European Media Freedom Act: la fine della confidenzialità delle fonti?
Il nuovo regolamento europeo mira a proteggere il concetto chiave al cuore del giornalismo, la segretezza delle fonti giornalistiche, ma rischia di diventare il testo che ne legittima la violazione sistematica
La bozza originale
Pubblicato lo scorso settembre da parte della Commissione Europea, lo European Media Freedom Act (EMFA) costituisce un enorme e ambizioso progetto per garantire che, nell’Unione Europea, i media abbiano lo stesso livello di tutele e regole. Il panorama europeo è infatti molto frammentato e i diversi paesi membri regolano questo ambito delicato in modi assai diversi l’uno dall’altro, col rischio di minare la solidità del progetto europeo.
Il regolamento va a toccare temi quali la misurazione del pubblico e il mercato pubblicitario, il funzionamento dei media pubblici, la trasparenza della proprietà dei media, la protezione delle fonti. Il testo riconosce il giornalismo come attore fondamentale della convivenza pubblica e definisce la tutela forte della libertà di stampa come condizione necessaria non solo per il funzionamento delle democrazie europee, ma anche del mercato economico europeo.
Quest’ultimo è un passaggio fondamentale perché è lo strumento con cui la Commissione legittima il regolamento agli occhi degli stati membri. Infatti, regolare i media significa ben di più di un’operazione economica: si toccano corde fondamentali del funzionamento della democrazia e anche concetti quali la sicurezza, tema che ad oggi resta di esclusiva competenza degli stati.
Qui sorgono i primi problemi perché gli stati membri hanno recepito l’EMFA come un’invasione di campo della Commissione, le cui competenza ricadono soprattutto nella gestione del mercato comune.
L’articolo 4: tutela dell’autonomia editoriale, protezione delle fonti e minaccia degli spyware
Questa frattura tra Commissione e paesi membri vale soprattutto per l’Articolo 4, che più di altri articoli va a regolamentare il rapporto tra media e stati membri sul tema della sicurezza.
Il presupposto di partenza è che negli ultimi anni gli stati europei hanno dato prova di scarsa attenzione, quando non totale disprezzo, per la sacralità della confidenzialità delle fonti, soprattutto da quando si sono dotati di nuovi strumenti: gli spyware. Questi sono prodotti digitali progettati per sfruttare le vulnerabilità di altri prodotti digitali e che consentono la sorveglianza segreta di persone fisiche o giuridiche, monitorando, estraendo, raccogliendo o analizzandone i dati. Il più famoso è lo spyware Pegasus, usato per sorvegliare giornalisti, politici, avvocati, attivisti. Ma ne esistono decine, forse centinaia, per un’industria miliardaria in piena espansione e di cui si conosce ancora troppo poco a causa del clima di segretezza e opacità che gli stati vi hanno costruito attorno.
La Commissione, preso atto di ciò, ha deciso di intervenire tutelando i media attraverso l’articolo 4 che può essere sintetizzato così:
- I media hanno il diritto di esercitare le loro attività economiche nel mercato interno senza restrizioni diverse da quelle consentite dalle leggi dell’Unione.
- Gli stati membri non possono interferire o influenzare le politiche e le decisioni editoriali dei media.
- Gli stati membri non possono sanzionare, intercettare, sottoporre a sorveglianza, perquisizione o sequestro, media professionisti, i loro dipendenti o i loro familiari, perché si rifiutano di rivelare informazioni sulle loro fonti, a meno che ciò non sia giustificato da un’esigenza di interesse pubblico.
- Gli stati membri non possono installare spyware in qualsiasi dispositivo utilizzato dai media professionisti, dai loro familiari, o dai loro dipendenti, a meno che l’impiego non sia giustificato, caso per caso, da motivi di sicurezza nazionale o l’impiego avviene in indagini su reati gravi, come previsto dal diritto nazionale e conformemente con il diritto dell’Unione, e quando ogni altra diversa misura sarebbe inadeguata per ottenere le informazioni richieste.
Il testo cerca quindi di fornire al giornalismo le garanzie necessarie per il suo funzionamento, ma al tempo stesso apre la via ad una violazione delle fonti sulla base di interesse pubblico, indagini che riguardano crimini gravi (una lista ristretta di reati considerata particolarmente preoccupante dalla giurisprudenza europea) e questioni di sicurezza nazionale.
Una pluralità di visioni
Decine di organizzazioni della società civile e del mondo del giornalismo hanno analizzato il testo e, pur trovandolo un passo avanti rispetto alle legislazioni in vigore, specialmente in alcuni paesi europei, hanno anche offerto alla Commissione consigli su come migliorare il testo, in particolare su due punti. Primo, l’articolo 4 deve esplicitamente prevedere che ogni disposizione di sorveglianza debba essere valutata da un organo giudiziario, inclusi legittimità e durata del provvedimento. Secondo, il testo deve vedere la rimozione del principio di sicurezza nazionale, ad oggi principio estremamente confuso, giuridicamente vago e causa delle maggiori violazioni del segreto professionale, come confermato da numerose inchieste giornalistiche e dalla ricerca accademica, oltre alle conclusioni della commissione parlamentare PEGA, che nei mesi scorsi si è occupata specificamente dello scandalo legato allo spyware Pegasus.
Tuttavia, le cose possono sempre peggiorare. La proposta di modifica presentata nel giugno scorso dal Consiglio europeo, organo che rappresenta gli interessi degli stati membri, peggiora le tutele dell’articolo 4 e rinforza la legittimità della sorveglianza degli stati per ragioni di sicurezza nazionale che, si legge nel testo presentato, deve restare prerogativa garantita degli stati membri e non essere mai messa in discussione dall’EMFA. Inoltre, il Consiglio propone che l’uso legittimo di sorveglianza e in particolare degli spyware venga esteso ad altre decine di reati, inclusi reati minori, quali ad esempio le violazioni del copyright.
Tra i paesi promotori di questa bozza peggiorativa troviamo Germania e Francia, paesi produttori di tecnologia Spyware, ma anche ad esempio la Grecia, paese dove gli abusi di sorveglianza nei confronti dei giornalisti sono diventati tema di rilevanza nazionale.
A luglio è stata presentata invece la bozza di revisione prodotta dalle commissioni del Parlamento europeo, bozza che recepisce le indicazioni giunte dalla società civile e implementa tutele fondamentali che rendono la sorveglianza dei giornalisti e l’uso degli spyware l’estrema soluzione quando ogni altro strumento investigativo a disposizione degli stati membri non produce risultati d’indagine soddisfacenti. Assenti invece nella bozza parlamentare alcune importanti richieste: l’eliminazione dell’eccezione di sicurezza nazionale, il bando degli spyware contro la categoria giornalistica e la crittografia forte quale legittimo strumento di protezione professionale di protezione delle fonti.
L’EMFA in dirittura d’arrivo
Il regolamento è atteso ora al suo ultimo passaggio, quello della discussione trilaterale tra Commissione, Consiglio europeo e Parlamento. Da questa discussione scaturirà un testo che sarà la sintesi delle posizioni delle tre istituzioni europee. Plausibilmente, il regolamento vedrà affermarsi quelle tutele che nelle legislazioni nazionali di molti paesi dell’Unione sono ancora assenti. Al tempo stesso, è facile prevedere che l’EMFA stabilirà una volta per tutte che è possibile e legittimo, per gli stati membri e le loro forze di polizia, accedere ai contenuti confidenziali delle fonti giornalistiche. I giornalisti al lavoro nell’Europa di domani dovranno quindi sapere che nulla del loro lavoro sarà più davvero al sicuro.
Il progetto DJAS è co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa.
Questo progetto ha ricevuto finanziamenti dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione europea in virtù della convenzione di sovvenzione Marie Skłodowska-Curie n. 765140.