Ervin Goci: in cerca di dignità e futuro

Dopo anni di apatia, la società civile albanese si sta riattivando su diversi fronti, dalle proteste per la conservazione delle aree verdi urbane a quelle per migliori condizioni economiche e dignità sul lavoro. Un’intervista all’attivista Ervin Goci

18/09/2023, Gentiola Madhi -

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Tirana - Foto gentilmente concessa da Migen Qiraxhi

Ervin Goci è una delle voci  più prominenti della società civile albanese nell’ultimo decennio. Molti lo riconoscono per il suo impegno pubblico per salvare il Teatro Nazionale, tristemente abbattuto tre anni fa durante la pandemia. Oltre all’attivismo civico, Ervin insegna presso il Dipartimento di Giornalismo e Comunicazione all’Università di Tirana, posizione che gli permette di essere in diretto contatto con i giovani della “generazione Z”, confrontandosi e raccogliendo speranze, timori e disillusioni sul futuro incerto che li aspetta. 

Lo abbiamo incontrato per discutere degli ultimi sviluppi nel panorama dell’attivismo urbano a Tirana, dell’emergere di nuovi movimenti politici e dell’università come laboratorio sociale. 

Durante l’estate si sono svolte a Tirana una serie di proteste contro la costruzione nel cuore della città di un grattacielo di 205 metri chiamato “Mount Tirana”. Questa non è la prima volta che i cittadini della capitale albanese reagiscono a progetti edili megalomani… 

Si tratta della costruzione di un grattacielo, il più alto dei Balcani, che non ha nulla a che vedere con le esigenze attuali della società albanese e della sistemazione urbanistica di Tirana nello specifico. Considero queste proteste assolutamente motivate, sono uno strumento in grado di dare vita ad una voce alternativa nello spazio pubblico, che attualmente non ha altro mezzo se non la protesta civile.

Le proteste che partono da eventi concreti, secondo me possono essere definite "proteste intermedie", non sono cioè necessariamente proteste politiche con una partecipazione di massa per chiedere, ad esempio, la caduta di un governo. D’altro canto non sono nemmeno semplici proteste comunitarie, di un quartiere, perché l’organizzatore, in questo caso il ‘Movimento Insieme’, è un soggetto con una certa legittimità e chiede tramite la protesta di aumentare il raggio d’azione e l’eco della propria causa, articolata come nodo politico dei rapporti di potere e non – semplicemente – come una decisione sbagliata per l’organizzazione urbana di Tirana. 

Come valuta la partecipazione dei cittadini a queste proteste?

La vita comunitaria a Tirana è deficitaria per mille ragioni, ed una di queste è il fatto che con la trasformazione urbanistica in atto, con nuovi cantieri che aprono ogni giorno, è impossibile costruire una comunità. Le comunità hanno bisogno di continuità, di un passato, mentre oggi nei quartieri di Tirana si stanno costruendo decine di edifici in tempi record. Mi sembra una sorta di mobilitazione, uno shock permanente che non permette alle persone di guardarsi negli occhi, trovare un terreno comune e iniziare a pensare razionalmente e ad organizzarsi tra loro. 

Da un punto di vista politico, si nota in Albania l’emergenza di nuovi movimenti accanto ai partiti tradizionali…

Penso che i nuovi movimenti, per quanto modesti possano sembrare, non sono più quelli di una volta, che nascevano come frazioni dei vecchi partiti. Anche se non riusciranno a sostituire interamente la vecchia classe politica, a “mandarla in pensione” come è successo in Kosovo, credo che saranno l’unico fattore in grado di portare avanti riforme nel paese. Non è facile, poiché la classe politica albanese è in gran parte costruita su élite politiche e professionali dell’epoca del comunismo: siamo uno dei paesi che ha sperimentato le riforme più lente, con la costante esclusione delle nuove energie dal processo politico.

Solo ora rilevo i segni reali di uno sforzo per il cambiamento, sperando che la vocazione di questi sforzi sia più forte delle ambizioni carrieristiche dei singoli. L’abuso di potere è diventato un sistema, governo e opposizione fanno “il gioco degli specchi” incolpandosi a vicenda di fallimenti e abusi. Solo la presenza di una nuova forza politica seria potrebbe fermare questo circolo vizioso, perché sarebbe l’unica alternativa in grado di trarre vantaggio morale e politico dal denunciare gli abusi. Abbiamo bisogno di vedere emergere nuovi movimenti, per creare un’opposizione e una resistenza civile più potente e rapida, e prevenire per quanto possibile i danni provocati dall’attuale sistema di potere. Le proteste mettono in luce il vero, grande male della società albanese, che non ha nulla a che fare con i permessi di costruzione, ma con l’utilizzo e l’abuso delle risorse pubbliche a favore di interessi occulti.

Quanto hanno influito queste proteste sulla consapevolezza dei giovani rispetto alla necessità di tutelare proprietà e beni pubblici?

La protesta o la capacità di resistere non si possono ereditare. Siamo di fronte ad un problema strutturale, un problema di istruzione, spazio civile, forum e vita universitaria, che non ha nulla a che vedere con quanto si è giovani e attivi. Anche se non vedo il problema in prospettiva generazionale, condivido assolutamente la preoccupazione secondo la quale i giovani possono e devono essere molto più attivi.

Oggi la vita comunitaria di giovani e studenti si è molto affievolita, la disorganizzazione e la scarsa consapevolezza dei giovani che vivono la vita universitaria ha indebolito un’enorme fonte di potenziale energia politica, convertendoli in masse amorfe che sembrano muoversi secondo le leggi della fisica. Mobilitarli e organizzarli è compito di qualsiasi movimento politico che voglia lasciare il segno.

Gli ultimi dati Eurostat mostrano che negli ultimi anni c’è stato un esodo di massa degli albanesi, misurato dal numero di permessi concessi nei paesi dell’UE. Perché i giovani se ne vanno?

Ho letto statistiche secondo cui l’età media di chi emigra è bassa, il che significa che molti giovani fuggono per la disperazione; non hanno un piano, cercano una risposta, una soluzione all’emergenza. Questa è la migrazione più triste. Potrebbero andare via per motivi di studio, per un lavoro stagionale, con un contratto di lavoro, ma di fatto scappano come se fossero espulsi dall’Albania. I giovani di oggi hanno una caratteristica: non accettano l’umiliazione. Viviamo in una realtà in cui tutto è gratuito, dove esiste una feroce competizione globale per le risorse materiali e umane, per l’innovazione, la conoscenza, e un giovane istruito o voglioso di lavorare è un patrimonio economicamente incalcolabile. Mi sembra che il sistema economico in Albania sia marcio, è limitato all’attività economica, dove la vera moneta di scambio è il calcestruzzo, e tutta l’economia è ridotta a funzionare più mediante una sorta di baratto piuttosto che attraverso le transizioni monetarie, è un’economia talmente compromessa dal punto di vista giuridico e morale che non riesce a offrire dignità ai giovani. 

Un paese che ha impiegato nella propria amministrazione pubblica circa un quinto degli occupati in età lavorativa è economicamente esausto. Non ci sono giovani disposti a vivere in questo quadro economico. Il 70-80% dei giovani lavora nei servizi di telefonia, o come camerieri, barbieri e nei servizi turistici: non c’è altro. Questi sono lavori che il mondo proietta oggi sempre di più verso i servizi automatizzati. Dove sono le opportunità per l’intelletto dei giovani albanesi, nell’industria, nella tecnologia, nel management, nella creatività culturale, nella ricerca scientifica, nei servizi sociali?!

Nel mondo globale ci sono società che per ragioni demografiche hanno bisogno di certe professioni e, appena i giovani si diplomano, li attraggono pagando molto bene, soprattutto la Germania. Questo processo può essere fermato solo fornendo istruzione, stipendi adeguati e dignità professionale e civica. Noi non offriamo nulla di tutto questo, ma preferiamo incolpare chi fugge.

 

Cronaca

Tirana, immagine interna del palazzo bruciato (foto OBCT)

Tirana, immagine interna del palazzo bruciato (foto OBCT)

Lo scorso 14 settembre nel centro di Tirana un condominio di 10 piani ha preso fuoco. Dalle prime indagini sembra che la causa sia stata una scintilla elettrica in un appartamento all’ultimo piano. A quanto pare il materiale scadente e altamente infiammabile del rivestimento esterno ha esteso l’incendio all’intero edifico, dando alle fiamme 15 appartamenti. Il condominio è stato inaugurato nel 2021. L’incendio di giovedì scorso solleva diversi interrogativi sulla qualità delle nuove costruzioni e sui meccanismi statali di controllo.

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