Albania del nord: se il formaggio di capra diventa DOP
Nel nord dell’Albania, sulle tracce dell’esperienza del parmigiano reggiano, un gruppo di ong italiane si è attivato per disciplinare la produzione del formaggio di capra locale. Un modo per valorizzare l’intero territorio e sostenere centinaia di famiglie. Un’intervista
Come può aiutare l’esperienza del parmigiano reggiano le zone montuose del nord dell’Albania? Roberta Sangiorgi si occupa per conto della Regione Emilia Romagna – tra le varie cose – di disciplinari di produzione e marchi di qualità. Un’attenzione al territorio che è stata valorizzata all’interno del programma “Alleanza per lo sviluppo e la valorizzazione dell’agricoltura familiare nel nord dell’Albania" promosso da Volontari nel Mondo (RTM ) e Cooperazione per lo sviluppo Paesi emergenti (COSPE ) con il sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. L’abbiamo incontrata.
Lei si occupa di sviluppo di marchi geografici di qualità e disciplinari di produzione. Riesce a spiegarci in modo sintetico in cosa consiste questo lavoro?
In Regione Emilia Romagna mi occupo di fattorie didattiche, educazione alimentare e comunicazione. In Albania ho contribuito a redigere un disciplinare di produzione, e cioè l’individuazione di una serie di regole di produzione per poter poi dimostrare la tipicità di un determinato prodotto.
Nonostante l’apparenza, non è certo un lavoro burocratico. Significa infatti essere presenti sul campo e coinvolgere molte persone. Ad esempio, per quanto riguarda la produzione del formaggio – che è il nostro caso – nel disciplinare devono essere rispettati determinati criteri. Innanzitutto il benessere animale: le stalle devono essere idonee ad accogliere gli animali, ci deve essere ad esempio adeguato spazio. Gli animali devono essere vaccinati, questione particolarmente delicata in queste zone dell’Albania dove è endemica la agalassia.
Poi bisogna definire delle fasi omogenee di produzione del formaggio. Chi aderisce al disciplinare le deve rispettare e in tal senso il progetto ha promosso appositi corsi di caseificazione.
Fondamentale è individuare la storicità e tipicità del formaggio e quindi sono state fatte ricerche ad hoc sulle zone del nord Albania sia nei testi letterari che nei dipinti, sia del ‘700 che dell’800, ed anche un’analisi di reperti archeologici che risalgono all’epoca dei romani per verificare appunto la storicità di queste produzioni.
Infine gli allevatori stessi hanno scelto un marchio o brand con cui identificare il formaggio, in questo caso è stata scelta la denominazione “Shija e Veriut” che significa “Gusto del nord”. Per scegliere il nome sono stati coinvolti anche i consumatori albanesi somministrando questionari on line e all’uscita dai supermercati. Ultima fase è la registrazione del marchio e del prodotto come DOP. Nel nostro caso è stato possibile solo registrare il marchio all’ufficio nazionale marchi e brevetti, ma non è ancora stato possibile intraprendere l’iter di riconoscimento come DOP, perché per la piena efficacia della recente legge sulla registrazione DOP e IGP si deve attendere l’emanazione dei regolamenti attuativi.
Può ripercorrere i primi momenti in cui è stata coinvolta nel progetto nel nord dell’Albania?
Non avevo mai lavorato in Albania anche se avevo già conosciuto l’Albania nel 2014 per un viaggio da turista. Sono stata coinvolta da RTM nel dicembre 2017. Nel febbraio dell’anno dopo sono partita per l’Albania per presentare il consorzio del parmigiano reggiano agli allevatori locali. Era importante spiegare come sia importante unirsi per raggiungere risultati significativi nella fase di promozione del prodotto e di lancio sui mercati.
È stata un’esperienza molto interessante. Le zone del nord dell’Albania dove opera il progetto sono molto impegnative sia dal punto di vista geografico, soprattutto in inverno, ma anche dal punto di vista culturale. Vige infatti una cultura ancora fortemente patriarcale dove spesso la donna è vista come una “proprietà” del marito. Per cui anche solo il fatto che io, donna, fossi lì, è stato un segnale importante.
Durante l’incontro la platea era costituita quasi esclusivamente da uomini. Ricordo ancora, c’erano solo due o tre donne, una aiuto allevatrice ed una veterinaria della municipalità di Fushë Arrëz. Altro aspetto impegnativo è che in Albania c’è ancora molta diffidenza per quelle che in Emilia Romagna vengono chiamate cooperative, a seguito dell’esperienza avuta con il regime dittatoriale di Enver Hoxa. Si utilizza piuttosto il termine consorzio o associazione di allevatori. È stata importante in quell’occasione la presenza di professori dell’Università di Tirana e di esponenti di Agropuka, un’associazione del luogo, che hanno di fatto garantito della positività del consorzio del parmigiano reggiano e delle iniziative che venivano intraprese in Emilia Romagna.
In chiave di disciplinari di produzione e relativi marchi, cosa è stato sviluppato in Albania dal progetto che la ha vista coinvolta?
Sono state oltre 100 le famiglie sostenute dal “Fondo per lo sviluppo dell’agricoltura familiare”, sviluppato dal progetto in cui la Regione Emilia Romagna è stata coinvolta. Sono stati erogati 28 finanziamenti destinati alla ristrutturazione e costruzione di strutture dedicate all’allevamento e alla caseificazione, sistemi di mungitura o conservazione del latte. Sei finanziamenti sono stati assegnati a gruppi di allevatori che praticano l’alpeggio. Altri 25 sono stati dedicati all’agricoltura biologica ed infine una decina di finanziamenti sono stati erogati ad iniziative di turismo rurale.
L’aspetto rilevante del fondo è che ha permesso il miglioramento delle condizioni di lavoro e di reddito per un numero rilevante di unità familiari ed ha favorito l’introduzione di nuovi metodi che rappresentano esempi di buone pratiche e possono essere fatti propri da altri operatori del settore.
In Albania le produzioni agro-alimentari tipiche sembrano avere delle potenzialità notevoli. Vi è consapevolezza da parte delle autorità della necessità di una loro valorizzazione? Quale è la situazione dal punto di vista della legislazione?
In Albania, soprattutto da parte del governo, è ben presente la consapevolezza della necessità di valorizzare le DOP e le IGP. Non è un caso che nel marzo scorso sia stata approvata una legge, la numero 8 del 2019, che riguarda proprio la regolamentazione di questo settore. Ad oggi però non vi sono ancora i regolamenti attuativi e senza questi ultimi non è possibile alcuna registrazione dei prodotti tipici. Non si può quindi ancora parlare di DOP e IGP. Oltre all’approvazione dei regolamenti lo stato albanese deve anche nominare una commissione ad hoc che vaglierà le domande di riconoscimento dei vari prodotti.
E vi è questa consapevolezza tra le contadine, i contadini, gli allevatori?
Gli allevatori sanno bene che se un prodotto acquisisce status DOP o IGP diviene più ricercato sul mercato, perché è tipico e perché vi è certezza – per i consumatori – su come viene prodotto. Hanno inoltre la consapevolezza che questi disciplinari di produzione – procedure senza dubbio impegnative sia dal punto di vista burocratico che di produzione – possono portare maggiori introiti finanziari. Un prodotto DOP o IGP può allargare i suoi mercati e venir venduto dalle zone di montagna sino alla capitale Tirana e, nell’eventualità di adesione Ue, a tutti i paesi dell’Unione europea. Ad esempio un chilo di formaggio venduto a Tirana fa guadagnare il doppio all’allevatore, rispetto allo stesso formaggio venduto nelle Alpi albanesi.
Un punto di forza ed un punto di debolezza della produzione agroalimentare nel nord dell’Albania…
Punto di forza sono senza dubbio i fattori ambientali: l’ambiente è incontaminato, gli animali vanno al pascolo in montagne dove l’industria è assente e dove tutto ciò che c’è è assolutamente naturale.
Un punto di debolezza è che ancora non si parla di produzioni, dal punto di vista quantitativo, adeguatamente ampie. Riescono a soddisfare solo il mercato di Scutari ed in pochi casi si arriva sino a Tirana. Inoltre, nel caso del nostro disciplinare, il formaggio di capra è un prodotto stagionale: viene prodotto nel periodo estivo e quindi al di là di questo periodo difficilmente vi è rendita per i produttori.
In questo contesto quale il ruolo delle produzioni biologiche?
In Albania l’ambiente naturale poco contaminato agevola il biologico. Il fatto è però che le certificazioni costano troppo. Se quindi non ci sarà un intervento pubblico molto difficilmente allevatori o agricoltori albanesi riusciranno ad accedere al sistema delle certificazioni. Per cui si può parlare soprattutto di biologico non certificato, con produzioni di fatto biologiche ma che non vengono valorizzate dalla certificazione.
Negli ultimi vent’anni si sono strette relazioni forti tra molti territori italiani e realtà oltre Adriatico, non solo in Albania. Quale a suo avviso il valore aggiunto dello scambio dell’Albania con l’Emilia Romagna in tema di valorizzazione di produzioni agro-alimentari tipiche?
A mio avviso il valore aggiunto è dato dal coinvolgimento, specie in questo progetto, della diaspora albanese in Italia. Si sono aperti dei canali, gli albanesi in Italia si sono potuti ricollegare alle loro tradizioni in Albania e si sono aperte possibilità per alcuni di loro di ritornare nel proprio paese per sviluppare agricoltura e allevamento in maniera moderna e secondo i dettami europei. Così come gli allevatori albanesi coinvolti nel progetto hanno potuto visitare realtà di allevamenti di capre dell’appennino emiliano-romagnolo.
Sembra inoltre che si sia riusciti a trasmettere con efficacia l’importanza di non promuovere un singolo prodotto ma piuttosto un territorio…
Il progetto si proponeva non solo il raggiungimento di un disciplinare e della relativa certificazione ma soprattutto di fare da volano, attraverso i prodotti agro-alimentari, all’intero territorio. Un territorio del nord Albania che, soprattutto nelle zone delle Alpi albanesi, soffre di marginalità.
Ora stiamo andando anche oltre rispetto a quanto prevedeva il progetto elaborando un sito che metterà in relazione allevatori, ristoratori, coloro che offrono camere in affitto e che presenterà informazioni sulle bellezze naturali e storiche in quella parte dell’Albania. Per cui i turisti, che siano di Tirana o che vengano dall’estero, avranno la possibilità di crearsi un loro percorso personale per conoscere quei territori attraverso il gusto. Ci è sempre parso indispensabile coinvolgere l’intero territorio e proporre iniziative vantaggiose per tutte le comunità presenti in quest’area dell’Albania. Anche perché proporre il singolo prodotto non collegato al territorio è di fatto un’operazione perdente.
Immaginiamo di metterci a tavola a Fushë Arrëz, Pukë o Vau i Dejës, o in un altro villaggio o cittadina dove è stato promosso il progetto. Cosa ci consiglia di assaggiare?
La colazione è semplice ma molto sostanziosa: formaggio bianco di capra con pomodori, olive, cetrioli, pane e marmellata di fichi, succo di melograno selvatico. A pranzo o a cena proporrei invece capretto arrostito allo spiedo come portata principale assieme a Çervish, che è una specie di polenta fatta di mais e burro, Tavë, mix di formaggio e carne cotto dentro un piatto di terracotta. Non dovrebbero poi mancare Turshi, verdure in salamoia o sottaceto, Fli, che è una pasta al forno multistrato con anche formaggio bianco all’interno, Burek col formaggio e Bukë kallamoqe, pane di mais. Per dessert infine Petulla – frittelle – da intingere nel miele.