L’Atene di Petros Markaris
"Atene nel metrò" è un viaggio attraverso Atene che guida il lettore dal porto del Pireo e dalle aree marinare circostanti fino all’alta borghesia di Kifisià, passando per i quartieri della classe media e di quella operaia, e quelli degli immigrati vecchi e nuovi. Recensione
“Atene è molto più bella alle luci della sera che di giorno.
Acquista un che di dolce, a tratti addirittura idillico che, con l’aurora, si perde”.
Petros Markaris
Ad Atene, la metro non è tutta uguale. Ci sono la linea 2, la metro rossa, e la metro blu, la linea 3, che porta fino all’aeroporto; entrambe sono state inaugurate nel 2000. E poi c’è la linea 1, che il viaggiatore improvvido tende a definire “metro verde”, ma che per i greci è semplicemente l’ilektrikò, “l’elettrico”. Inaugurato nel 1869 e elettrificato all’inizio del ‘900, l’ilektrikò è profondamente radicato nell’identità della città e nell’immaginario di chi la abita.
L’aver intitolato il libro di Petros Markaris uscito a luglio per La Nave di Teseo Atene nel metrò (288 pagine, 18 euro) è quindi un’imprecisione che farebbe storcere il naso a ogni ateniese che si rispetti. Ma è un rischio calcolato, anche perché il libro, pubblicato per la prima volta in tedesco nel 2010 e solo successivamente in greco, è pensato soprattutto per il forestiero, il viandante che voglia scoprire Atene a partire dalle stazioni dell’ilektrikò.
Markaris stesso confessa di aver esitato prima di pubblicarlo in greco. Si è lasciato convincere, spiega, per l’amore incondizionato che prova per l’ilektrikò. Nel dichiararsi, si svincola subito dal protagonista dei suoi libri, l’ispettore Kostas Charitos, che invece non ci viaggia quasi mai.
Atene nel metrò è un viaggio attraverso Atene che porta dal porto del Pireo e dalle aree marinare circostanti fino all’alta borghesia di Kifisià, passando per i quartieri della classe media e di quella operaia, e quelli degli immigrati vecchi e nuovi. Seguendo Markaris stazione dopo stazione ci si sposta geograficamente, ma soprattutto si attraversano la storia e la stratificazione sociale della capitale greca.
Nel fare da guida, Markaris si mette a sua volta nei panni del viandante che si guarda intorno, ma è più che altro uno stratagemma letterario: la conoscenza profonda che lo scrittore ha della città è impossibile da dissimulare, ed emerge soprattutto attraverso gli aneddoti personali. Nato a Istanbul – Costantinopoli, come si ostinano a chiamarla i greci – lo scrittore si è stabilito ad Atene negli anni Sessanta, quando l’espansione e la trasformazione radicale della città erano in pieno corso.
Negli anni ‘50 “chi aveva una casetta su un terreno anche piccolo la cedeva a un’impresa edile per ricevere in cambio un appartamento di quattro locali oppure due trilocali, a seconda delle dimensioni del terreno e della zona”, spiega Markaris. È la logica della “permuta”, che tutto fagocita e appiattisce ogni differenza. Ciò che svariati quartieri ateniesi oggi hanno di caratteristico, sostiene lo scrittore, è il fatto che sono anonimi. Quel che distingue Kallithea, il primo quartiere borghese che si incontra con l’ilektrikò venendo dal Pireo, è un’ “aurea mediocritas” che non ha nulla di attraente.
Anche il Pireo e i quartieri circostanti come Nèo Fàliro e Moschato, dove un tempo si concentrava il variegato capitale umano delle flotte mercantili, hanno perso la vitalità di un tempo: ormai gli yacht hanno rimpiazzato i pescherecci, e le discoteche i locali notturni.
È solo quando la linea verde incontra la Pireòs, “la maggiore arteria a unire Atene con il Pireo”, che Markaris comincia a scaldarsi. Con essa inizia “senz’altro il pezzo più vivo e, al tempo stesso, più contraddittorio, della capitale”. Agli antipodi rispetto al piattume della “scuola architettonica della permuta” c’è l’area a nord-ovest dell’Acropoli, quella del Thision e del Metaxurghìo, che Markaris predilige per le sue passeggiate “perché è la zona che presenta i maggiori contrasti”.
Nel diffondersi di “quel mostruoso aborto che si chiama ‘palazzina condominiale’” si legge in controluce la storia di Atene dalla rivoluzione anti-ottomana in poi – una storia di migranti.
I primi sono stati i comandanti della rivoluzione, trasferitisi nella nuova capitale per volontà del primo sovrano, il bavarese Ottone. Ma la prima grande ondata migratoria è quella dei primi anni ‘50 del ventesimo secolo, dopo la fine della guerra civile greca. Secondo Markaris, “questi meteci non hanno mai amato Atene. Erano contadini, persone che venivano dalla provincia e provavano un’acuta nostalgia per i loro campi. In sostanza, vivevano in un esilio forzato”. È nell’indifferenza dei governi nei confronti delle campagne che Atene ha sviluppato la propria “idrocefalia”, finendo per far collassare su di sé l’immagine dell’intera Grecia.
La colpa è del cemento e dei condoni edilizi, ma anche di quella classe media ateniese che invece di prendersi cura dei propri quartieri ha preferito spostarsi progressivamente verso la periferia, finendo per ritrovarsi circondata nuovamente dal cemento. Qui Markaris diventa caustico: “Ci sono bei giovani che invecchiano male, e ci sono giovani insipidi che riescono a invecchiare bene. Atene è diventata brutta con la mezza età”.
Fortunatamente, ci sono anche le forze del bene. C’è l’indimenticata Melina Mercouri, attrice e ministra della Cultura, che ha salvato gli edifici neoclassici del Thision. C’è l’architetto, urbanista e ministro Antonis Tritsis, che ha salvato il quartiere di Plaka. Ci sono i greci della diaspora, arrivati in massa nel 1923 dopo il drammatico scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia, e decisi a prendersi cura di ciò che hanno costruito in quartieri come Nèa Ionìa e Nèa Filadelfia. E ci sono infine i nuovi migranti, che con i loro negozi restituiscono odori all’era dei supermercati asettici. Negli ultimi anni, dopo la prima pubblicazione del libro, il fenomeno migratorio ha cambiato ancora più radicalmente il volto di alcuni quartieri del centro.
La parte finale del viaggio è in salita, ed è anche una scalata sociale che porta fino al capolinea, Kifisià. E il quartiere della classe dirigente: “Nessun altro sobborgo ha l’importanza, nel bene e nel male, che ha Kifisià, per la vita della Grecia”. Nella vicina tenuta di Tatoi, Giorgio I creò la residenza estiva dei sovrani sul finire dell’800, trascinandosi dietro la classe politica e la grande borghesia. È qui che storicamente vive la grande dinastia politica dei Papandreou, ed è qui che viveva il dittatore Metaxas quando, nel 1940, fu sorpreso in piena notte dall’ultimatum di Mussolini.
La linea dell’ilektrikò è anche un percorso enogastronomico attraverso Atene, le sue taverne e le “mescite con cucina” ormai prossime alla scomparsa. Anche i sapori sono cambiati negli ultimi decenni, e Markaris se la prende con la nuova cucina che elimina i sapori della tradizione della diaspora, con la retsina che un tempo si beveva dai barili e che ora, imbottigliata, “ti devasta lo stomaco”, e persino con il caffè, svalutato al rango di bibita.
La lezione sulla bellezza che sta nei contrasti vale anche per la cucina: “I buoni ristoranti non si trovano necessariamente nelle zone ricche e care. Al sud, la buona cucina si nasconde spesso in queste taverne semplici e povere”. Ma raramente Markaris dà le coordinate dei luoghi: spetta al viandante il compito di andarseli a cercare.
La storia dell’ilektrikò è legata a doppio filo a quella della città stessa. Non è quindi la prima volta che compare nell’arte e nella letteratura greca. Ma quello di Markaris è un testo ibrido, che si colloca a metà strada tra una guida di viaggio apocrifa e un testo letterario.
Da una parte, Markaris tocca i principali crocevia della storia, dispensa dritte gastronomiche, e sciorina i nomi di piazze, viali, corsi e vicoli con la precisione di uno stradario. Per il viandante che non ha familiarità con quel dedalo di strade che è la capitale greca, il testo è quasi una mappa da consultare in loco per orientarsi. Antidoto e nemesi dei bus turistici a due piani perennemente imbottigliati nel traffico di piazza Syntagma, l’ilektrikò taglia diagonalmente la città e ne attraversa le contraddizioni, restituendone un’immagine più variegata e quindi veritiera.
Dall’altro lato, Markaris stesso è l’incarnazione del flaneur, il passeggiatore che segue il canovaccio dell’ilektrikò e delle sue stazioni ma si lascia guidare dall’istinto, dai ricordi, e da quella forma particolare di memoria che è la nostalgia, diluita ma non dissolta nell’ironia e nei giudizi taglienti. Al contrario di un itinerario turistico, il viaggio sull’ilektrikò è un’esplorazione del sottosuolo, degli interstizi fisici, sociali e culturali in cui l’anima della città si lascia intravedere.
Ben tradotto da Andrea Di Gregorio e accompagnato da note linguistiche e culturali che arricchiscono il testo, “Atene nel metro” stuzzica la curiosità del viaggiatore senza placarla appieno. Si può chiedere di meglio?