Vent’anni di lotte femministe in Romania

Attiviste femministe, ricercatrici e ong raccontano come la violenza di genere sia uno dei problemi più urgenti che le donne devono affrontare in Romania. Dal 2000 il movimento femminista ha ottenuto diversi risultati, ma la lotta per una società paritaria è una strada costellata di sfide

16/10/2023, Iulia Hau -

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(Foto: Mircea Moira  | Shutterstock)

(Pubblicato originariamente in Stories of Feminist Mobilisation: How to Advance Feminist Movement Worldwide  in inglese, in romeno su Scena9  e ripubblicato in italiano su VoxEurop )

Uno studio del 2016  sulla la violenza di genere negli stati membri dell’UE racconta che il 55 per cento dei rumeni, uomini e donne, considera giustificabile, in determinate situazioni, il contatto sessuale non consensuale. Per il 30 per cento degli intervistati, lo stupro è “giustificato” quando la donna si trova in un gruppo dove si è fatto uso di droghe e alcol; mentre per il 25 per cento vestirsi in modo “provocante” può rappresentare un motivo ragionevole per un abuso sessuale. 

Non sorprende, quindi, che nel 2021 l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere  abbia classificato la Romania  al terzultimo posto del suo indice, appena sopra Ungheria  e Grecia . La mentalità secondo cui “uno schiaffo non è come un pestaggio”, “se mi picchia significa che mi ama” o “una donna deve essere percossa di tanto in tanto” (tutti modi di dire comuni in Romania) è profondamente radicata nella cultura rumena, e purtroppo resiste. 

Conversazioni, a volte difficili, con attiviste femministe, ricercatrici e Ong ci raccontano come la violenza di genere sia uno dei problemi più urgenti che le donne devono affrontare in Romania. 

Dal 2000, anno delle prime proteste contro la violenza di genere in Romania, il movimento femminista ha ottenuto diversi risultati: ha spinto per l’introduzione di una legislazione, ha offerto sostegno alle vittime e ha sensibilizzato l’opinione pubblica. Il movimento ha, inoltre, fatto passi da gigante nel cambiare il modo in cui queste storie vengono raccontate dai giornalisti e dai media. 

La protesta di Playboy

Nell’aprile del 2000, diversi media internazionali, tra cui il New York Times , la CNN e la BBC, hanno raccontato le proteste delle donne a Bucarest a seguito di un pesce d’aprile di cattivo gusto. Playboy Romania pubblicò un articolo intitolato “Come picchiare la propria moglie… senza lasciarle tracce sul corpo”: il pezzo descriveva dieci modi in cui commettere un abuso, con tanto di foto. L’articolo suggeriva, inoltre, che un buon pestaggio poteva perfino portare a un’esperienza sessuale eccezionale, visto che la moglie segretamente desidera esattamente questo tipo di comportamento. L’articolo ha provocato un’importante reazione da parte delle attiviste femministe che, per la prima volta nella storia della Romania, si sono mobilitate in massa contro la violenza di genere. 

La protesta, tenutasi davanti al Parlamento rumeno, comprendeva anche la scrittura di lettere ai membri del Parlamento e alle ambasciate. L’evento è finito sulle prime pagine dei media internazionali, descritto come la prima protesta pubblica contro politiche nazionali antiquate e contro la condizione delle donne rumene (Miroiu, 2015, p. 108). Christie Hafner, l’allora presidente di Playboy Enterprise, si scusò pubblicamente e fece una piccola donazione alle ong rumene che si occupano di violenza di genere.

Le attiviste coinvolte nel movimento di protesta, inoltre, sono state invitate a pubblicare una serie di articoli su Playboy Romania. In seguito alla protesta si è formata una coalizione temporanea di nove organizzazioni che si occupano della lotta contro la violenza di genere; le nozioni di “violenza familiare” e “stupro coniugale” sono state introdotte nel Codice penale più tardi nello stesso anno (Bragă et. al., 2017). Il principale ostacolo alla protesta è stato, purtroppo, lo scarso interesse dei media nazionali, in netto contrasto con l’interesse internazionale. Solo la versione rumena della rivista Cosmopolitan ne ha parlato. 

Un “crimine passionale”

La violenza di genere è spesso utilizzata per veicolare messaggi di divertimento/marketing nello spazio pubblico, in televisione e nella cultura popolare. Le femministe lo hanno fatto notare già nel 2012, anno in cui la Romania ha registrato 14.000 casi di violenza di genere, stando al numero di denunce registrate (ANES, 2018). Per questo tre gruppi di femministe organizzarono una protesta intitolata “Violența nu este divertisment! ” (La violenza non è divertimento!), utilizzando l’occasione per sottolineare il ruolo dei media nella divulgazione di comportamenti aggressivi verso le donne, nella derisione delle vittime, nell’ipersessualizzazione delle donne e nel trattamento dei femminicidi attraverso termini quali “crimine passionale”, “uccisa per amore” o “attrazione fatale”. "Le attiviste femministe chiedevano l’adozione di un codice etico nel giornalismo. Purtroppo, la questione non ha ricevuto quasi nessuna copertura mediatica”, ha dichiarato Tudorina Mihai, presidente dell’associazione FRONT (1).

Nel 2013, stando alle statistiche, quasi il 30 per cento dei rumeni concordava con l’affermazione che le donne a volte sono “responsabili per il fatto di essere picchiate” e il 42 per cento riteneva che la violenza domestica non fosse una questione di interesse pubblico (INSCOP Research, 2013). Nello stesso anno, il governo rumeno propose una nuova legge per regolamentare la violenze sessuali: una mediazione che avrebbe costretto stupratore e vittima a una risoluzione informale della controversia, nel tentativo di evitare che i casi finissero in tribunale (Iancu, 2013). Questa legge non solo rischiava di rafforzare l’aggressore, ma minacciava anche di traumatizzare di nuovo la vittima e di screditare la sua testimonianza. Le organizzazioni femministe si sono rapidamente mobilitate per opporsi alla legge, e hanno contribuito a bloccarne l’attuazione.

L’attivismo per i diritti delle donne in Romania ha avuto un’ampia eco in quel periodo. Numerose organizzazioni hanno unito le forze e formato quella che sarebbe diventata la rete più importante in risposta alla violenza di genere: VIF , Rete rumena per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne. 

La Romania in quel momento era l’unico paese dell’UE a non offrire alcuna protezione legale per le vittime di violenza di genere (Sandu, 2019). Il Centro FILIA, una delle prime associazioni femministe rumene, ha lanciato nel 2011 il progetto “Femeile spun NU publicității ofensatoare” (Le donne dicono no alla pubblicità offensiva!), che metteva insieme in un catalogo di vari spot pubblicitari che usano questo linguaggio   e un libro  sullo stesso tema.

Lo stesso anno, FILIA ha organizzato una manifestazione davanti al Parlamento per chiedere un miglioramento delle leggi sulla prevenzione e il controllo della violenza di genere e l’adozione di una normativa per la protezione delle vittime. Durante la protesta “STOP violenţei asupra femeilor: Victimele nu mai pot aştepta! ” (Stop alla violenza contro le donne: le vittime non possono più aspettare!), le attiviste femministe si sono presentate con lividi dipinti sul corpo, bende e fiaccole in memoria delle vittime di femminicidio, perché la violenza di genere non è una questione privata ma, al contrario, deve essere politicizzata. 

Nel 2012 si è molto parlato del caso Perla , uno dei più noti crimini di genere trattati dai media rumeni. Un marito ha sparato e ucciso la moglie nel salone del parrucchiere in cui la donna lavorava, chiamato Perla. Prima dell’omicidio, la vittima, Felicia Vădan, aveva ripetutamente denunciato il marito alle autorità, ma nulla fu fatto. In seguito all’omicidio, in Romania sono state introdotte misure di protezione legale per chi sporge denuncia ma va detto che la legge, le autorità e il sistema stesso non erano all’epoca in grado di poter garantire in tempo la protezione necessaria. 

Le vittime dovevano presentare  il referto di un esame forense, le dichiarazioni di un testimone o una precedente denuncia presentata contro l’aggressore. Una ricerca  del VIF condotta nel 2013, ha mostrato che all’epoca erano necessari in media 33 giorni per ottenere un atto di protezione.

Grazie per i fiori

Come risultato delle proteste del 2012 contro la rappresentazione della violenza di genere da parte dei mezzi d’informazione il giornalismo in Romania si è evoluto. Numerose inchieste hanno contribuito alla sensibilizzazione e alla mobilitazione della classe politica. Nel 2017 un’inchiesta ha rivelato che ben 500 pedofili accertati e condannati erano tornati in libertà grazie alla sospensione della pena (stando ai dati, per ogni pedofilo incarcerato, altri tre hanno ottenuto  una sospensione della pena). 

Nello stesso anno, 400 di loro sono stati accusati , non di stupro, ma per aver compiuto “atti sessuali con minori”. Molti giudici hanno ritenuto che bambine di dieci anni fossero in grado di dare il loro consenso o che fossero colpevoli di aver “eccitato” l’aggressore per il fatto essere vestite in modo succinto. 

In risposta a queste rivelazioni, l’8 marzo 2019, il gruppo femminista MulțumescPentruFlori  (Grazie per i fiori) ha organizzato la protesta “Cum se scapă de-un viol, domnule judecător? ” (Come si fa a farla franca con uno stupro, signor giudice?). Tra le richieste delle femministe, il fatto di non giudicare più i casi in base all’abbigliamento o al livello di consumo di alcol della vittima, di continuare a monitorare gli aggressori anche quando sono in libertà e al termine della pena, e di semplificare le procedure istituzionali per evitare che le vittime debbano costantemente rivivere il trauma subito. 

Nel 2019, i tribunali  e la polizia, che il più delle volte hanno trattato le denunce delle vittime con indifferenza, ignoranza se non addirittura derisione, hanno iniziato a essere chiamati a rispondere delle loro azioni. 

Il caso Caracal , che ha visto due ragazze adolescenti rapite, violentate e uccise da un uomo di 65 anni, ha scioccato l’opinione pubblica. Una delle ragazze, 15 anni, rapita, legata e violentata, riuscì a chiamare la polizia descrivendo il luogo in cui si trovava e chiedendo aiuto . La risposta del centralinista è diventata virale: “Ok, ok resta lì. Rimani lì. Sto chiamando una squadra, ma smetti di tenere la linea occupata”. Un’ora dopo lo stesso centralinista ha chiesto a un servizio speciale di localizzare la chiamata. Quando la polizia è riuscita finalmente a intervenire, era ormai troppo tardi . Il colpevole è stato condannato tre anni dopo, nel settembre 2022.

Anche il teatro indipendente rumeno è stato coinvolto. Due artiste, la drammaturga Alexandra Felseghi e la regista Adina Lazăr, hanno creato una pièce ispirata al caso Caracal, intitolata Nu mai ține linia ocupată  ("Smettila di tenere la linea occupata"). Qualche mese dopo, in segno di solidarietà alle due vittime, gruppi di femministe hanno organizzato una protesta nazionale nelle principali città rumene e davanti al Ministero degli Interni, intitolata “Cade una, cădem toate! ” (Se cade una, cadiamo tutte!). Al termine della manifestazione, sull’edificio sono apparse le frasi “Il sessismo uccide” e “Il razzismo uccide”. Sono seguiti scontri tra manifestanti e polizia.

Società civile e giornalismo: un’alleanza necessaria

Fino al 2021, gli abusi sessuali contro i minori potevano ancora essere considerati atti sessuali legali e consensuali, anche se le vittime erano bambini di nove anni (Oncioiu & Stoicescu, 2021). Ma per gli attivisti e la società civile era ora di finirla con la sospensione delle condanne per stupro (2)

Così, grazie al progetto Media X Files  (3), un gruppo di giornalisti ha scritto 20 articoli su un periodo di un anno, documentando casi di violenza di genere. Questo lavoro ha costretto le autorità a pubblicare un Rapporto, risultato di un’indagine sulle pratiche giudiziarie nei casi di abusi sessuali che coinvolgono vittime minorenni. Alcune delle affermazioni contenute nelle sentenze di condanna erano: “La vittima era consenziente”, “la ragazza minorenne lo fa con l’approvazione della madre”, la ragazza di 11 anni era consenziente “perché non era vergine al momento dell’atto sessuale incriminato”, “aveva già una relazione con l’accusato, la prova che avevano già due figli”.

Questo tipo argomentazioni, utilizzate in ambito legale, raccontano una cultura dello stupro che incolpa la vittima, anche in casi in cui la vittima è minorenne. Il problema non era solo la mancanza di una legge che definisca come reato un rapporto con minori, ma il sistema giudiziario stesso e la sua struttura: il Rapporto ha infatti anche messo in luce il modo in cui la giustizia funzionava. Per esempio, non esistevano stanze riservate o spazi sicuri per le vittime nei commissariati. Le deposizioni si svolgevano nella stessa stanza, insieme all’aggressore. O, ancora, i funzionari coinvolti non avevano una formazione specifica e la gestione dei casi spesso faceva sì che le vittime si trovassero a rivivere il trauma subìto. 

Altro problema: anche la violenza di genere all’interno della comunità rom non è presa in considerazione e a questo si aggiungono i preconcetti sulla cultura rom, che spesso determinano la mancanza di azioni legali. L’E-Romnja , un’organizzazione rom femminista senza scopo di lucro, si batte dal 2012 per i diritti delle donne rom attraverso campagne di sensibilizzazione e sviluppo della comunità. Uno dei loro studi, Phenja: Suroritatea dintre femei împotriva violenței de gen  ("Phenja: la sorellanza delle donne contro la violenza di genere") di Ioana Vrăbiescu, condotto tra donne, rom e non, nella città di Giurgiu, racconta come le donne percepiscono la violenza di genere.

Nelle conversazioni con le vittime di violenza da parte dei loro partner, tutte le partecipanti hanno sottolineato che sono “meno colpite dagli abusi fisici che da quelli verbali”, che non definiscono come violenza domestica. La maggior parte delle donne ha fatto una distinzione tra gli abusi subiti dai genitori e quelli subiti dal coniuge: “Una cosa è essere colpiti da un genitore, un’altra da un marito”. 

Controintuitivamente, l’atteggiamento nei confronti delle vittime di violenza domestica è stato quello della colpevolizzazione della vittima, anche nei casi in cui le intervistate stesse erano vittima. Inoltre, lo stupro coniugale non è stato mai definito o visto  come una forma di violenza sessuale. Le molestie sessuali all’interno della famiglia, del vicinato o della cerchia sociale stretta erano regolate da norme comunitarie, non dalla legge. 

A Giurgiu non sono mai stati denunciati casi di stupro, e un atto sessuale in questa particolare comunità era considerato tale solo se erano coinvolti più uomini e se la vittima mostrava tracce visibili di violenza. Nessuna delle 24 donne intervistate vittime di violenza di genere ha mai denunciato il proprio caso alla polizia.

Il comune di Valea Seaca nella Romania orientale, situato a 90 chilometri dalla città più vicina, è composto per il 50 per cento da popolazione rom. Qui, dal 2015, tra le iniziative femministe di E-Romnja  ci sono incontri settimanali volti a informare e sradicare la violenza di genere, all’empowerment femminile e a incoraggiare la partecipazione civica, l’educazione ai diritti sessuali e riproduttivi e l’educazione dei bambini al bullismo. 

Durante la nostra conversazione, Anca Nica, una delle rappresentanti di E-Romnja, ha ricordato che all’inizio del loro lavoro a Valea Seaca, non c’erano uomini perseguiti per violenza di genere. Nel 2020, a seguito di un caso di abuso sessuale che ha coinvolto una vittima di 8 anni, il cui aggressore era il nonno, le donne di Valea Seaca hanno organizzato una protesta  davanti alla caserma della  polizia per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla passività delle autorità nei casi di abuso e violenza contro le ragazze e le donne rom.

Secondo Nica, in seguito alla protesta l’avvocato della difesa ha presentato una richiesta di revisione delle procedure di intervento nei casi di abuso sessuale nella zona, e l’inchiesta ufficiale ha rivelato che la polizia non aveva un protocollo per questo tipo di casi. Le cose sono cambiate quando sono cominciate le azioni femministe. Le donne hanno imparato a conoscere meglio la loro salute riproduttiva, hanno capito che non c’è giustificazione per la violenza di genere e hanno partecipato alla marcia “Împreună pentru siguranța femeilo r” ("Insieme per la sicurezza delle donne"). 

Grazie alle iniziative di E-Romnja, le donne, non solo di Valea Seaca ma anche di altre parti della Romania, hanno avuto la possibilità di partecipare ad attività educative sulla violenza di genere, sul matrimonio di minori e/o forzato, sulla lotta all’abbandono scolastico e sull’ottenimento di documenti d’identità per i cittadini sprovvisti di documenti. 

La lotta continua

Gli ultimi vent’anni anni di storia del femminismo rumeno dimostrano che l’attivismo femminista può portare cambiamenti positivi a livello sociale, legale e politico. Queste storie ci dicono che è essenziale educare e mettere le donne in condizione di esprimere le loro preoccupazioni sulla violenza di genere e di potere chiedere ed esigere il cambiamento che vogliono vedere nelle loro vite.

La loro lotta femminista continua e non si fermerà fino a quando le autorità non si assumeranno la responsabilità di proteggere le vittime e perseguire i colpevoli, fino a quando il discorso pubblico sulla violenza di genere e sul femminismo in generale non sarà cambiato e la violenza di genere non verrà sradicata. 

La lotta per una società equa, in cui le donne sono trattate in modo paritario, indipendentemente dalla loro etnia, è e continuerà a essere una delle più difficili. La protezione e l’istruzione di ragazze e donne, in particolare di quelle appartenenti a comunità vulnerabili ed emarginate, come la comunità rom, è un lavoro in corso, recente, ma che ha visto miglioramenti cruciali.

In questo percorso, numerose associazioni e gruppi femministi si sono fatti carico di questa responsabilità, che dovrebbe essere dello stato. La strada è ancora lunga, ma i progressi sono visibili giorno dopo giorno.

 

Questo articolo è stato pubblicato in collaborazione con Heinrich-Böll-Stiftung

(Traduzione di Giulia Federica Gadoni per VoxEurop)

 

Note

1) FRONT è composto da femministe che si battono per l’uguaglianza tra donne e uomini e per l’eliminazione di altri tipi di discriminazione attraverso manifestazioni pubbliche, attività di lobbismo e sensibilizzazione, istruzione e ricerca, educazione sessuale nelle scuole, ecc.

2) CEDO aveva già giudicato colpevole lo stato rumeno nel 2016 in un caso che implicava due vittime. I giudici rumeni hanno deciso di condannare gli aggressori per atti sessuali con un minore, piuttosto che per stupro.

3) Media X Files  2020 mirava a indagare e a pubblicare 16 articoli sul tema della violenza di genere.

Riferimenti e bibliografia (in inglese)

Interviews

Sincere acknowledgment to Laura Grunberg, Daniela Drăghici, Anca Nică, and Tudorina Mihai, who contributed with their time and knowledge to the writing of this article.

Other Sources

ANES. (2018). Raportul final privind implementarea Strategiei naţionale pentru prevenirea şi combaterea fenomenului violenţei în familie pentru perioada 2013-2017 [The Final Report on the National Strategy for preventing and fighting the family violence between 2013-2017

Asociatia Transcena. (2013). Studiu la nivel naţional cu privire la implementarea ordinului de protecţie [National Study on the Implementation of the Protection Order ].  

Bragă A., Neaga, D., & Nica Georgiana A. (2017). Toată lumea știa  [Everybody knew]. Bucharest: Hecate.  

Ciobanu , A. M., & Sandu O . (2016). Inegalitatea de Acasă  [The Inequality from Home]. DOR. 

Digi24. (2019). Discuția halucinantă între polițist și Alexandra: „Bine, bine, stai acolo! Nu mai ține linia ocupată” [The Unbelievable Conversation Between the Policeman and Alexandra: “Okay, okay, stay there! Stop keeping the line busy ”]  

European Institute for Gender Equality. (2021). Gender Equality Index 2021

European Commission. (2016). Gender-based Violence Eurobarometer .

E-Romnja. (2021). Grassroot work – A model of civic engagement for Roma Women

Hotnews. (2022). Cazul Caracal: Gheorghe Dincă, condamnat la 30 de ani de închisoare în primă instanță [Caracal case: Gheorghe Dincă Sentenced to 30 Years in Prison at First Instance ]. 

Iancu, A. (2013). De ce legea medierii nedreptăţeşte victimele violurilor  [Why Mediation Law Does Injustice to Rape Victims]. Feminism Romania. 

INOSCOP Research. (2013). Barometrul de opinie publică – Adevărul despre România  [Public Opinion Barometer – The Truth about Romania]. 

Lincan, G. (2020).  De ce avem nevoie de feminism rom  [Why Do We Need Roma Feminism], Inclusiv.  

Mihai,T. (2018). Apel către deputați pentru susținerea proiectului de lege pentru siguranța femeilor!  [Call on MEPs to support the Women’s Safety Bill!]. www.violentaimpotrivafemeilor.ro/. 

Miroiu, M. (2015). Mişcări feministe şi ecologiste în România (1990-2014)  [Feminist and ecologist movements in Romania 1990-2014].     Iași: POLIOROM. http://elibrary.snspa.ro/wp-content/uploads/2020/03/Miscari-feministe.pdf    

Oncioiu D., & and Stoicescu, V. (2021). J

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