Abkhazia: la caduta in disgrazia di una presidenza de facto

L’Abkhazia è di nuovo in grave crisi politica, il presidente Raul Khajimba che era stato eletto con un voto di misura nel settembre 2019 è costretto a rassegnare le dimissioni sia per un ricorso fatto dal candidato arrivato secondo sia per scandali legati alla criminalità e che portano sino al Donbas

15/01/2020, Marilisa Lorusso -

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Vista aerea di Sukhumi, capitale dell'Abkhazia (© Vvicca1/Shutterstock)

“Il veleno si beve nell’oro”, queste le parole di Seneca nella tragedia Tieste. L’espressione è rimasta per descrivere che nella dolcezza della coppa si può nascondere la rovina.

Poche espressioni calzano meglio che questa alla caduta in disgrazia della de facto presidenza abkhaza di Raul Khajimba, eletto dopo uno scandalo di avvelenamento in campagna elettorale, e costretto suo malgrado a bere l’amaro calice delle dimissioni forzate dopo un solo semestre alla presidenza.

Il non più presidente

Raul Khajimba, uomo di fiducia di Mosca, non è mai stato un leader popolare. Per tre volte candidato non vincente alla presidenza, è riuscito finalmente a vincere le elezioni nel 2014. Un’elezione, quella del 2014, che seguiva le dimissioni coatte di Aleksandr Ankvab dopo un assalto delle opposizioni al palazzo presidenziale. Ne è seguita l’investitura da Mosca in grande stile e a due mesi dall’assunzione dell’incarico il doppio filo con Mosca si è rafforzato, con un trattato che di fatto ha esteso all’Abkhazia le regole dell’Unione Doganale e posto le forze dell’ordine abkhaze sotto il comando russo.

Il rinnovo dell’incarico presidenziale è arrivato nel 2019, dopo le note elezioni al veleno che hanno portato Khajimba alla presidenza e il candidato dell’opposizione Aslan Bzhania in ospedale per avvelenamento. Sulle elezioni 2019 si è aperta una diatriba legale che ha contribuito al precipitare degli eventi. Il ballottaggio si era concluso con il 47,38% per Khajimba e il 46,19% per il candidato Alkhas Kvitsinia. Andavano assegnati 3154 voti espressi contro tutti, per legge a chi ne ha presi meno. Ma di questi voti secondo Kvitsinia nel suo 46% non c’era traccia per cui ha rifiutato di riconoscere l’esito elettorale e ha fatto ricorso alla corte.

I fatti

La crisi politica è frutto anche del contesto di dilagante criminalità in Abkhazia, con diramazioni in altri scenari di conflitti post sovietici.

Cominciamo da quando questo ribaltone politico pareva ancora lontano: è novembre e nel ristorante San Remo a Sukhumi due uomini vengono uccisi con una scarica di mitra. Vittima anche una cameriera. Si parla di questioni interne ai  cosiddetti “Ladri nella legge”, la mafia di matrice sovietica. Una delle tre vittime è parente di Akhra Avidzba, 34enne combattente in Donbas. Il 6 gennaio una delle guardie del corpo del presidente Khajimba viene arrestato con il sospetto di essere una delle persone coinvolte nella sparatoria. Arrestato per lo stesso motivo anche suo fratello , un ex membro dell’antit[]ismo abkhazo nonché delle forze di sicurezza della repubblica de facto. L’esecuzione nel ristorante assume con questi arresti anche un peso politico. Può il presidente avere un entourage che uccide a mitragliate persone in un ristorante della capitale?

È la tempesta perfetta: lo scandalo scoppia nei giorni in cui si attende il verdetto sulla validità del voto di settembre. Esplode la protesta che porta sotto assedio per quattro giorni il palazzo presidenziale, poi occupato e saccheggiato. Vengono trafugate le armi che si trovano all’interno del palazzo. A capo della manifestazione ci sono figure dell’opposizione, fra cui anche Aslan Bzhania, rientrato nella repubblica secessionista e ripresosi dall’avvelenamento, e Akhra Avidzba. Nelle fila dei manifestanti sarebbe confermata la presenza di combattenti dell’autoproclamatesi repubblica del Donetsk.

Intanto sia i poteri legislativo che giudiziario abbandonano la presidenza Khajimba al destino cui la piazza la sta condannando. Il 9 gennaio l’Assemblea Popolare, il de facto parlamento abkhazo, vota una risoluzione a favore delle sue dimissioni. Il 10 la Corte Suprema annulla le elezioni di settembre.

Khajimba però, asserragliato nella dacha presidenziale che pure è assediata dai manifestanti, non molla. Si dichiara disposto a colloqui con l’opposizione al fine di evitare "un’ulteriore destabilizzazione" e accusa la mozione parlamentare di "aggravare la situazione sociale e politica e [di] portare a conseguenze irreversibili".

Mosca fa, e disfa

Tocca a Mosca portare a più miti consigli il suo uomo. I primi miti commenti ufficiali sulla crisi politica abkhaza parlano di generiche responsabilità della classe dirigente – ma anche dell’opposizione – nel non saper interpretare i bisogni della popolazione. Il 10 comincia la pressione ufficiale di Mosca per mettere fine alla crisi. Arriva a Sukhumi il vice Segretario del Consiglio di Sicurezza russo Rashid Nurgaliev, poi, il 12, Vladislav Surkov, consigliere personale del presidente Putin per le questioni di Abkhazia, Ossezia del Sud e Ucraina. Surkov però non avrebbe incontrato il presidente, ma solo l’opposizione.

Il 12 sera Khajimba non è più presidente, e dichiara di aver scelto autonomamente un percorso dimissionario per evitare spargimenti di sangue.

Caduta la presidenza Khajimba la palla passa nel campo dei manifestanti, ed è il veterano del Donbas Akhra Avidzba a dichiarare la smobilitazione della piazza.

Le conseguenze

Vi saranno quindi nuove elezioni causate da eventi drammatici e tumultuosi, nella secessionista Abkhazia. Nel 2014 era stato dato l’assalto alla presidenza Ankvab, nel 2019 l’avvelenamento di Bzhania, questa volta è avvenuta quella che si può definire la deposizione di Khajimba. In tutti e tre i casi la mobilitazione della piazza non è dovuta all’opposizione politica. Una miscela di criminalità e forze militari o paramilitari giocano un ruolo importante nel decorso delle crisi politiche, sono nelle piazze, fanno i capipopolo figure che non hanno molto a che fare con la routine di amministrazione di un territorio. Interessante in questo caso il contagio fra Donbas e Abkhazia, che suggerisce la nascita di sodalizi bellici trans-regionali fra combattenti che reclamano il peso che il possesso di armi garantisce loro in fasi di instabilità.

Con questo quadro, con il peso di una economia che ristagna, con un crescente isolamento e dopo una nuova tempesta politica, si torna al voto. È stata fissata per il 22 marzo la nuova corsa presidenziale. Khajimba peraltro non esclude di parteciparvi. Si possono già ipotizzare un po’ di nomi di prossimi candidati, cominciando da chi ha incontrato Nurgaliev: Aslan Bzhania e Alkhas Kvitsinia, che era già arrivato al secondo turno contro Khajimba. Bzhania potrebbe essere il favorito. Potrebbe riproporsi Sergey Shamba, promotore di un cauto dialogo con la Georgia. Saranno due mesi di campagna non facile, e nuovamente la crisi ai vertici sottrae risorse alla routine amministrativa.

Salvo nuove intemperie, fino a marzo la presidenza sarà retta da Valerij Bganba, presidente del Consiglio dei Ministri, eletto dal parlamento contestualmente alla mozione per la fine della presidenza Khajimba.

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