Intercettazioni e trojan: il ddl Nordio allarma i giornalisti

Per la Fnsi e gli organismi di categoria, la stretta sulla diffusione delle trascrizioni è un nuovo attacco alla libertà di stampa e al diritto dei cittadini di essere informati. Anche i parlamentari sono in subbuglio, preoccupati che il “captatore informatico” – alias trojan – sfugga di mano ai suoi utilizzatori

07/09/2023, Paola Rosà -

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© Tero Vesalainen/Shutterstock

“Già oggi l’impianto normativo prevede una serie di filtri che non consentono la pubblicazione di intercettazioni non rilevanti ai fini dell’inchiesta, che vengono opportunamente custodite in un apposito archivio”: così si legge nelle sei pagine di memoria che la Fnsi ha consegnato mesi fa alla Commissione Giustizia del Senato durante l’indagine conoscitiva sul tema delle intercettazioni. Era il 27 aprile e il confronto pubblico sull’argomento – in realtà tema “caldo” da decenni – era imperniato sulla posizione apparentemente intransigente – ma più volte contraddittoria – del ministro della Giustizia Carlo Nordio: da mesi l’ex magistrato esponente di FdI annunciava di voler procedere a “una profonda revisione della disciplina” in quanto le intercettazioni sarebbero “strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica” nonché “una barbarie che costa 200 milioni di euro l’anno”.

Gli annunci a mezzo stampa, conditi da plateali marce indietro sulla presunta abolizione delle intercettazioni anche nei casi di mafia e t[]ismo (perché “i mafiosi non parlano al telefono”), e infarciti di attacchi alle categorie dei giornalisti e dei magistrati, si sono susseguiti fino all’ultimo, fino agli inizi di agosto, quando la versione definitiva del ddl – che non abolisce le intercettazioni per reati di mafia e t[]ismo ma anzi ne amplia la portata – è stata licenziata dal Consiglio dei ministri, iniziando così il suo iter parlamentare, in ripresa dopo la pausa estiva.

Già ad aprile comunque, e poi anche a inizio luglio durante un flashmob contro “il bavaglio del ddl Nordio”, il sindacato dei giornalisti ha voluto ricordare ai parlamentari il loro “compito di contemperare gli interessi in gioco, di trovare il giusto equilibrio tra due principi di rango costituzionale. Quello relativo al diritto alla riservatezza e alla tutela della dignità e onorabilità delle persone e quello relativo al diritto di informare e di essere informati, pietra angolare del nostro sistema democratico come ci ha ricordato più volte la Corte costituzionale con due sentenze gemelle sull’articolo 21 e come spesso ci ricorda anche il Presidente della Repubblica”.

Durante il flashmob della FNSI (foto FNSI)

Durante il flashmob della FNSI (foto FNSI)

Ciò che preoccupa i giornalisti infatti, e che dovrebbe preoccupare l’intera società considerato il ruolo dell’informazione nel veicolare vicende di interesse generale, sono le nuove restrizioni alla diffusione delle intercettazioni: il ddl Nordio amplia i divieti già introdotti da precedenti norme, come la riforma Orlando, e permette che le intercettazioni si possano diffondere solo se già riprodotte dal giudice nella motivazione e utilizzate nel corso del dibattimento.

La questione tuttavia è ancora più complessa, non riguarda solo la limitazione dello strumento e l’eventuale ulteriore censura, ma tocca almeno tre scenari che in parte si sovrappongono e in parte si contraddicono: il diritto dell’opinione pubblica a conoscere notizie di interesse generale, il rischio di ampliare pratiche di sorveglianza anche a soggetti non coinvolti nelle indagini, la tutela della privacy degli stessi indagati su questioni personali non attinenti alle indagini.

L’interesse generale e gli eccessi dei media

Come ha ribadito ai senatori la segretaria generale della Fnsi, Alessandra Costante, intervenuta in Commissione Giustizia in aprile, ancora una volta il legislatore sembra non prendere “in considerazione la necessità di pubblicare e diffondere notizie di interesse generale che sono un valore da proteggere, come affermato dalla Corte europea in diverse occasioni, e che prescinde dagli aspetti legati alla colpevolezza di una persona”.

Vero è che il richiamo alla Cedu non riesce a cancellare decenni di abusi ed eccessi da parte dei media italiani, che hanno dato in pasto a lettori e telespettatori risvolti privati e non rilevanti ai fini dell’indagine. Che poi su questi eccessi, esecrabili, si costruisca la giustificazione di un bavaglio, pare la risposta prevedibile e tanto annunciata del governo, che ha voluto dedicare la riforma a Silvio Berlusconi.

Ma che sarebbe successo se il ddl Nordio fosse stato in vigore ad esempio durante l’indagine sul crollo del ponte Morandi? Buio sulle frasi dei manager a proposito dei Benetton. E per le violenze nella questura di Verona? Censura sui video. Gli esempi concreti, illustrati dalla Fnsi durante il flashmob di luglio, restituiscono la realtà attuale, per cui in base al codice di procedura penale, copia delle intercettazioni, una volta depositate, può essere fornita a chiunque ne abbia interesse, e spetta al pubblico ministero il compito di vigilare che nei brogliacci non siano riportati contenuti che riguardano dati personali sensibili. Il ddl Nordio farebbe invece piazza pulita, eliminando la possibilità di una pubblicazione delle intercettazioni se non già riprodotte dal giudice nella motivazione e utilizzate nel dibattimento. Altri divieti colpiscono la procura generale, il giudice e il pubblico ministero, che non potranno riportare nei verbali o acquisire nello stralcio dati relativi a soggetti diversi dalle parti. E questo nel pur comprensibile intento di tutelare “il terzo estraneo al procedimento”.

Lo spettro dei trojan e le domande dei senatori

In Commissione Giustizia del Senato il 24 gennaio il presidente dell’associazione Lawful Interception (intercettazione legale) Elio Cattaneo, che ha definito il settore delle intercettazioni “eccellenza del comparto hi-tech del nostro Paese”, ha fatto un quadro delle professionalità coinvolte, parlando di oltre 1500 addetti – solo della sua associazione di categoria che raggruppa le sei principali aziende del settore e che copre il 75 per cento del mercato. L’attività di intercettazione avviene per il 95% per conto delle Procure e per il 5% per i servizi segreti. Il campo di maggiore applicazione sono le intercettazioni telefoniche (76%), con un 15% di intercettazioni ambientali, un 5% di informatiche e un 3% di trojan. I dati, disponibili anche sul sito del ministero, parlano di un andamento in calo, con un picco nel 2013 di 141.169 intercettazioni, mentre il dato più recente riferito al 2021 riporta 95.379 bersagli, di cui 72.769 utenze telefoniche, 14.606 intercettazioni ambientali, più di 5.000 informatiche e 2.896 trojan, il virus spia che trasforma il telefono in un microfono sempre acceso.

Proprio sui captatori informatici o trojan, software dalle potenzialità sconosciute, si è concentrata l’attenzione dei senatori durante due audizioni lo scorso gennaio: domande, richieste di precisazioni, interventi preoccupati, a cominciare dalla stessa presidente della commissione, la senatrice leghista Giulia Bongiorno, avvocata. I trojan, è stato detto ai senatori, sono in grado di inviare e ricevere all’insaputa del possessore del cellulare nel quale sono installati, non solo chiamante, messaggi e mail, ma anche audio, ricreando la voce del possessore. Può attivare la telecamera, scattare foto e creare video, leggere gli sms e gli mms, accedere al contenuto della messaggistica istantanea (incluse chat protette da crittografia come WhatsApp, Signal e altre), al GPS (quindi alla geolocalizzazione del dispositivo) e ispezionare i contenuti (quindi vedere le immagini, i video e i documenti presenti), inclusa la cronologia della navigazione su Internet.

Ma è stato quanto riferito da Lelio Della Pietra, consulente di informatica forense, a mettere i senatori in allerta: l’ingegnere ha raccontato di un caso di “manifeste patologie nel procedimento di acquisizione e detenzione delle tracce foniche provenienti dal captatore”. Patologie che secondo l’ingegnere possono essere curate, ed è “strategico che vengano curate al più presto, perché ne va della credibilità dello strumento e di tutte le indagini ad esso collegate”.

Nel caso descritto da Della Pietra, risalente al 2019, quindi a prima dell’entrata in vigore della riforma Orlando che ha istituito un archivio generale delle intercettazioni, si trattava di un trojan che registra le conversazioni fra presenti, ma che non può farlo come una microspia, nel senso che non registra ventiquattro ore su ventiquattro: il suo primo obiettivo è quello di non essere scoperto, quindi “deve cercare di mascherarsi, non deve scaldare il dispositivo, non deve consumare troppa batteria o troppa banda”. Per questo, in quanto “dispositivo a pilotaggio attivo”, deve essere programmato tramite apposita interfaccia.

Le anomalie descritte dall’ingegnere si riferiscono a registrazioni senza programmazione, “un po’ come quando nelle cause esce fuori che il fucile ha sparato da solo: in questo caso il trojan avrebbe registrato da solo. In 22 casi vi sono stati poi lunghissimi periodi (nottate intere) in cui il trojan era programmato per captare e non è arrivato assolutamente nulla; peraltro uno di questi periodi è proprio la notte clou delle indagini, in cui il captatore alle ore 2 della notte smette di ricevere, laddove programmato per tutto il giorno successivo”. E poi ci sono anche audio letteralmente scomparsi, benché se ne conosca l’orario di registrazione. “Sostanzialmente sono spariti”.

Anche l’ingegner Paolo Reale, un altro consulente di informatica forense, era stato altrettanto chiaro nell’audizione del 12 gennaio , augurandosi che il legislatore trovi nuove norme per uno strumento nuovo come i trojan: “È evidente che quello è uno strumento completamente diverso dalla classica intercettazione telefonica, con cui non ha niente a che vedere; è uno strumento invasivo che va a toccare praticamente tutti gli aspetti della nostra vita, perché oggi effettivamente il nostro cellulare contiene qualunque informazione relativa ai nostri appuntamenti o ai nostri figli, quindi sicuramente una disciplina diversa sarebbe auspicabile proprio per questo motivo”.

Equilibrio fra diritti e sorveglianza di massa

“Sulle intercettazioni mediante captatori – ha detto il presidente del Garante per la protezione dei dati personali, professor Pasquale Stanzione, chiamato dai senatori ad esprimere un parere – le potenzialità intrusive di tali strumenti impongono garanzie adeguate”. “Ove rese disponibili sul mercato, anche solo per []e, in assenza dei filtri necessari a limitarne l’acquisizione da parte dei terzi, queste app-spia rischierebbero infatti di trasformarsi in pericolosi strumenti di sorveglianza massiva”.

Tra rischio sorveglianza di massa e necessità di garantire sia la privacy sia l’efficacia delle indagini, la questione delle intercettazioni tocca numerosi aspetti tutti in evoluzione.

“Il faro, la linea, la via principale è rappresentata dalla tutela della persona umana”, ha aggiunto Stanzione, che ha richiamato anche la legislazione europea: “Ci muoviamo in un sistema europeo che del personalismo ha fatto la centralità della propria normativa. Saranno il GDPR, il Digital Services Act, l’Artificial Intelligence Act a muoversi in questa prospettiva (…) perché l’Europa ha una via mediana proprio nei confronti dell’intelligenza artificiale, che tocca questi profili enormi di invasione della sfera intima della persona. La via mediana consiste in una strada che non è né il liberismo sfrenato dell’esperienza anche statunitense né quella articolata viceversa sullo statalismo più accentuato, ossia la cinese-coreana, che non lascia spazio all’espletamento e al libero sviluppo della personalità, a cui il nostro articolo 2, tante volte citato, dà garanzia e solida conformazione”.

Su questa costante ricerca di un equilibrio insiste anche l’avvocato Nicola Canestrini, penalista ed esperto di media: pur essendosi trovato anche di recente a difendere giornalisti che avevano pubblicato delle intercettazioni (si veda il caso dell’assoluzione degli autori di un libro-inchiesta sui malumori interni al partito di maggioranza sudtirolese), Canestrini non affronta il tema con approccio assolutista. Anzi. Come dimostra il suo ricorso alla Corte di Strasburgo contro le intercettazioni che lo hanno visto come vittima, l’avvocato è decisamente prudente.

Quando si è trovato nei brogliacci le trascrizioni delle proprie telefonate con il proprio assistito, nel 2021 Canestrini ha deciso di denunciare questa violazione al diritto di riservatezza, che in pratica aveva rivelato al pubblico ministero la strategia difensiva. Sono almeno tre le occasioni in cui l’avvocato si è trovato a leggere nei brogliacci estratti delle sue conversazioni con i propri assistiti. Di qui il ricorso alla Corte europea dei diritti umani, in cui contesta il meccanismo della verifica postuma del rispetto dei limiti legali.

Niente assolutismi quindi quando si parla di intercettazioni, ma criteri di riferimento certi: caso per caso, situazione per situazione, ci sono momenti per approvarne la diffusione ed altri per chiederne la riservatezza, momenti per far prevalere il rispetto della dignità umana e altri per imporre la necessità delle indagini. Nella costante ricerca di un equilibrio fra diritti costituzionalmente garantiti.

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Il progetto DJAS è co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa.

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Questo progetto ha ricevuto finanziamenti dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione europea in virtù della convenzione di sovvenzione Marie Skłodowska-Curie n. 765140.

 

 

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