La «Nuova Turchia» di Erdoğan
07/2018 - Autrice: Fazıla Mat
Da quando l’Akp (Partito della giustizia e dello sviluppo) è salito al governo, nel 2002, la Turchia ha aperto un nuovo capitolo della propria storia. Sedici anni al potere hanno prodotto un cambiamento costante nel Paese, per alcuni versi paradossale. Dopo i primi anni impiegati in riforme democratiche e nella promozione del pluralismo, il governo turco ha infatti assunto un carattere sempre più autoritario. Un autoritarismo legato indubbiamente alla figura del presidente Recep Tayyip Erdoğan, leader forte e carismatico, in grado di mobilitare le masse con discorsi politici populisti, intrisi di riferimenti all’Islam sunnita, che contrappongono «la vera nazione» alle «vecchie élite» e distinguono senza indugi gli «amici» dai «nemici» (K. Öktem e K. Akkoyunlu, Exit from Democracy. Illiberal Governance in Turkey and Beyond, «Southeast European and Black Sea Studies», 4/2016, p. 470).
L’affermazione della linea autoritaria del governo è andata di pari passo con la trasformazione che, nel tempo, ha subito lo stesso Akp. L’orizzontalità che caratterizzava originariamente il partito, dove nonostante la leadership di Erdoğan ciascun membro fondatore aveva un proprio peso, è stata sostituita da una struttura verticistica dominata unicamente dal presidente turco. Così, mentre gran parte dei componenti originari del partito sono stati emarginati o si sono chiamati fuori, l’Akp è diventato tutt’uno con la figura di Erdoğan.
L’ultima fase di tale trasformazione in senso autoritario è iniziata dopo il tentato golpe del 15 luglio 2016, con le misure messe in atto dal governo turco in «risposta» al putsch fallito e con il passaggio dal sistema parlamentare a quello presidenziale. Una trasformazione che sta smantellando conquiste democratiche faticosamente ottenute nell’arco di decenni, mentre gli oppositori del governo vengono bollati come «nemici» della nazione e vanno incontro a pesanti conseguenze. Ma in ballo c’è anche – e soprattutto – l’obiettivo di edificare una «Nuova Turchia», che nelle intenzioni della leadership turca deve sostituire quella «vecchia», repubblicana e kemalista.
[L’articolo completo, pubblicato sul “Mulino” n. 3/18, pp. 429-436,]