Slovenia, “una nuova guerra civile”
Nel 2022 il governo sloveno di centrodestra istituì il 17 maggio come Giornata nazionale delle vittime del comunismo. Nessuno si è occupato della faccenda sino a pochi giorni fa quando il nuovo esecutivo ha deciso di cancellarla. Furioso l’ex premier Janša, che ha tacciato il governo di volere “una nuova guerra civile”
Avevano governato a lungo senza avere una maggioranza formale in parlamento. La loro fortuna era che molti deputati avevano da tempo capito che per loro e per i loro partiti non ci sarebbe stato un futuro nella politica slovena, e proprio per questo li avevano tenuti a galla.
L’esecutivo di centrodestra guidato da Janez Janša aveva retto la barra del timone finché aveva potuto, continuando a nominare uomini e ad approvare decreti anche dopo che aveva perso le elezioni. Janša come al solito, aveva esercitato le sue funzioni fino in fondo ed ha smesso solo quando i nuovi ministri, dopo la fiducia del parlamento, sono venuti a reclamare le chiavi dei loro ministeri.
È proprio in questo periodo di transizione che nasce la nostra storia. Si era votato oramai da tre settimane. Il 12 maggio 2022, senza alcun dibattito e senza nemmeno che ce ne fosse sentore, il governo di centrodestra istituì la Giornata nazionale per commemorare le vittime del comunismo. Nel paese durante la guerra, ma soprattutto alla fine del conflitto, quando i comunisti decisero di mettere in atto una vera e propria rivoluzione, non si andò troppo per il sottile.
Collaborazionisti, fiancheggiatori ed anche civili, considerati pericolosi per il futuro regime, vennero passati per le armi. Il paese si riempì di centinaia di fosse comuni. Proprio per questo quello della riconciliazione è un tema che da decenni è materia di dibattito e di scontro tra le forze politiche.
La data scelta per commemorare le vittime del comunismo era quella del 17 maggio, giornata in cui, nel 1942, le unità partigiane avrebbero liquidato 53 persone, perlopiù di etnia rom, tra cui 24 bambini.
All’epoca la cosa era stata vista come il colpo di coda di un governo che aveva ammorbato il dibattito pubblico nazionale accendendo gli animi con i temi più spinosi del passato nazionale recente.
In quel momento se ne stava andando e non lo stava facendo con eleganza, ma quello non era certo il fine del centrodestra, che da quella sconfitta sembrava voler costruire la base per quello che potrebbe essere il suo futuro ritorno al potere. Proprio per questo ha deciso di rendere sin da subito arduo il percorso per i suoi inesperti successori.
La Giornata dedicata alle vittime del comunismo, così, non si è rivelata altro che l’ennesima polpetta avvelenata lasciata sulla strada degli ingenui ed inesperti volti nuovi della politica slovena.
Nessuno si è occupato della faccenda sino a pochi giorni fa, quando i post-comunisti del partito Socialdemocratico si sono accorti che si stava approssimando la data in cui sarebbe stata celebrata, così in fretta e furia hanno chiesto al governo di cancellarla.
Alla vigilia del 17 maggio nella piazza antistante al parlamento era stata organizzata una celebrazione. Proprio mentre la manifestazione era in corso, l’esecutivo l’ha depennata con decorrenza immediata.
Rabbiosa la reazione di Janez Janša, che dal suo profilo Twitter ha tacciato il governo di aver preannunciato “una nuova guerra civile” ed ha aggiunto che l’esecutivo sarebbe addirittura pronto a “riempire nuovamente grotte e miniere con chi la pensa diversamente”.
Toni del tutto in linea con la consueta retorica del personaggio, che hanno scatenato accese reazioni da parte dei suoi adepti. Così non sono nemmeno mancati inviti ad armarsi ed a prepararsi a difendersi.
Di fronte a tutto ciò la ministra della Giustiza, Dominika Švarc Pipan ha persino annunciato che gli autori di simili appelli sarebbero stati perseguiti. Per un attimo sembrava che la mannaia della giustizia avrebbe potuto abbattersi anche sul leader dell’opposizione, ma poi la stessa ministra ha fatto mestamente marcia indietro.
A correre in soccorso a Janša però ci ha pensato l’ex presidente della repubblica Borut Pahor. Dopo una carriera costruita prima nelle fila della Lega dei comunisti e poi nel partito Socialdemocratico, salito sullo scranno presidenziale si era subito rilevato voler essere più un compagno di strada di Janez Janša, che un suo avversario. Sta di fatto che un anno fa, Pahor, aveva taciuto sulle modalità con cui era stata istituita la giornata, mentre oggi punta il dito sul governo Golob accusandolo di averlo cancellato in fretta e furia senza confronto e un dibattito, usando le stesse maniere adoperate dal governo Janša per istituirlo (sic!).
Dagli ambienti governativi l’invito è soprattutto quello ad evitare di evocare gli spettri della guerra civile, della stessa opinione anche i democristiani di Nuova Slovenia, che pur criticando la decisione di depennare la celebrazione, invitano a moderare i toni.
Preoccupata anche la presidente della repubblica Nataša Pirc Musar. Janša ed i suoi uomini per nulla intimoriti non sembrano però intenzionati a far calare il livello dello scontro.
Non è altro che il prologo di quella che sarà la guerra che andrà in scena tra qualche settimana, quando la maggioranza cercherà di defenestrare i vertici della RTV di Slovenia, considerati emanazione diretta del centrodestra, con un complicato passaggio parlamentare.
Quello che è certo è che Janša nel corso dei suoi due anni di governo è riuscito ad inserire ai vertici delle istituzioni suoi fedelissimi, che stanno dimostrando una incredibile resilienza e soprattutto l’intenzione di usare tutti gli strumenti a loro disposizione per continuare a rimanere al loro posto.
Golob ed i suoi uomini sembrano così essere ancora stretti in una fitta rete da cui non riescono proprio a divincolarsi.