Turchia e censura: cancellato il Golden Orange film festival
Il prestigioso Antalya Golden Orange Film Festival non avrà luogo quest’anno. La ragione? La controversa decisione di escludere il documentario “Il Decreto”, che tratta un argomento tabù: le conseguenze della repressione seguita al fallito colpo di stato anti-Erdoğan del 2016
La sessantesima edizione del prestigioso Antalya Golden Orange Film Festival era programmata dal 7 al 14 ottobre. Un festival così consolidato, in cui competono film nazionali di altissimo livello, dovrebbe essere motivo di orgoglio. Tuttavia, la scioccante cancellazione del festival di quest’anno, dopo una settimana di intense polemiche, ha rivelato verità dolorose sulla censura e la libertà di espressione nella Turchia governata dal Partito Giustizia e Sviluppo (AKP).
La controversia è iniziata con la rimozione di un documentario dal programma del festival. In risposta, i membri della giuria si sono dimessi e la maggior parte dei registi e dei produttori hanno ritirato i propri film dal concorso. Dopo che gli organizzatori del festival hanno cercato di calmare le acque promettendo che il documentario sarebbe stato comunque proiettato, diversi ministeri hanno ritirato i loro finanziamenti. Quindi il documentario è stato nuovamente escluso. Rimasto a corto di film e membri della giuria, l’intero festival è stato cancellato il 26 settembre.
Al centro delle polemiche c’è la regista di documentari Nejla Demirci, che in un’intervista ha descritto l’assurdità della situazione: “Sono sconcertata. Pensiamo ad un Paese, un grande Paese, la Repubblica Turca. E in questo paese, una sola, minuscola persona che si fa gli affari propri è in grado di mettere insieme un film documentario. Ecco con chi se la prende il Paese. Chi lo sta facendo? Il ministero della Cultura, il ministero degli Interni, il ministero della Giustizia. Stanno rilasciando dichiarazioni e io li guardo completamente sconcertata", ha dichiarato ad un canale televisivo vicino all’opposizione .
I controversi decreti statutari della Turchia
Il documentario “Il Decreto” (Kanun Hükmü) segue la cardiologa Yasemin Demirci (sorella della regista) e l’insegnante di scuola elementare Engin Karataş nella pittoresca città egea di Bodrum. Entrambi sono stati licenziati per decreto del governo.
Le sentenze presidenziali mediante decreto statutario (conosciuto con l’iniziale turca KHK) sono diventate frequenti durante lo stato di emergenza dichiarato dal governo turco dopo il tentativo di colpo di stato nel 2016. Questi decreti sono stati ampiamente criticati per aver limitato i diritti fondamentali e aggirato i normali controlli ed equilibri giudiziari.
Molti insegnanti, medici e altri dipendenti pubblici sono stati licenziati senza processo dopo lo stato di emergenza. La maggior parte è stata accusata di far parte dell’organizzazione ora bandita di Fethullah Gülen, predicatore in esilio negli Stati uniti che lo Stato turco accusa di essere responsabile del tentato colpo di stato. Eppure, come nel caso delle due persone le cui storie sono raccontate nel documentario, molti di coloro che sono stati licenziati e interdetti dal pubblico impiego non erano coinvolti nel movimento di Gülen, ma erano semplicemente di sinistra o comunque critici nei confronti del governo.
Successivamente, Yasemin Demirci è stata reintegrata presso l’Ospedale statale di Bodrum mentre Karataş, noto per le sue proteste creative (ha scritto le parole "Rivoglio il mio lavoro e i miei studenti!" in tutta la città di Bodrum), resta interdetto dal pubblico impiego.
La direzione del festival ritira, riammette e ritira di nuovo
“Il Decreto” era solo uno dei tanti film in concorso, finché il direttore del festival Ahmet Boyacıoğlu non ne ha annunciato il ritiro perché toccava un caso giudiziario in corso. Ha detto che il film sarebbe stato proiettato dopo la fine del processo.
La prima risposta è arrivata dalla regista, che ha spiegato che non c’è alcun processo in corso. Questa era semplicemente una scusa per la censura. Ha continuato sostenendo che la rimozione del film dal festival è stata un duro colpo per tutti coloro che credono nella democrazia e nello stato di diritto in Turchia.
L’unico caso giudiziario che ha coinvolto direttamente il film è avvenuto durante le riprese iniziali. Demirci aveva chiesto al governatore del distretto di Bodrum il permesso di girare in città. Le sue ripetute richieste non hanno ottenuto risposta e alla fine sono state respinte. La regista ha fatto appello alla Corte Costituzionale turca, che ha stabilito che il suo diritto alla libertà di parola era stato violato.
Successivamente, i membri della giuria hanno condiviso una dichiarazione in cui affermavano che si sarebbero ritirati dal festival. "Non accettiamo questa visione che mira a identificare gli elementi criminali nei film e a normalizzare le misure di censura", hanno scritto i firmatari. “Adempiremo ai nostri doveri di membri della giuria solo se il film verrà riammesso", hanno promesso l’attrice Demet Akbağ, il regista Özcan Alper, la scrittrice Sema Kaygusuz e altri.
Poi è arrivata la dichiarazione congiunta dei registi e dei produttori di alcuni dei film più attesi del Concorso nazionale lungometraggi, l’evento principale del festival, che definisce la rimozione del documentario “una minaccia diretta alla libertà di espressione artistica”. Inoltre, anche i registi di tutti i cortometraggi e di sei degli otto documentari hanno ritirato i loro film .
In risposta alla solidarietà degli altri partecipanti al festival e del pubblico in generale, Boyacıoğlu ha fatto un altro annuncio affermando di essere stato recentemente informato che non era in corso alcun procedimento giudiziario che coinvolgesse i soggetti del documentario. Pertanto, non vi era alcun ostacolo alla riammissione del documentario al concorso.
I registi e i membri della giuria hanno nuovamente criticato il direttore per essersi rifiutato di scusarsi e per aver ripristinato il film con una scusa così debole, ma hanno comunque festeggiato la decisione di proiettare il film. Tuttavia, il sollievo di Demirci e degli amanti del cinema di tutta la Turchia è stato di breve durata. Il ministero della Cultura e del Turismo turco ha ritirato il sostegno al festival, sostenendo che proiettare il documentario avrebbe disonorato la memoria della “lotta epica per la democrazia nella quale la nostra amata nazione si è impegnata il 15 luglio”, data del tentativo di colpo di stato nel 2016.
A seguire a ruota è stato il ministero della Gioventù e dello Sport, mentre il ministro della Giustizia Yılmaz Tunç ha dichiarato di non poter permettere che “un festival tradizionale come il Golden Orange Film Festival venga utilizzato per propaganda t[]istica”.
Di fronte a questa reazione negativa, il direttore del festival ha fatto ancora una volta marcia indietro e ha nuovamente rimosso il documentario dal concorso, adducendo l’avvio di un’indagine sul festival e problemi di sicurezza in seguito a minacce contro di lui e la sua squadra e lamentando inoltre insufficiente sostegno da parte del settore cinematografico.
Dopo che la giuria e i registi coinvolti hanno nuovamente annunciato il proprio ritiro, il sindaco dell’opposizione della provincia di Antalya Muhittin Böcek ha annunciato la cancellazione del festival stesso.
Una storia di censura
Non è la prima volta che si tenta di censurare un film al Golden Orange. Nel 1979, tre film furono esclusi dal concorso perché non avevano superato la censura allora esistente in Turchia. L’ultima volta che il Golden Orange è stato cancellato completamente è stato nel 1980, dopo che un colpo di stato militare aveva preso il potere nel paese. Tuttavia, nel giro di un decennio, anche i film critici nei confronti del governo sono stati nuovamente ammessi al concorso, come nel caso del vincitore della categoria miglior film nel 1989, “Don’t Let Them Shoot the Kite”, sull’attivismo di sinistra in una prigione femminile dopo il colpo di stato.
Nel 2014, un documentario del regista Reyan Tuvi incentrato sulle proteste di Gezi Park dell’anno precedente era stato rimosso dal concorso in quanto violava il codice penale turco. A quel punto, i membri della giuria si erano nuovamente dimessi per protesta. La direzione del festival ha successivamente reintegrato il film dopo una piccola modifica ai sottotitoli.
La situazione oggi è molto peggiore. “Non sappiamo cosa ci succederà. Siamo nel mezzo di una situazione kafkiana. Come può qualcuno commentare un film che non ha nemmeno visto? È un documentario divertente, umano e ingenuo sulla vita di due persone. Stiamo commettendo un crimine mostrandolo?”, ha dichiarato un dipendente del festival all’editorialista turco İsmail Saymaz. Lo stesso dipendente, parlando in condizione di anonimato, ha detto che la debacle aveva dimostrato che il ministero della Cultura e del Turismo ora si rifiuterà semplicemente di finanziare qualsiasi festival o evento se non gradisce i temi dei film.
Nel dibattito è intervenuto anche il presidente Recep Tayyip Erdoğan. “Non possiamo accettare che si prenda di mira la volontà nazionale con l’arte come scusa”, ha dichiarato in parlamento il primo ottobre.
Lo stato della libertà artistica nel nuovo secolo della Turchia
La cancellazione a sorpresa del Golden Orange è arrivata mentre si diffondeva la notizia dell’esito di un caso giudiziario contro attivisti di alto profilo della società civile, tra cui un regista. Il 28 settembre, la Corte di cassazione turca ha confermato la condanna di cinque degli otto attivisti nel famigerato processo Gezi Park. Nonostante i forti pronunciamenti a sfavore da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo e del Consiglio d’Europa, la sentenza ha condannato queste figure della società civile per le proteste popolari del 2013 contro la demolizione di un parco in piazza Taksim a Istanbul.
Tra i condannati c’era Çiğdem Mater, produttrice cinematografica e giornalista, accusata per un film documentario sulle proteste di Gezi Park mai realizzato . Gli incontri che aveva avuto o aveva pianificato di avere con festival cinematografici internazionali all’estero per mostrare il documentario incompiuto sono stati usati come prova di un crimine.
Il sindaco di Antalya Böcek ha promesso il 30 settembre che, con una nuova direzione e senza il sostegno da parte dei ministeri turchi, la sessantesima edizione del Golden Orange Film Festival si svolgerà comunque prima della fine del 2023, il centenario della Repubblica turca. Che il festival si svolga o meno quest’anno, le crescenti restrizioni alla libertà di parola e di espressione artistica oggi non fanno ben sperare per il secondo secolo del Paese.