Aleksandra Godfroid: i media serbi e la guerra in Ucraina
In Serbia, i media locali hanno un ruolo centrale nel dare forma alla narrazione con cui viene raccontata al pubblico l’invasione russa dell’Ucraina. Ne abbiamo parlato con Aleksandra Godfroid, giornalista della rete TV N1
Qual è stata la prima reazione in Serbia all’invasione russa dell’Ucraina?
Dopo lo shock iniziale, che penso abbia innescato una sorta di disturbo da stress post-traumatico in molti, per via delle guerre che abbiamo avuto in questa regione, le persone hanno reagito in modi molto diversi. Da allora c’è un livello di aggressività tra la gente comune che è abbastanza insolito. Forse si innesta anche sul trauma della gestione della pandemia. Ad ogni modo, le persone che hanno opinioni diverse su questa guerra non possono nemmeno parlarne senza ricorrere a insulti. E non parlano, in realtà. Anche la risposta iniziale del nostro governo in Serbia è stata sorprendente perché ci sono voluti tre giorni per elaborare quella che dovrebbe essere una reazione molto semplice, vale a dire che è sbagliato invadere un altro paese.
Invece è stato inviato un messaggio molto più chiaro: “Non imporremo sanzioni alla Russia, perché noi come Paese pensiamo che le sanzioni siano una cattiva idea che non produce i risultati sperati”. Inoltre, la Serbia come parte della Jugoslavia era sotto sanzioni durante la guerra. Ciò ha creato una sorta di sentimento generale tra la popolazione, secondo il quale va bene continuare a pensare che gli stessi ucraini siano da biasimare per essere stati attaccati. Questa è un’opinione piuttosto diffusa qui.
Perché la narrazione russa è così forte e pervasiva in Serbia?
Per diversi motivi, principalmente per il suo carattere anti-occidentale e anti-NATO, ma anche per l’idea tradizionale, in parte un mito, che la Russia sia il nostro fratello maggiore. E questo fa comodo alla Russia e anche alla Serbia. Perché le persone, se si sentono piccole, se si sentono frustrate, vogliono qualcuno più grande che le protegga e le giustifichi, e questo è ciò che percepiscono nella Russia. E per questo motivo, ci sono un sacco di persone che giustificano qualsiasi cosa faccia la Russia. E questo è alimentato dai media, dai tabloid.
Abbiamo un caso famoso, accaduto il giorno prima dell’invasione russa. C’era una prima pagina che diceva "L’Ucraina ha attaccato la Russia". Non potevo credere ai miei occhi. E alcune persone pensano ancora in qualche modo “ok, forse non l’hanno fatto. Ma, sai, questa non è una guerra. È un’operazione speciale. E la maggior parte di ciò che ci viene detto non è vero. E le persone massacrate a Bucha sono attori, eccetera”.
C’è una vera influenza dei media russi in Serbia o è più un tipo di narrazione interna della guerra in Ucraina?
Entrambe le cose. Anche prima della guerra c’erano media russi finanziati dal governo russo, come Sputnik in serbo, hanno un sito web e hanno un programma radio. Ma non erano molto citati perché gli esperti con cui parlavano erano sconosciuti, anche in Russia. Ma c’è molta propaganda russa nostrana. E, in parte, sta dando al pubblico ciò che pensa che il pubblico voglia sentire. E in parte penso che sia in qualche modo influenzata dalla Russia, almeno alcuni autori.
Vede qualche evoluzione in questa narrazione, qualche cambiamento durante quest’anno per quanto riguarda la copertura mediatica della guerra e della Russia in generale?
C’è un leggero cambiamento, soprattutto quando si tratta di media controllati dal governo. Potrebbe essere dovuto al cambiamento della narrazione del governo dovuta al fatto che potremmo essere costretti a imporre sanzioni alla Russia. E ad un certo punto i nostri funzionari, invece di "guerra in Ucraina", hanno iniziato a parlare di "aggressione della Russia contro l’Ucraina". È un piccolo cambiamento, ma significa molto. E questo è un segnale che arriva anche ai tabloid. A volte abbassano anche loro i toni, e invece di dire "quel branco di nazisti che la Russia sta punendo" dicono qualcosa tipo "l’Ucraina è un danno collaterale" o "povero popolo ucraino". Questi cambiamenti potrebbero sembrare piccoli, ma sono significativi in termini di visione generale di ciò che sta accadendo in Ucraina.
La Serbia è stata a lungo descritta, almeno dai media occidentali, come un paese che cerca di trovare un equilibrio tra Oriente e Occidente. Pensa che questa descrizione rifletta l’attuale posizione del governo serbo, anche dopo l’invasione dell’Ucraina?
La guerra in Ucraina ha reso impossibile stare in equilibrio, tenere il piede in due scarpe. Se può essere ancora possibile per la Turchia vendere i droni e le armi all’Ucraina e avere buoni rapporti con la Russia o con l’Ungheria sotto Orban, non lo è per la Serbia che non ha la posizione o l’importanza o la leva della Turchia. Questo ha reso la posizione della Serbia molto difficile. Ciò che l’ha resa ancora peggiore per certi aspetti è la sua incapacità di decidere, di affermare chiaramente la sua posizione. Forse è stato fatto per ottenere il più possibile. Dopotutto, eravamo e siamo ancora molto dipendenti dal gas russo. Ma la Serbia viene vista come l’ultima ruota del carro che non può dire sì o no, che non può scegliere.
Probabilmente Belgrado è l’unica capitale europea in cui abbiamo potuto assistere a manifestazioni per la Russia e contro la Russia, per l’Ucraina e contro l’Ucraina. Quindi immagino che l’opinione pubblica e la società civile siano divise: cosa l’ha colpita di più di questa divisione?
Sono quasi sicura che in realtà sia stato tutto in qualche modo guidato dalla Russia. Hanno inventato tutti i simboli più recenti come la lettera Z, che allora era una novità. Personalmente penso che sia un marchio militare che è diventato un simbolo, ma esisteva già. Anche prima si vendevano magliette con Putin per le strade, ma ora all’improvviso ci sono anche queste nuove magliette, o graffiti o murales che celebrano la Wagner. Questi gruppi che sostengono la Russia sono molto aggressivi. Sono aggressivi nel loro discorso. Sono aggressivi nel loro approccio. Sono gruppi di giovani vestiti di nero che si fanno avanti e fanno sembrare che tutti la pensino così. Quindi le persone che sono contro la guerra si sentono in minoranza e le manifestazioni di sostegno all’Ucraina non sono così evidenti nella vita di tutti i giorni. Ci sono, ovviamente, alcune manifestazioni organizzate, ma non sono molto grandi.
Pensa che la guerra in Ucraina abbia cambiato il dibattito pubblico o la volontà politica delle élite serbe di aderire all’Unione europea? Vede qualche sviluppo?
Non credo che abbia cambiato la volontà di aderire all’UE, che comunque è molto debole perché le persone sono rimaste deluse. Inoltre, alcuni politici stavano cavalcando l’onda del “vedi che l’Europa non ci sta aiutando”. L’inizio della guerra in Ucraina non ha portato le persone verso l’UE come una sorta di protezione, allo stesso tempo, quello che vedono è anche che l’UE è disfunzionale su molte questioni. Non tutte le regole valgono per tutti.
C’è stata grande delusione quando la Macedonia del Nord e l’Albania non hanno ottenuto il via libera per l’UE. Tutti se lo aspettavano. Mentre l’Ucraina è andata avanti perché è in guerra. E questo disappunto non è stato espresso solo dalla Macedonia del Nord e dall’Albania, ma anche dalla Serbia, da tutti i paesi dei Balcani occidentali, perché lo ritenevano davvero ingiusto. Quindi il fatto che gran parte della popolazione non voglia aderire all’UE non è dovuto all’influenza russa o all’invasione russa dell’Ucraina, ma alla delusione e alla frustrazione.