dell’azienda Krušik, ma resta da vedere quanto dureranno le indagini. Vi è inoltre da chiedersi perché le autorità non abbiano reagito prima, dal momento che questa vicenda si trascina ormai da anni.

La procura ha aperto un’indagine solo dopo che le informazioni sul sospetto traffico illecito di armi hanno iniziato a trapelare in pubblico ed è diventato impossibile ignorarle. Dall’altra parte, le autorità hanno reagito con la massima prontezza quando sono venute a conoscenza del fatto che un dipendente dell’azienda Krušik, Alekasandar Obradović, ha fatto trapelare alcuni documenti sugli affari poco trasparenti dell’azienda. Obradović è stato subito arrestato con l’accusa di aver rivelato segreti commerciali, ma dopo qualche settimana, sotto la pressione dell’opinione pubblica, è stato rilasciato dal carcere e il giudice gli ha concesso gli arresti domiciliari, a cui è tuttora sottoposto.

Pressioni

Lo scandalo Krušik è solo uno dei grossi scandali che nelle ultime settimane sono stati rivelati da alcuni media serbi che non sono sotto il controllo del governo, ma anche da alcuni esponenti dell’opposizione. La recente decisione del Comitato etico dell’Università di Belgrado, che ha stabilito che il ministro delle Finanze Siniša Mali ha plagiato la sua tesi di dottorato, violando in tal modo il codice etico della professione, ha suscitato un vero e proprio terremoto politico. Siniša Mali non deve necessariamente essere in possesso di un dottorato di ricerca per ricoprire l’incarico di ministro, ma il fatto che abbia usato idee altrui senza citare la fonte lo rende meno adatto a ricoprire questa posizione.

Anche il ministro dell’Interno Nebojša Stefanović, principale protagonista dello scandalo del traffico di armi, è sottoposto a forti pressioni a causa delle accuse di aver falsificato i suoi titoli di studio. Anche Stefanović ha conseguito un dottorato di ricerca (la cui autenticità è stata messa in dubbio da numerosi accademici serbi), ma non è nemmeno chiaro se e come abbia finito la scuola superiore, né presso quale università abbia studiato. Il governo ha reagito duramente alle accuse rivolte ai due ministri, lanciando un’ampia campagna denigratoria contro tutti quelli che indagano su questi e altri scandali, attaccando persino l’Università di Belgrado.

La coalizione di governo sostiene che la decisione dell’Università di Belgrado sull’accusa di plagio della tesi di dottorato del ministro Siniša Mali sia una decisione politica, e alcuni deputati del parlamento serbo hanno persino chiesto le dimissioni della rettrice Ivanka Popović. Dal momento che circa l’80% dei cittadini serbi si informa attraverso i media mainstream – che riproducono fedelmente la narrazione imposta dal regime – , la maggioranza della popolazione ha una percezione distorta di suddetti scandali e sono in molti a credere che dietro a questi scandali si celino intenzioni malvagie dell’opposizione e di alcuni media, che vengono bollati come “mercenari al soldo degli stranieri” e accusati di voler danneggiare la Serbia e il presidente Aleksandar Vučić.

Tutto questo accade in un momento in cui l’opposizione serba è sottoposta a pressioni sempre più forti – sia da parte del governo che della comunità internazionale – affinché rinunci all’intenzione di boicottare le prossime elezioni politiche previste per la primavera 2020 e si accontenti della promessa, fatta dal governo, che le prossime elezioni si svolgeranno in condizioni eque.

L’atteggiamento della premier Brnabić e di altri rappresentanti del potere nei confronti degli scandali di cui sopra, e la loro percezione del ruolo dei media hanno sicuramente un effetto scoraggiante sulle forze di opposizione. Se gli esponenti del governo sono capaci di dichiarare pubblicamente di non essere disposti a rispondere alle domande scomode e se un’istituzione come l’Università di Belgrado può finire così facilmente nel mirino della leadership al potere, che cosa si devono aspettare l’opposizione e altri oppositori del governo durante la campagna elettorale?

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