Bosnia Erzegovina e Unione europea: il limbo nel limbo

I cittadini della Bosnia Erzegovina sono sempre meno convinti di sostenere l’adesione del proprio paese all’Ue. Il paese è fermo e le élite locali hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo

03/02/2020, Alfredo Sasso -

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Sarajevo (© Sun_Shine/Shutterstock)

(Originariamente pubblicato in inglese da ISPI , all’interno del dossier "The Balkans and the EU: A Neverending Story ")

Il 2019 è stato un anno perduto per l’integrazione nell’UE della Bosnia Erzegovina. Anche se negli ultimi mesi si sono verificati eventi importanti sia a livello macroregionale che nel paese, le aspettative di un progresso nell’immediato futuro restano basse. L’assenza di un governo statale è durata dalle elezioni politiche dell’ottobre 2018 fino a metà dicembre 2019, quando è stato formato il nuovo Consiglio dei ministri sotto la presidenza di Zoran Tegeltija (SNSD – nazionalisti conservatori serbi) e con il sostegno dei tre principali partiti nazionalisti conservatori (SNSD, SDA – nazionalisti bosniaci, HDZ – nazionalisti croati).

Durante i quattordici mesi di stallo, le relazioni UE-Bosnia sono rimaste di fatto congelate. Il momento più importante si è verificato alla fine di maggio, quando la Commissione europea ha pubblicato la propria Opinione annuale sulla domanda di adesione della Bosnia Erzegovina. Nel rapporto, cauto nella forma ma severo nei contenuti, si indicava come il paese si trovasse ancora "in una fase iniziale" di preparazione, raccomandando di "accelerare significativamente" l’allineamento con gli standard UE. Il documento ha identificato quattordici priorità chiave, relative a quattro settori: democrazia e funzionalità delle istituzioni; stato di diritto; diritti fondamentali; pubblica amministrazione.

La lista dei criteri indicati dalla Commissione includeva, da un lato, questioni strutturali come i sistemi elettorali da riformare in senso non-discriminatorio (si citavano esplicitamente il caso Sejdić-Finci e le elezioni comunali a Mostar, che non si sono tenute dal 2008) e la riforma degli alti organi giudiziari; dall’altro lato, si indicavano recenti episodi in cui erano state violate le libertà di espressione e di riunione. È significativo che gli attacchi ricorrenti contro i giornalisti, così come le restrizioni applicate al movimento Pravda za Davida (Giustizia per David) sono stati citati in modo esplicito nel Rapporto analitico , la versione estesa dell’Opinione.

A seguito dello stallo nella formazione del governo, l’Opinione è stata di fatto ignorata dalle istituzioni bosniache. In ottobre il precedente esecutivo, ancora in funzione, ha avanzato un "Piano d’azione"  per l’integrazione UE . Questo piano, tuttavia, non ha offerto misure concrete per le riforme costituzionali e non ha ottenuto sufficiente consenso politico tra i diversi partiti, diventando così oggetto di molte critiche  da parte di analisti e società civile. Il fallimento del Piano d’azione ha rafforzato l’impressione che la concessione dello status di candidato UE alla Bosnia Erzegovina, che ha richiesto l’adesione nel 2016, potrebbe slittare ben oltre il 2020.

Il focus principale dell’UE in Bosnia Erzegovina si sta spostando dalle riforme socio-economiche (un approccio che era diventato dominante dopo l’ondata di proteste sociali del 2014) al sistema giudiziario e allo stato di diritto. Un’ulteriore dimostrazione di questo spostamento si trova nel cosiddetto “Rapporto Priebe” , un documento sulla situazione dello stato di diritto nel paese presentato alla Commissione nel dicembre 2019 e coordinato da Reinhard Priebe, esperto legale ed ex direttore generale della stessa Commissione. Il rapporto, fortemente critico, ha suscitato una certa attenzione pubblica nel paese. Questo ha affermato, tra le altre cose, che il Consiglio superiore dei giudici e dei magistrati (Visoko sudsko i tužilačko vijeće – VSTV, organo di autogoverno della magistratura e incaricato di garantirne l’indipendenza) è "ampiamente percepito come un potere irresponsabile, nelle mani di persone che servono gli interessi di una rete di protezioni e influenze politiche”.

L’attenzione allo stato di diritto è di fondamentale importanza, poiché potrebbe potenzialmente innescare cambiamenti sociali e riforme istituzionali rilevanti. La percezione della corruzione e l’assenza di opportunità che derivano dalla “cattura dello stato” [state capture] favoriscono l’apatia sociale e l’emigrazione. Va detto però che il Rapporto Priebe ha ricevuto diverse critiche di alcuni analisti, perché non avrebbe formulato raccomandazioni specifiche, o perché si sarebbe limitato agli organi di livello più alto invece di individuare le inefficienze di sistema, o perché non avrebbe analizzato i problemi dello stato di diritto al di fuori del sistema giudiziario. Pertanto rimangono dubbi che il rapporto possa essere uno strumento utile per monitorare lo stato di diritto, cosa che invece era avvenuta con il Rapporto dello stesso autore sul sistema giudiziario della Macedonia nel 2015.

Le circostanze che hanno portato alla formazione di un nuovo governo hanno offerto limitate speranze ai sostenitori dell’UE in Bosnia Erzegovina. È significativo che i partiti coinvolti, in particolare l’SNSD che è notoriamente filo-russo e ha accordi di cooperazione con le forze della destra euroscettica UE, abbiano accettato un compromesso su un programma che, a parole, si impegna a rilanciare l’integrazione europea e a consolidare i legami di partenariato con la NATO. Ciò nonostante, il documento rimane profondamente ambiguo riguardo alla futura adesione nell’Alleanza atlantica.

La partecipazione attiva ai negoziati degli ambasciatori dei cosiddetti paesi “Quint” (USA, Regno Unito, Francia, Germania, Italia) insieme al rappresentante speciale dell’UE Johann Sattler, dimostra che la presenza dell’Alleanza atlantica nel paese e nella regione è di nuovo in crescita. Questo può essere letto come un nuovo segnale del rafforzato impegno degli Stati uniti dopo una fase di apparente isolazionismo, anche a seguito della recente nomina da parte di Washington di due rappresentanti speciali nella regione, uno per i Balcani occidentali e uno per i negoziati Kosovo-Serbia.

Resta il fatto che questa iniziativa, con i relativi incentivi, è stata guidata per lo più dalla NATO laddove le trattative guidate dall’UE erano fallite (infatti ad agosto i colloqui condotti dall’ex rappresentante speciale di Bruxelles Wigemark, che pur avvicinarono all’accordo, non portarono a nulla). Questo può trasmettere nel paese il messaggio di un processo di integrazione più "atlantico" che "europeo", più "geopolitico" e meno "politico".

Questa percezione potrebbe essere negativa per l’UE, in un momento così delicato in cui l’intero modello di allargamento nei Balcani occidentali appare messo in discussione, provocando un ulteriore declino della fiducia e dell’interesse verso l’integrazione tra gli attori politici e l’opinione pubblica. Va detto che, per ora, i sondaggi non sono unanimi nel descrivere questo declino. Secondo una ricerca del Direttorato del governo bosniaco per l’integrazione europea, il supporto per l’adesione è sceso dal 76% nel 2016 al 56% nel 2018. Al contrario, i dati forniti dal Balkan Barometer mostrano una valutazione dell’adesione come "buona" che aumenta dal 33% nel 2016 al 47% nel 2019 – da segnalare comunque che questo è il dato più basso nella regione dopo quello della Serbia.

La prospettiva dell’UE è sempre meno presente nell’agenda pubblica in Bosnia Erzegovina a causa di molti fattori: la frustrazione verso un processo di allargamento che appare senza fine, il disincanto causato dalla percezione che l’UE stessa vive una propria profonda crisi interna, il disappunto verso il ruolo dell’UE nella rotta balcanica, l’emigrazione continua ("Coloro che volevano l’UE in Bosnia, sono già andati via", ha adeguatamente osservato  l’analista Srdjan Puhalo ).

Un rilancio dal basso sarebbe necessario per l’UE in Bosnia Erzegovina, che dovrebbe offrire obiettivi credibili e benefici tangibili. Ciò aumenterebbe la pressione pubblica sulle élite politiche che, in sostanza, hanno l’obiettivo di mantenere più a lungo lo status quo e di rinviare i cambiamenti sociali e le conseguenze dell’integrazione il più a lungo possibile.

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