Montenegro: identità nazionale, religione e politica

Una recente legge sulla libertà religiosa in Montenegro, che prevede la restituzione allo stato di edifici e terreni delle comunità religiose, ha scatenato un’accesa diatriba tra Serbia e Montenegro, che ha coinvolto sia la chiesa che la politica

10/01/2020, Zoran Arbutina -

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Monastero di Cetinje - Montenegro (©sduraku/Shutterstock)

(Originariamente pubblicato dalla Deutsche Welle , l’8 gennaio 2020)

In Montenegro – ormai da settimane – infuria la polemica sui beni della Chiesa ortodossa serba (SPC), una polemica che ha fatto riemergere la questione dell’identità nazionale montenegrina. Ad accendere gli animi è stata la nuova legge sulla libertà religiosa, approvata dal parlamento montenegrino lo scorso 27 dicembre ed entrata in vigore martedì 8 gennaio, che prevede che tutti gli edifici di culto e terreni attualmente posseduti dalle comunità religiose in Montenegro – e che fino all’1 dicembre 1918 erano di proprietà statale – debbano essere restituiti allo stato.

Il governo di Podgorica sostiene che nel 1918 il Montenegro fu occupato e annesso con forza al Regno di Serbia e poi al Regno dei serbi, croati e sloveni. Poco dopo venne soppressa la Chiesa ortodossa autocefala montenegrina e venne istituita la Metropolia del Montenegro, come parte integrante della Chiesa ortodossa serba con sede patriarcale a Belgrado.

Per capire meglio le due interpretazioni contrapposte della nuova legge sulla libertà religiosa e i retroscena dell’intera vicenda abbiamo parlato con Ranko Krivokapić, presidente onorario del Partito socialdemocratico (SDP) e uno degli autori della Costituzione del Montenegro, e con il vescovo della Chiesa ortodossa serba Grigorije Durić, attualmente alla guida dell’eparchia di Düsseldorf e di tutta la Germania.

Una legge per fare chiarezza sulle proprietà ecclesiastiche

Ranko Krivokapić – che ha votato a favore della nuova legge sulla libertà religiosa, nonostante il suo partito sia all’opposizione – sostiene che l’obiettivo principale della legge sia quello di “fare chiarezza normativa”. Stando alle sue parole, la Chiesa ortodossa serba non è il legittimo proprietario di tutti gli edifici di culto attualmente in suo possesso in Montenegro. “La SPC non è registrata in Montenegro come persona giuridica. Non vuole registrarsi e non è riconosciuta come soggetto giuridico in Montenegro. Pretendono di essere al di sopra della legge e dello stato. Il fulcro della questione sta nella necessità che la SPC divenga un soggetto giuridico, come tutte le altre comunità religiose presenti in Montenegro”, afferma Ranko Krivokapić.

Krivokapić ricorda che la Costituzione del Regno del Montenegro del 1905 riconobbe l’autocefalia della Chiesa ortodossa montenegrina, ma i beni usufruiti dalla Chiesa rimasero di proprietà statale, e solo dopo l’annessione del Montenegro al Regno dei serbi, croati e sloveni nel 1918 i beni passarono in proprietà della Chiesa ortodossa serba, per poi essere di nuovo nazionalizzati dopo la Seconda guerra mondiale. Durante gli anni Novanta quando, come afferma Krivokapić, “in Montenegro era al potere una leadership favorevole all’idea della Grande Serbia”, alcuni edifici di culto furono di nuovo ceduti alla SPC “senza alcun fondamento giuridico”. Tuttavia, la maggior parte degli edifici di culto presenti sul territorio del Montenegro – Krivokapić parla di circa il 70-80% – è ancora oggi di proprietà statale, tra cui il monastero di Cetinje. Non si tratta però di un fenomeno circoscritto al Montenegro. Stando alle parole di Krivokapić, “in Francia tutte le chiese sono di proprietà dello stato, come anche nella Federazione Russa”.

Una polemica creata artificiosamente

Il vescovo Grigorije Durić interpreta in modo completamente diverso il significato della nuova legge sulla libertà religiosa. “La legge esige che venga dimostrata la proprietà degli edifici di culto costruiti nel XIII, XIV e XV secolo. Questi edifici furono costruiti grazie alle donazioni, soprattutto da parte dei membri della dinastia dei Nemanjići, ma non solo. Alcuni furono costruiti dal popolo”, sostiene Durić, chiedendosi polemicamente: “Come è possibile trovare un catasto del XIII secolo e dimostrare che un monastero, ad esempio quello di Morača, sia di proprietà della Chiesa?”.

Secondo Durić, quei monasteri furono ceduti alla Chiesa, a quella che all’epoca era l’unica Chiesa legittima, e quella Chiesa vive ancora oggi in quegli edifici. “I cambiamenti politici avvenuti nel corso del tempo non hanno alcun significato per la Chiesa”, afferma il vescovo Grigorije.

A suo avviso, le vere motivazioni alla base della decisione di adottare una nuova legge sulla libertà religiosa non hanno nulla a che vedere con la proprietà degli edifici di culto. “Si tratta di un tentativo di [Milo] Đukanović di innescare uno scontro [interno al paese], perché questa è l’unica cosa che può salvarlo. È risaputo che Đukanović controlla tutto, si comporta come se il Montenegro fosse una sua proprietà privata, tutto il potere è concentrato nelle sue mani”, sostiene Durić, aggiungendo che in Montenegro ormai nessuno, né i montenegrini né i serbi, crede a Đukanović quando dice che la nuova legge sulla libertà religiosa è stata adottata allo scopo di proteggere l’identità nazionale montenegrina. “È solo una scusa”, afferma il vescovo.

“Se Đukanović dovesse riuscire a dimostrare che l’identità e lo stato montenegrino sono minacciati dall’idea della Grande Serbia, potrebbe serrare le fila dei suoi sostenitori, che non sono più compatte come prima, perché i cittadini si sono resi conto che una ristretta cerchia di persone vicine a Đukanović si sta sempre più arricchendo. La gente comune non ha più pazienza di aspettare che [in Montenegro] venga instaurato lo stato di diritto”, spiega Durić.

Stando alle sue parole, la polemica intorno alla proprietà degli edifici di culto è stata creata artificiosamente, allo scopo di surriscaldare gli animi. “Era l’unico modo per innescare uno scontro tra montenegrini e serbi in Montenegro. Penso che lo scopo [di Đukanović] fosse quello di suscitare scontri intorno alla delicata questione religiosa, facendo leva sulle emozioni, e di far litigare i cittadini, e poi poter presentarsi come pacificatore e come l’unico leader che può salvare il paese”.

La questione dell’identità nazionale

Ranko Krivokapić non nega la possibilità che dietro all’intera vicenda si celino interessi politici. “Ogni potere sceglie il momento in cui compiere una determinata mossa”, afferma Krivokapić, aggiungendo che “quella legge era pronta subito dopo il referendum [sull’indipendenza del Montenegro del 2006], a seguito del quale fu adottata la nuova Costituzione del Montenegro, e il prossimo passo da compiere era quello di risolvere i problemi sorti con l’annessione del 1918. Tuttavia, il Partito democratico dei socialisti (DPS) rifiutò di affrontare la questione per motivi politici, e ha deciso di farlo proprio adesso sempre per motivi politici. Ma il fulcro della questione resta lo stesso”.

E il fulcro, secondo Krivokapić, consiste nella necessità di ribadire e difendere l’identità montenegrina. “La Chiesa ortodossa serba nega l’esistenza del popolo montenegrino, e in tal modo nega anche la legittimità dello stato montenegrino. È qui che sta il problema. Loro [la SPC] sostengono che tutti [i cittadini del Montenegro] siano serbi. Questa retorica è parte integrante di una politica imperniata sull’idea della Grande Serbia. La discussione sulla questione dell’identità montenegrina è già stata affrontata in uno degli ultimi quesiti del referendum sull’indipendenza del 2006”, spiega Ranko Krivokapić.

Il ruolo di Belgrado

Krivokapić ritiene che la Serbia stia cercando di politicizzare l’intera vicenda. “Dal punto di vista giuridico è tutto chiaro, ma la SPC e la leadership di Belgrado vogliono ingarbugliare la vicenda con discorsi politici. Sanno di non avere alcun argomento sul piano giuridico, eppure cercano di trasformare i beni che furono loro concessi in uso nella loro proprietà privata”.

Ed è per questo che, secondo Krivokapić, la Serbia ha avviato una campagna politica, allo scopo di incutere timore nei cittadini montenegrini e convincerli che qualcuno sta cercando di impossessarsi dei loro monasteri. “No, i monasteri restano dove sono, possono ancora essere usati. Nessuno sta cercando di destinare questi monasteri a una nuova chiesa, l’intenzione è quella di trasformarli in beni culturali protetti e di rendere la loro struttura proprietaria completamente trasparente”, afferma Krivokapić.

Il vescovo Grigorije, dal canto suo, respinge l’ipotesi secondo cui le autorità ecclesiastiche di Belgrado avrebbero un qualche ruolo nella polemica in corso in Montenegro. “Sono sicuro al 100% che non c’è stato alcun tentativo di intromissione, si è cercato solo di fornire appoggio alle metropolie ed eparchie”, afferma il vescovo Grigorije, aggiungendo di non sapere nulla su un eventuale coinvolgimento del governo di Belgrado.

Denaro e affari segreti

Il vescovo Grigorije offre però una lettura diversa dell’intera vicenda. “La Metropolia montenegrina possiede 1 milione di metri quadrati sulla spiaggia di Buljarica, nei pressi di Budva. Lì può essere costruita un’intera città. Si dice che quello sia stato uno dei principali motivi per adottare la legge, per poter confiscare quel terreno e poi venderlo ad alcuni partner stranieri. Si parla di alcuni investitori arabi. Sono in molti a parlarne. Quella legge non è altro che un tentativo di furto”, sostiene il vescovo Grigorije.

Ranko Krivokapić dice che quella di Durić è un’argomentazione incomprensibile. “Anche adesso la SPC, insieme ad alcuni tycoon montenegrini, sta costruendo appartamenti accanto agli edifici di culto, ad esempio a Podgorica, mentre a Budva vogliono demolire una cappella per costruire al suo posto un centro commerciale. La SPC evidentemente non esita a fare affari con il governo di Podgorica e con diversi tycoon ad esso vicini. Quando si tratta di soldi, la SPC diventa un partner del governo di Podgorica, cioè un partner del DPS che è ormai da decenni al potere in Montenegro. È stato così durante la guerra, ed è così anche oggi”, afferma Krivokapić.

Il vescovo Grigorije ritiene che la Chiesa ortodossa serba operi come un ente ecclesiastico. “[La SPC] ha un’idea chiara: dimostrare che si tratta di una chiesa viva a cui appartiene la maggior parte dei cittadini montenegrini. In Montenegro attualmente si assiste ad atti violenti, ai quali possiamo opporci solo con iniziative pacifiche. Per parafrasare San Francesco d’Assisi, alla miseria possiamo opporci solo in modo pacifico, con la fede nella vita”.

Intanto cresce il timore che in Montenegro si verifichi un’ulteriore escalation di violenza.

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