Marko Vešović, poeta insuperabile
Marko Vešović è morto all’età di 78 anni, dopo una lunga malattia lo scorso 17 agosto. Scrittore, poeta, intellettuale tra i più importante della sfera jugoslava, lo abbiamo conosciuto in Italia con il libro “Chiedo scusa se vi parlo di Sarajevo”, in cui tratteggiava con lucide pennellate l’animo civile della città assediata esprimendo netta posizione contro l’aggressore
L’assedio di Sarajevo, oltre che dai racconti personali di chi passava da casa mia a Milano dopo essere riuscito a fuggire, era entrato nella mia vita anche attraverso i testi di poeti, scrittori e giornalisti che venivano resi pubblici in Italia grazie a coraggiose iniziative di piccoli editori. Tra questi “Chiedo scusa se vi parlo di Sarajevo ” (1996, Sperling & Kupfer), serie di racconti di Marko Vešović che erano stati pubblicati a Sarajevo due anni prima a guerra in corso con il titolo “Smrt je majstor iz Srbije”.
Marko Vešović è morto all’età di 78 anni lo scorso 17 agosto, dopo una lunga malattia. Scrittore, poeta, intellettuale tra i più importanti della sfera jugoslava, lo abbiamo conosciuto in Italia per quei suoi racconti – su vicende da lui direttamente vissute o raccontategli da suoi concittadini – in cui tratteggiava con lucide pennellate l’animo civile della Sarajevo assediata.
Vešović, montenegrino di nascita e sarajevese di adozione, scoppiata la guerra prende nette posizioni contro l’aggressore della città e del paese. Questa sua scelta lo ha portato ad essere accusato dai media legati al partito di Radovan Karadžić di essere un “traditore del popolo serbo”. Come scriveva Azra Nuhefendić per OBCT nel 2008, prima della guerra erano entrambi parte dei circoli culturali della capitale bosniaca: “Poeti, per giunta legati da un’amicizia che risaliva ai tempi dell’università. Poi, connazionali montenegrini, arrivati a Sarajevo per studiare.” Ma allo scoppio della guerra, aggiungeva Nuhefendić, “le loro vite hanno preso due vie opposte, e oggi sono su posizioni totalmente antitetiche. Mentre Karadžić ‘affilava i coltelli’ per risolvere il problema dei turchi in Bosnia, Marko Vešović ‘ha affilato’ la sua scrittura.”
Finita la guerra, ha continuato a combattere quelli che aveva definito “maestri di odio”, anche con azioni civili come il rifiuto del premio “Risto Ratković” nel 2008, perché lo stesso premio era stato conferito nel 1993 a Karadžić (condannato all’ergastolo per crimini di guerra dal Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia).
Accanto al poeta Izet Sarajlić e allo scrittore Abdulah Sidran, Marko Vešović è stato tra gli autori più letti dai sarajevesi in quei 1425 giorni di assedio sulle pagine del quotidiano Oslobođenje, giornale che nonostante la guerra ha continuato ad essere stampato. E, nonostante la guerra, Vešović non ha mai smesso di dare lezioni presso la Facoltà di Filosofia e, come ha sottolineato Azra Nuhefendić, “dalla guerra è uscito con una tale coerenza personale, un’onestà intellettuale e una forza morale, da assurgere a simbolo.”
Un simbolo che traspare dai tanti messaggi di cordoglio alla notizia della sua morte e dalla forte presenza al cimitero “Sv. Josip” il 21 agosto. Non solo da giornalisti e scrittori come Dragan Bursać (“Addio, maestro della parola”), Senad Pećanin (“insuperabile interprete di poesia, pietra miliare di umanità, orgoglio e miglior cronista della superiorità morale di Sarajevo sui barbari in tempo di guerra”) o Ivan Lovrenović che ripropone un discorso di Vešović del 2006 perché "…scrivere un necrologio non si può, non si deve. Non gli appartiene, e lui non lo perdonerebbe. Lui è letteratura, poesia, e questa è vita, lingua viva. Ancora più viva quando ha a che fare con la morte. Marko Vešović è vivo!”.
Una voce che ha lasciato il segno anche su chi durante l’assedio era studente universitario alla Facoltà di filosofia, come Edin Zubčević : "Ho ascoltato senza fiato i suoi discorsi dal vivo in quelle conferenze stampa nel ’92. Era la voce della verità, era la luce, la luce più importante perché tutte le altre luci si erano spente. Parlava magnificamente e ispirava, proprio come scriveva. La lingua di Marko era Marko".
Tra le sue opere, la più importante è la raccolta "Poljska Konjica" (La cavalleria polacca, 2002) di versi scritti tra il 1995 e il 1998 – anch’essa dedicata al bombardamento di Sarajevo e agli orrori vissuti dai cittadini – accanto a molte altre come Nedjelja, Osmatračnica, Rodonačelnik, Četvrti genije, Kralj i olupina. Come ha ricordato Gianluca Paciucci sulle pagine de Il Manifesto, all’inizio degli anni Duemila ha collaborato con la Casa della Poesia di Baronissi e intervenuto in diverse edizioni degli Incontri internazionali di poesia di Sarajevo a partire dal 2002.
Ho incontrato Marko Vešović di persona solo nel 2012. Assieme al mio collega Andrea Oskari Rossini, eravamo a Sarajevo nei giorni del ventesimo anniversario dell’inizio dell’assedio della città, per raccontare il paese, aggiornare sulla situazione, dando voce a ex-profughi o sfollati, attivisti, intellettuali.
In quei giorni, Vešović è intervenuto ad un incontro assieme ad altri importanti voci – Dževad Karahasan, Abdulah Sidran e Danilo Krstanović – grazie all’impegno dell’amico Piero del Giudice e il sostegno dell’Ambasciata d’Italia a Sarajevo. Del Giudice era infatti riuscito solo un mese prima a far pubblicare in Italia “Sarajevo. Il libro dell’assedio” (ADV Publishing, 2012) da lui curato e che veniva presentato in anteprima nella capitale bosniaca. Una raccolta preziosa di testi di Tvrtko Kulenović, Miljenko Jergović, Izet Sarajlić, Abdulah Sidran e Marko Vešović, accompagnate dal drammatico racconto per immagini del fotografo Danilo Krstanović.
In quell’occasione, lo abbiamo ripreso mentre legge “Balcak” (L’elsa), per la realizzazione di un nostro video-reportage dedicato alla Bosnia Erzegovina a 20 anni dall’inizio della guerra. Vogliamo ricordare Vešović con la lingua viva, tagliente ma anche a tratti ironica e malinconica, di questa poesia.