Karabakh: dopo il cessate il fuoco, Armenia e Azerbaijan si preparano ai colloqui
Dopo l’accordo di cessate il fuoco del 20 settembre scorso tra l’Azerbaijan e le autorità de facto del Nagorno Karabakh, ora il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev dovrebbero incontrarsi per colloqui che coinvolgeranno anche Francia, Germania e Consiglio europeo
Dopo l’accordo di cessate il fuoco del 20 settembre tra Baku e le autorità de facto dell’ex Regione autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO), molti occhi sono ora puntati sulla Spagna e sul vertice della Comunità politica europea (CPE) previsto a Granada il 5 ottobre. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev dovrebbero incontrarsi per colloqui che coinvolgeranno anche Francia, Germania e Consiglio europeo.
Dopo l’ultimo incontro di questo tipo svoltosi il primo giugno a Chişinău, in Moldavia, una soluzione è ancora più urgente a seguito dei combattimenti della scorsa settimana nella regione, che hanno provocato centinaia di morti e molti feriti. Si ritiene che circa 8.000 civili siano stati sfollati e le autorità de facto hanno dato loro l’opportunità di lasciare il Karabakh per l’Armenia.
Al momento in cui scriviamo sono stati evacuati circa 42.500 residenti. Le autorità de facto del Karabakh avevano costantemente esortato la popolazione a non andarsene immediatamente a meno che non fosse stata sfollata e non avesse avuto un riparo, ma molti non hanno dato ascolto alle istruzioni, provocando scene di caos nella città e sull’autostrada principale per l’Armenia, a cui l’Azerbaijan aveva consentito l’accesso per l’evacuazione.
Le preoccupazioni sui pericoli di un esodo di massa si sono avverate il 25 settembre, quando 100 tonnellate di carburante, rese disponibili gratuitamente a coloro che desideravano lasciare il Karabakh per paura di vivere sotto il dominio azerbaijano, sono esplose fuori Stepanakert, causando, finora, 68 morti e centinaia di feriti. Sebbene l’Azerbaijan abbia offerto anche assistenza medica, è stato raggiunto un accordo per consentire anche il trasporto aereo in Armenia dei feriti più gravi, dato il ritardo sull’autostrada Lachin causato dall’esodo.
Anche l’ex ministro della Difesa Samvel Babayan ha sorpreso molti arrivando a Yerevan lo stesso giorno, poiché ci si aspettava il suo possibile arresto per il ruolo che ha avuto nella guerra del Karabakh degli anni ’90. Tuttavia, Babayan ha affermato di aver presentato i suoi documenti al posto di blocco azerbaijano sul ponte Hakari e di essere stato autorizzato a passare.
Invece Vitali Balasanyan, alto comandante militare del Karabakh e segretario del Consiglio di sicurezza de facto della regione fino all’inizio di quest’anno, ha detto ai media armeni che non se ne sarebbe andato. "Sono nato in Karabakh, ho vissuto in Karabakh e vivrò in Karabakh", ha detto.
L’esodo, tuttavia, ha fomentato le accuse di Yerevan e di molti armeni in merito ad un tentativo di pulizia etnica da parte di Baku, che ovviamente nega. L’Azerbaijan afferma invece che integrerà gli armeni etnici della regione, ma non è detto che ciò sia possibile. Sono ormai tre decenni che gli armeni non vivono sotto l’autorità di Baku. E per ora si sono svolti due incontri tra i rappresentanti dell’Azerbaijan e del Karabakh.
Sebbene non si sappia molto altro dei colloqui, è stato annunciato che la consegna degli aiuti umanitari sarebbe ripresa sia attraverso le strade di Lachin che di Aghdam e che sarebbe stata ripristinata la fornitura di energia elettrica, cosa che è avvenuta la sera del 25 settembre, anche se dalla rete azerbaijana e non armena. Si prevede che prossimamente riprenderà anche la fornitura di gas, sempre dall’Azerbaijan vero e proprio.
Si dice che sarà presto annunciato lo scioglimento di ciò che resta dell’ex NKAO di epoca sovietica.
Poiché il futuro rimane incerto, Yerevan e Baku hanno altri problemi da risolvere. Con il Karabakh che sta gradualmente passando sotto il controllo di Baku, e con i diritti e la sicurezza degli armeni del Karabakh probabilmente separati dal processo di normalizzazione armeno-azerbaijano, la demarcazione dei confini e lo sblocco dei trasporti regionali rimangono gli unici potenziali ostacoli alla firma di un accordo di pace, lungamente atteso, che ponga fine a questo conflitto trentennale.
In parte, il mancato accordo sull’accesso dell’Azerbaijan alla sua exclave di Nakhchivan attraverso l’Armenia e il corridoio di Lachin ha portato all’impasse su quest’ultimo dal dicembre dello scorso anno, quando Baku ha limitato parzialmente o completamente l’accesso al Karabakh. Secondo la dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 2020, il “corridoio Zangezur” sarebbe supervisionato dal servizio di guardia di frontiera del Servizio di sicurezza federale russo (FSB).
Anche l’Unione europea, proprio come l’ormai defunto Gruppo OSCE di Minsk, considera la questione come parte integrante di qualsiasi accordo di pace tra Armenia e Azerbaijan. Probabilmente, la preoccupazione dell’UE per l’effettivo controllo russo coincide con quella di Yerevan, soprattutto dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Ma l’Armenia ha anche altri timori.
Intervenendo alla 78esima riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite il 23 settembre, il ministro degli Esteri Ararat Mirzoyan ha avvertito che Yerevan ritiene che la frustrazione di Baku per i ritardi nel raggiungere un accordo potrebbe invece manifestarsi in un’ulteriore azione militare, questa volta diretta contro l’Armenia e non contro il Karabakh. A queste preoccupazioni si aggiunge il fatto che il 25 settembre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha incontrato la sua controparte azerbaijana in una visita inaspettata a Nakhchivan.
Tuttavia, il 26 settembre, Erdoğan è stato citato dai media per aver affermato che se non attraverso l’Armenia, il “corridoio Zangezur” potrebbe passare attraverso l’Iran.
Nel frattempo, con una mossa degna di apprezzamento, il segretario del Consiglio di sicurezza armeno Armen Grigoryan e il consigliere presidenziale azerbaijano Hikmet Hajiyev si sono incontrati a Bruxelles il 26 settembre. In vista dell’incontro di Granada, si sono uniti a loro i consiglieri del presidente francese Emmanuel Macron, del cancelliere tedesco Scholz e del presidente europeo Charles Michel. La fine dell’anno si avvicina, la posta in gioco è alta, e così l’incertezza.