Zenica, biglietto per la morte
La Federazione di Bosnia Erzegovina ha proclamato ieri una giornata di lutto per la morte dei cinque minatori uccisi nell’incidente di giovedì scorso. Migliaia di persone hanno partecipato alle esequie dei lavoratori, divenuti un simbolo della drammatica situazione economica in cui versa il paese
“I nostri minatori hanno dato le proprie vite per guadagnare il duro pane della miniera”. Con queste parole il presidente del sindacato dei minatori di Zenica (RMU), Mehmed Oruč, ha commemorato i 5 lavoratori che hanno perso la vita nell’incidente avvenuto la settimana scorsa in Bosnia centrale. Una scossa di terremoto di magnitudo 3,5 aveva intrappolato giovedì 34 minatori alcune centinaia di metri sotto il livello del suolo. Ventinove di loro sono stati salvati dalle squadre di soccorso e riportati in superficie nella giornata di venerdì, mentre i corpi dei loro 5 compagni sono stati estratti solo domenica dalla miniera di carbone di Raspotočje.
Gli stessi minatori intrappolati avevano cominciato a liberare il tunnel che si è poi congiunto con quello scavato dalle squadre di soccorso. In un primo momento il direttore della miniera, Esad Čivić, aveva dichiarato che tutti i minatori erano salvi e che avevano sufficienti riserve di ossigeno per attendere i soccorsi. Sinan Husić, presidente del sindacato dei minatori della Federazione, ha tuttavia annunciato la morte dei 5 lavoratori venerdì, dopo che gli altri 29 erano riusciti ad uscire. “Purtroppo lo sapevo da prima, ma non ho avuto il coraggio di dirvelo. Ventinove sono usciti, cinque no. Non sono sopravvissuti.”, ha dichiarato Husić secondo quanto riportato dal portale informativo Balkan Insight .
Rispetto
Le operazioni di soccorso sono state seguite con grande emozione da un paese, la Bosnia Erzegovina, che guarda con rispetto alla figura del minatore. Furono proprio i minatori della Bosnia centrale a costruire il tunnel che permetteva ai cittadini di Sarajevo di superare le linee nemiche durante il lungo assedio della città negli anni ’90. Il grande rispetto tributato ai minatori, tuttavia, non si accompagna ad una altrettanto grande attenzione per le misure di sicurezza in cui svolgono il loro lavoro.
La miniera di carbone di Raspotočje era già stata teatro di un grave incidente in passato, nel 1982, quando 39 minatori erano rimasti uccisi. Altri incidenti, con frequenza, erano avvenuti più di recente. Nel marzo 2010, 13 minatori erano stati colpiti dalla caduta di alcune rocce e, un anno più tardi, 11 erano rimasti feriti in un incidente simile. A marzo di quest’anno, altri 11 erano stati colpiti dalla caduta di rocce, mentre il agosto 5 erano stati feriti dopo una serie di scosse telluriche sotterranee.
Il ministro dell’Energia della Federazione, Erdal Trhulj, ha tuttavia dichiarato che il disastro di giovedì è avvenuto per “cause naturali”, e che negli ultimi anni erano stati fatti investimenti per migliorare le condizioni di lavoro e di sicurezza.
Il presidente del sindacato, Husić, citato dal portale informativo Klix.ba , ha confermato che negli ultimi due anni erano stati fatti investimenti nella miniera, ma che non erano sufficienti. La polemica si sta allargando e ieri è intervenuto tra gli altri anche Željko Komšić, membro dell’ufficio di presidenza della Bosnia Erzegovina, dichiarando che “dalle immagini che ho visto [della miniera] sembra che stiamo ancora vivendo nell’Ottocento” e che i minatori “avrebbero potuto essere salvati se il lavoro fosse stato organizzato diversamente.”
Simbolo dell’ingiustizia
La cerimonia funebre si è tenuta ieri, giornata di lutto nella Federazione di Bosnia Erzegovina, a Zenica, luogo della tragedia e un tempo uno dei più importanti centri industriali della Jugoslavia. Dopo la commemorazione tenutasi presso il Teatro Nazionale della città, il rito è stato condotto a Kamberovića Polje dal Reisu-l-ulema della comunità islamica della Bosnia Erzegovina, Husein Kavazović. Migliaia di persone hanno partecipato provenendo da tutto il paese, per salutare i cinque minatori la cui morte, come scrive in prima pagina oggi il principale quotidiano bosniaco, Dnevni Avaz, “rappresenta agli occhi di molti il simbolo dell’ingiustizia e dell’indifferenza nei confronti delle condizioni dei lavoratori in Bosnia Erzegovina.”
I minatori deceduti sono Hajrudin Bradarac, Mehemed Dizdarević, Mehmedalija Halilović, Fahir Halač e Fejzo Isaković. Bradarac (42), padre di un noto atleta di Zenica, Amar, era solamente al suo quarto giorno di lavoro. Nella sua storia, raccontata dalla moglie Mirzeta alla stampa locale, si può rispecchiare un’intera generazione che ha attraversato la guerra e un lungo dopoguerra fatto di difficoltà economiche e povertà. Nato a Rogatica, cittadina della Bosnia orientale da cui era dovuto fuggire negli anni ’90, era stato ferito due volte durante la guerra. Di professione era autista. Disoccupato per anni, “aveva fatto i salti di gioia” quando era stato assunto in miniera.
Essere assunti è infatti considerata come una vera e propria fortuna, e oggi il quotidiano Dnevni Avaz ripubblica una propria inchiesta del 2012 e 2013 con l’intervista ad un minatore in pensione, Avdija Šabić, secondo cui per ottenere un posto di lavoro in miniera – che Šabić definisce come un “biglietto per la morte” – i disoccupati pagano ai caporali fino a 5.000 marchi, circa 2.500 €. La Procura cantonale di Zenica-Doboj ha aperto un’indagine che tuttavia non ha ancora portato ad alcun risultato. Secondo Šabić, “tutti sanno che si paga per essere assunti alla miniera, ma nessuno parla perché sarebbero subito licenziati.”