Slovenia, un anno di niente

Stando alle promesse elettorali sembrava che dovesse rivoltare il paese come un calzino. Tuttavia in un anno di governo il premier Robert Golob ed i suoi ministri hanno fatto ben poco, anzi qualcuno dice che non hanno fatto proprio nulla

05/05/2023, Stefano Lusa -

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Il premier sloveno Robert Golob © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Un anno fa la Slovenia festeggiava la vittoria di Robert Golob e del neocostituito Movimento Libertà. L’ennesimo volto nuovo della politica nazionale aveva raggiunto un risultato strabiliante: mai nessuno prima di lui era riuscito a conquistare tanti seggi in parlamento. Il proposito era quello di rivoltare il paese come un calzino e soprattutto di chiudere definitivamente l’era Janša. Proprio per questo il nuovo esecutivo si era costituito in tempi rapidissimi. A far parte della coalizione di centrosinistra anche i Socialdemocratici di Tanja Fajon e la Sinistra (radicale) di Luka Mesec. Entrambi i partiti erano usciti con le ossa rotte dalla tornata elettorale, schiacciati dal successo di Golob e dei suoi uomini. Alla fine, ne è uscita una maggioranza comoda, che all’occorrenza può contare anche sui voti dei due deputati della minoranza italiana ed ungherese, sempre pronti a correre in soccorso ai vincitori. In parlamento solo altre due formazioni politiche: i democristiani di Nuova Slovenia ed i Democratici di Janez Janša. In tutto cinque partiti. Non sono mai stati così pochi quelli che sono riusciti a superare la soglia di sbarramento del 4%.

Come tradizione prima di ogni tornata politica gli “antijanšisti” pescano dal cilindro un volto nuovo a cui affidarsi per sconfiggere il centrodestra. Non un personaggio ed una squadra di provata esperienza, ma semplicemente una bandiera più o meno credibile su cui far convogliare i voti di quella maggioranza del paese che non ne vuole proprio sapere di lasciare la Slovenia nelle mani di Janez Janša. Anche questa volta il centrosinistra ha dimostrato di voler essere fedele alla sua tradizione ed anche questa volta è arrivato al comando il solito gruppo di dilettanti allo sbaraglio. Accade così che ad occupare le poltrone ministeriali ed anche i seggi in parlamento sono uomini e donne con scarsa esperienza nella gestione della cosa pubblica, con una conoscenza approssimativa del lavoro dei ministeri e dei meccanismi che regolano la vita parlamentare.

L’agguerrita opposizione ha subito approfittato della situazione, la prima mossa è stata quella di depositare alla Camera una serie di leggi per bloccare la nuova coalizione. Lo scontro dei primi mesi, così, si è svolto a colpi di referendum e di ricorsi alla Corte costituzionale. Il risultato evidente è stato quello di impantanare il paese in una perenne campagna elettorale e di mettere il governo più nella posizione di doversi occupare di sé stesso che in quella di governare.

Di colpo sono emersi alla luce i problemi endemici del paese. Primo fra tutti quello della crisi del comparto sanitario. Da tempo non ci sono abbastanza medici di base. Si è corsi ai ripari cercando di aprire nuovi ambulatori con laute prebende per i medici disposti ad accollarsi il lavoro extra. Non si è persa l’occasione di annunciare una radicale riforma del comparto sanitario. A nessuno è ancora chiaro quello che l’esecutivo intende fare, anche perché gli esponenti del ministero ed il gruppo di esperti chiamati a consulto dal premier si sono persino messi a litigare tra loro sul da farsi. Per qualcuno all’orizzonte non ci sarebbe altro che il proposito di lasciare sempre più mano libera nel settore sanitario ai privati e a medici rampanti, disposti a dividere il loro tempo tra le prestazioni negli ospedali e quelle nelle cliniche.

In ogni modo il governo ed i suoi pittoreschi ministri in questo periodo hanno subito iniziato ad annunciare altre mirabolanti riforme. Si va dalle retribuzioni nel settore pubblico, alle riforme del sistema scolastico a quello fiscale. Anche qui a nessuno è chiaro quello che si intende fare ed anche qui Golob ed i suoi uomini hanno spesso lanciato segnali contraddittori e si sono persino smentiti pubblicamente.

Ad un anno dalle elezioni il paese deve fare i conti con le proteste di piazza dei contadini ed anche con quelle dei pensionati. Quest’ultimi chiamati, a raccolta da un controverso ex deputato dei democratici con un trascorso anche nelle patrie galere, sembrano essere la risposta alle manifestazioni di piazza organizzate da uomini organici al centrosinistra ai tempi dei governi di centrodestra. Come al solito il clima della politica slovena è quello di una “guerra civile” permanete.

Al momento, comunque, molti degli uomini piazzati dal centrodestra nelle istituzioni restano ancora al loro posto. Il nodo politico più significativo è quello legato ai vertici della RTV di Slovenia. Il centrosinistra avrebbe voluto azzerarli perché considerati emanazione diretta del centrodestra. Per far ciò ha fatto approvare una apposita legge. Sulla normativa è stato addirittura promosso dall’opposizione un referendum abrogativo. I cittadini a larga maggioranza hanno dato ragione ai partiti di governo, ma la legge adesso è ancora lettera morta a causa di un ricorso alla Corte costituzionale. Per molti, questa vicenda, è la sintesi di quest’anno di governo e dell’efficienza dell’esecutivo di centrosinistra.

Il laconico commento di molti è che Golob, come tutti i volti nuovi che sono passati per la politica slovena, è servito solo a togliere la barra dalle mani di Janša. Per molti il premier ed i suoi uomini avrebbero fatto ben poco, qualcuno dice che non avrebbero fatto proprio nulla. Intanto il suo Movimento Libertà crolla nei sondaggi e la stella di Robert Golob si starebbe spegnendo come accaduto per altri volti nuovi. La politica slovena percorre sempre le stesse strade: i governi di centrodestra sono sempre stati la miglior garanzia per il ritorno al potere del centrosinistra ed i governi di centrosinistra hanno sempre dimostrato l’incredibile capacità di far rinascere dalle proprie ceneri Janez Janša.

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