Whistleblowing in Bosnia Erzegovina: sfiducia nelle istituzioni

La Bosnia Erzegovina dispone di due leggi per la tutela dei whistleblower, una a livello nazionale e una per l’entità della Republika Srpska. Con meccanismi di tutela completamente divergenti tra loro

29/12/2017, Uglješa Vuković - Sarajevo

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(Originariamente pubblicato da Mediacentar Sarajevo , nostro media partner nel progetto ECPMF)

Nella Raccomandazione CM/Rec (2014)7 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla protezione dei whistleblower viene evidenziata, tra l’altro, la necessità di definire nuove linee guida per la tutela giurisdizionale dei whistleblower in quanto le garanzie esistenti, nella maggior parte dei casi, sono insufficienti. Nella parte in cui viene esaminata l’importanza del ruolo dei whistleblower, si sottolinea che le loro azioni rientrano nell’esercizio del diritto alla libertà di espressione e che il loro contributo è cruciale nella lotta alla corruzione. Molti altri documenti e raccomandazioni internazionali riconoscono l’importanza del whistleblowing come uno dei più efficaci meccanismi di prevenzione e contrasto della corruzione in quanto le segnalazioni dei whistleblower, provenendo dall’interno dell’ambiente di lavoro, contribuiscono a svelare fenomeni corruttivi al loro sorgere.

Partendo dallo stesso presupposto, anche la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione sottolinea la necessità che i paesi firmatari introducano nei propri ordinamenti giuridici norme a tutela della persone che, agendo in buona fede e in base al principio di ragionevolezza, denunciano reati previsti dalla Convenzione. Tuttavia, secondo quanto previsto dai principali standard internazionali in materia di whistleblowing, compresi quelli contenuti nella summenzionata Raccomandazione del Consiglio d’Europa, la tutela dei whistleblower va estesa anche alle segnalazioni di irregolarità che non necessariamente integrano gli estremi di un reato. La Raccomandazione del Consiglio d’Europa definisce whistleblower “qualsiasi individuo che segnala alle autorità o rivela pubblicamente fatti che rappresentano una minaccia o comportano un danno all’interesse pubblico, avvenuti all’interno del proprio ambiente di lavoro, sia che si tratti di settore pubblico o privato”.

Anche Transparency International , la principale organizzazione mondiale dedicata alla lotta alla corruzione, dà una definizione simile del whistleblower, insistendo sul fatto che il termine si riferisce ai dipendenti di qualsiasi settore. Nel descrivere la natura delle segnalazioni che costituiscono un atto di whistleblowing, Transparency International ne fornisce un elenco piuttosto lungo che comprende vari tipi di irregolarità, tra cui minacce alla salute pubblica, conflitti di interesse, azioni a danno dell’ambiente, ecc.

Da questo resoconto emerge che, nonostante vi siano precise raccomandazioni sull’adeguamento delle legislazioni dei singoli paesi agli standard internazionali in materia di whistleblowing, non vi è ancora consenso su tutte le questioni inerenti alla tutela di chi denuncia fatti illeciti. È meglio dotarsi di una specifica legge in materia o regolamentarla tramite più atti normativi? Bisogna istituire appositi organi di garanzia a tutela dei whistleblower o affidarla agli organi ai quali spetta occuparsene in virtù delle loro competenze ordinarie?

Tuttavia, alcune considerazioni, come quella secondo cui le leggi nazionali dovrebbero riconoscere tutela a tutti i whistleblower, a prescindere dal loro essere dipendenti pubblici o privati, stanno guadagnando sempre più consenso. In questo contesto, Transparency International si sta impegnando affinché venga garantita un’adeguata tutela non solo ai whistleblower che godono di un rapporto di lavoro convenzionale dal punto di vista giuridico, ma a tutti quelli che sono legati da qualunque tipo di rapporto (in)diretto all’ambiente di lavoro all’interno del quale si sono verificati illeciti denunciati (volontari, apprendisti, ex dipendenti, consulenti, candidati ai concorsi per l’assunzione, ecc.).

La situazione normativa in Bosnia Erzegovina

In Bosnia Erzegovina attualmente esistono due leggi in materia di tutela dei whistleblower: una vigente a livello nazionale (la Legge sulla tutela delle persone che denunciano la corruzione nelle istituzioni della Bosnia Erzegovina) e una solo in Republika Srpska (la Legge sulla tutela delle persone che denunciano la corruzione). La prima si applica ai dipendenti delle istituzioni della Bosnia Erzegovina e alle persone giuridiche che ne sono fondatori, e la seconda a tutte le persone, sia fisiche che giuridiche, che denunciano in buona fede la corruzione nel settore pubblico o privato nella Republika Srpska. Entrambe le leggi partono dal presupposto che la segnalazione debba essere fatta con buone intenzioni, ovvero in buona fede, con l’intento di impedire che i whistleblower che agiscono per ragioni ritenute sbagliate godano della protezione.

Al di là di questo aspetto comune, le due leggi si differenziano molto tra loro, persino nella definizione di alcune nozioni di base. La legge nazionale fornisce una definizione molto più ampia di corruzione, consentendo che la tutela, seppur riservata a una ristretta cerchia di soggetti (dipendenti delle istituzioni statali e persone giuridiche pubbliche), venga estesa alle segnalazioni dei più vari fenomeni e comportamenti corruttivi, tra cui “violazioni di leggi e altri atti normativi, nonché irregolarità e frodi che indicano l’esistenza di corruzione”.

D’altra parte, la legge vigente in Republika Srpska praticamente circoscrive la nozione di corruzione ai soli delitti, dandone una definizione assai restrittiva, imperniata sulla fattispecie di abuso d’ufficio, per cui la tutela dei whistleblower, apparentemente ampia in quanto estesa anche al settore privato, risulta ancora una volta ristretta.

La principale differenza tra le due leggi sulla protezione dei whistleblower attualmente vigenti in Bosnia Erzegovina sta nel fatto che predispongono meccanismi di tutela giurisdizionale completamente divergenti tra loro. La legge nazionale, in caso di segnalazione esterna, tutela i whistleblower tramite un organo specializzato, ovvero l’Agenzia per la prevenzione della corruzione e per il coordinamento della lotta alla corruzione (APIK), che è competente a decidere sulla richiesta di concessione dello status di whistleblower avanzata dal diretto interessato, nonché a adottare misure volte a ovviare alle conseguenze delle azioni ritorsive intraprese nei confronti dei whistleblower. La legge in vigore in Republika Srpska, invece, offre ai whistleblower la possibilità di avvalersi della tutela giurisdizionale sporgendo denuncia davanti al tribunale competente.

Le due leggi contengono norme pressoché identiche relative alla procedura di segnalazione interna, (prevedendo che sia regolamentata da un atto interno all’ente), ma per quanto riguarda i meccanismi esterni di tutela prevedono due modelli completamente diversi, entrambi finalizzati a fronteggiare misure e azioni ritorsive alle quali i whistleblower vengono spesso sottoposti a seguito della segnalazione (mobbing, ostilità dell’ambiente di lavoro, sanzioni disciplinari). Il modello di tutela amministrativa, predisposto dalla legge nazionale, prevede la possibilità che l’ispettore amministrativo, che è preposto al monitoraggio dell’attuazione della legge, adotti una misura sanzionatoria nei confronti del responsabile dell’ente qualora non rispettasse le ordinanze dell’APIK.

Dal momento che la legge approvata dalle autorità della Republika Srpska è entrata in vigore l’estate scorsa, è ancora prematuro polemizzare sulla sua efficacia, ma l’osservazione più ricorrente è che la tutela affidata all’autorità giudiziaria ordinaria potrebbe rivelarsi inadeguata e inefficace. È proprio questa l’argomentazione su cui ha insistito Transparency International BiH durante il processo di consultazione pubblica che ha preceduto l’adozione della legge.

La legge nazionale sulla tutela dei whistleblower è entrata in vigore all’inizio del 2014, e stando all’ultimo rapporto dell’APIK finora sono state presentate solo 16 richieste di concessione dello status di whistleblower, di cui 3 accolte positivamente. Questi numeri modesti, decisamente sproporzionati rispetto alla percezione della corruzione in BiH , possono sottintendere molte cose, tra cui, in primis, il fatto che vi è una diffusa sfiducia dei potenziali whistleblower verso il modello di tutela esistente e verso le istituzioni che dovrebbero attuarlo. Il modo in cui viene implementata la legge sta completamente svuotando di senso il modello di tutela previsto che, dal punto di vista dell’allineamento agli standard internazionali, può essere considerato una soluzione mediamente buona o relativamente avanzata.

La realtà dei fatti

Alla luce di quanto sopra esposto, vi è da chiedersi quale sia la reale situazione dei whistleblower in Bosnia Erzegovina. Sembra che la principale debolezza del sistema bosniaco-erzegovese di tutela dei whistleblower, a prescindere che lo si consideri avanzato o meno, risieda nel fatto che, a dispetto di tutte le declamazioni e garanzie, i cittadini non sono per niente convinti che funzioni. La profonda sfiducia nella capacità delle istituzioni di attuare le norme vigenti coinvolge anche i whistleblower perché, nonostante i vari meccanismi di tutela a disposizione e la convinzione che la corruzione sia onnipresente, il numero di whistleblower legalmente riconosciuti rimane irrisorio.

I media bosniaco-erzegovesi ogni tanto dimostrano l’interesse verso il tema del whistleblowing, limitandosi però quasi sempre a seguire i singoli casi che attirano una particolare attenzione del pubblico, come quello di Danko Bogdanović , uno dei rari whistleblower che è riuscito a ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro .

Questo articolo è parte di un dossier tematico realizzato dalla rete dei mediapartner di OBCT: 14 testate giornalistiche con sede in altrettanti paesi. Il dossier completo è disponibile qui.

Questo caso viene giustamente citato come esempio di un intervento di tutela riuscito perché, dopo aver analizzato l’intera documentazione relativa al licenziamento intimato a Bogdanović al termine del procedimento disciplinare nei suoi confronti, l’APIK ha emesso l’ordine di reintegrazione del danneggiato nel suo originario posto di lavoro, constatando che il procedimento disciplinare e la cessazione del rapporto di lavoro erano correlati alla segnalazione fatta da Bogdanović. Questo esempio dimostra che l’autorità competente, attivando tutti gli strumenti di tutela messi a sua disposizione dalla normativa vigente, può rimediare alle azioni ritorsive intraprese nei confronti dei whistleblower.

Anche i rapporti delle organizzazioni non governative dedicati alla problematica del whistleblowing suscitano un certo interesse e trovano regolarmente spazio nei media, che ogni tanto osano affrontare il tema con toni più audaci, come recentemente avvenuto in occasione della polemica sulla morte dell’avvocato generale della Republika Srpska, quando alcuni articoli hanno sollevato questioni scomode riguardo al tardivo riconoscimento dei whistleblower come soggetti bisognosi di una protezione speciale.

Il duplice modello bosniaco-erzegovese di tutela dei diritti dei whistleblower lascia aperte molte questioni sulle quali bisogna insistere, chiedendosi fino a che punto le norme vigenti riescano a prevenire la corruzione e incoraggiare chi è a conoscenza di fatti illeciti a rivelarli pubblicamente, nonché quale sia la ragione alla base di così tanta sfiducia nelle istituzione preposte alla tutela dei whistleblower.

Chi sono i whistleblower?

Chi sono i whistleblower? Perché un lavoratore può decidere di diventarlo? E se agisce nell’interesse pubblico chi lo protegge? Per un quadro esaustivo sul dibattito europeo in corso leggi il nostro dossier e naviga il nostro Resource Centre sulla libertà dei media.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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