Valentin, l’ultimo

Valentin Inzko sarà l’ultimo Alto Rappresentante in Bosnia Erzegovina. A lui spetta il delicato compito di trasformare la presenza internazionale nel Paese, rendendo possibile il processo di integrazione europea, nel momento in cui la crisi globale attraversa i Balcani

22/04/2009, Andrea Oskari Rossini -

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Sarajevo (foto Lino Caffarra e Massimo Gorreri)

L’Unione Europea, preoccupata per la situazione in Bosnia Erzegovina, ha recentemente inviato la propria trojka nel Paese. I ministri degli Esteri di Repubblica Ceca, Francia e Svezia hanno condotto una serie di incontri con le autorità locali. Il messaggio recapitato agli organi di informazione, alla fine della due giorni di colloqui (8 e 9 aprile), è sempre lo stesso. Bruxelles è pronta ad aiutare la Bosnia, spera di vederla presto all’interno dell’Unione, ma prima devono essere rispettate alcune condizioni.

Carl Bildt, capo della diplomazia svedese, ha infine tenuto una conferenza stampa con Valentin Inzko, attuale Alto Rappresentante. Diversi media (v. EU Visit to Bosnia Produces No New Solutions, di Srecko Latal, BIRN, 13 aprile 2009) hanno rimarcato il significato simbolico del luogo scelto per l’incontro, il piazzale di fronte alla Inat Kuća. Oggi sede di un ristorante di piatti tipici bosniaci, la Inat Kuća è un edificio originariamente costruito a pochi metri di distanza, dall’altra parte della Miljacka. Quando gli austriaci decisero di costruire al suo posto l’attuale Biblioteca Nazionale, il proprietario della casa rifiutò di essere espropriato. Al termine di una lunga ed estenuante trattativa – così riportano le cronache – gli asburgici e il bosniaco riuscirono infine ad accordarsi. Il padrone di casa cedette, ma solo a condizione che la sua casa fosse ricostruita esattamente identica 50 metri più in là.

La vicenda ricorda lo stato attuale dei rapporti tra rappresentanti internazionali e politici bosniaci.

Dal 1995 ad oggi il Paese è governato dall’Alto Rappresentante, figura creata a Dayton per vigilare sugli accordi che posero fine alla guerra. L’altro giorno, di fronte alla Inat Kuća, c’erano il primo e l’ultimo degli Alti Rappresentanti che si sono succeduti in questi anni. Tra il 1995 e il 1997, infatti, a guidare la comunità internazionale nel Paese c’era proprio Carl Bildt. Il diplomatico austriaco Valentin Inzko, invece, sarà l’ultimo Alto Rappresentante. Così è stato statuito nell’ultima riunione (26 marzo) del Peace Implementation Council (PIC), conferenza internazionale preposta al mantenimento della pace nel Paese.

Inzko però, di fatto, è già il terzo degli "ultimi" Alti Rappresentanti. Prima di lui sia Christian Schwarz Schilling che Miroslav Lajčák avrebbero dovuto essere quelli che chiudevano l’Ufficio, consegnando la Bosnia finalmente pacificata ad un tranquillo percorso di integrazione europea. La comunità internazionale, però, non riesce ad andarsene. Il deterioramento del clima politico nel Paese, le tentazioni secessioniste della parte serbo bosniaca e la volontà dichiarata di una parte dell’élite politica bosgnacca di superare la divisione in entità, fanno sì che il dibattito resti ancorato al 1995. Lo status quo tuttavia, che ha funzionato per porre fine alla guerra, all’Unione Europea non basta più.

I termini della questione sono stati posti chiaramente da Olli Rehn, commissario europeo all’Allargamento, in una recente intervista: "Non possiamo far entrare nell’Unione un protettorato."

Servono delle riforme, occorre superare i delicati equilibri disegnati a Dayton e creare uno Stato sostenibile, senza un governatore internazionale. Come?

Nella sua ultima riunione di Sarajevo, il Consiglio di Implementazione della Pace ha ribadito che l’Ufficio dell’Alto Rappresentante resterà aperto fino a quando non verranno completati i 5 obiettivi e le 2 condizioni stabiliti dallo stesso PIC nel febbraio 2008. Questi obiettivi comprendono la soluzione della controversia relativa alla divisione delle proprietà pubbliche tra Stato e entità, quella della divisione dei beni della Difesa, la definizione dello status di Brčko, la questione della sostenibilità fiscale e la creazione di uno "Stato di diritto". Le due condizioni erano la firma dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione (ASA) con l’Unione Europea e una "valutazione positiva della situazione nel Paese da parte del PIC sulla base del pieno rispetto degli accordi di Dayton".

Dal febbraio dell’anno scorso ad oggi, diversi obiettivi sono stati raggiunti. La questione fiscale, attraverso la creazione di una metodologia comune sulla tassazione indiretta, e quella della giustizia, attraverso l’adozione di una strategia nazionale sulla riforma del settore e sui crimini di guerra, si considerano risolte. Il 16 giugno scorso, con la firma dell’ASA, la Bosnia Erzegovina ha poi adempiuto ad una delle due condizioni, mentre pochi giorni fa (26 marzo), il Parlamento di Sarajevo ha approvato il nuovo status del distretto di Brčko, al termine di un lunga e complessa trattativa (la questione di Brčko non era stata risolta a Dayton) avviata da Wolfgang Petritsch e conclusa dall’attuale vice Alto Rappresentante, Raffi Gregorian.

Il distretto di Brčko, area strategica nel nord est della Bosnia, che permette la continuità territoriale tra la Republika Srpska settentrionale e orientale, è stato definito come "proprietà comune" alle due entità. Avrà un’amministrazione autonoma, posta sotto la sovranità dello Stato, e potrà adire direttamente la Corte Costituzionale.

Il cosiddetto "accordo di Prud", stipulato dai leader dell’Unione Democratica Croata (Čović), del Partito di Azione Democratica (Tihić) e del Partito Socialdemocratico Indipendente (Dodik), potrebbe portare alla rapida soluzione delle questioni legate alla divisione delle proprietà pubbliche. L’unico punto a restare scoperto sarebbe quello lasciato volutamente indefinito, cioè una nuova valutazione da parte del PIC sulla situazione nel Paese.

Per ora il PIC ha deciso di prendere tempo. Secondo alcuni osservatori tuttavia, insieme alla decisione di nominare Valentin Inzko e di estendere il mandato dell’OHR per altri tre mesi, sarebbe anche stato concordato – in maniera non ufficiale – di fissare per la fine di quest’anno la chiusura dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante e il ritiro delle forze EUFOR ancora presenti nel Paese.

L’ufficio dell’OHR verrebbe così definitivamente trasformato nell’Ufficio del Rappresentante Speciale dell’Unione Europea (EUSR). Entrambe le funzioni sono attualmente rappresentate da Inzko. Perdendo la veste di Alto Rappresentante, tuttavia, Inzko perderebbe anche i cosiddetti "poteri di Bonn", che gli permettono di intervenire direttamente nella politica bosniaca. La partenza dell’EUFOR, poi, preoccupa più di un esperto di sicurezza. Il calcolo, probabilmente, è che altri meccanismi (ingresso della BiH nella Nato?) possano controbilanciare la fine della presenza militare internazionale.

Lo scenario che si apre, tuttavia, è difficile da prevedere. Mentre politici locali e comunità internazionale si concentrano sulla crisi politica, infatti, un altro tipo di crisi rischia di entrare in scena. La Bosnia Erzegovina sta negoziando con il Fondo Monetario Internazionale un prestito per sostenere le sofferenti casse pubbliche. Gli esorbitanti costi per l’amministrazione di un Paese con 13 parlamenti, le spese sociali – e in particolare le pensioni per i veterani e gli invalidi – stanno determinando una sempre maggiore instabilità di bilancio, specie nella Federazione. La riduzione della spesa pubblica richiesta dall’FMI, tuttavia, potrebbe innescare una stagione di conflitti e mettere a rischio le fasce sociali impoverite dalla guerra e dalla transizione.

Se sui problemi locali (amministrazione costituita su base etnica e non di efficienza; forte spesa sociale per i veterani, le vedove e gli invalidi civili di guerra) dovessero saldarsi i contraccolpi della crisi economica globale, il futuro sarebbe cupo. I segnali ci sono già.

La più grande acciaieria bosniaca, la Željezara Zenica, acquisita nel 2004 dalla Arcelor Mittal, ha recentemente annunciato che dovrà licenziare oltre 2.000 operai a causa della riduzione della domanda a livello globale. Il numero esatto non è ancora stato definito, ma le prime cifre presentate dalla direzione indicavano un numero di licenziamenti superiore alla metà dei circa 4.000 operai dell’acciaieria. Si tratta del più grande licenziamento di lavoratori nella storia bosniaca recente. La multinazionale, che guida il settore a livello mondiale, ha dichiarato che per il momento pagherebbe il 55% del salario (circa 200 euro) ai lavoratori licenziati.

La comunità internazionale deve chiudere la fase post Dayton e lasciare il Paese, avviandolo solidamente sul percorso europeo, ma la crisi economica è già alle porte. Allo stesso tempo, la necessaria riforma dello Stato ha margini di manovra ristretti, e non potrà toccare i simboli sui quali si è pietrificato il dibattito pubblico dalla guerra ad oggi.

Pochi giorni fa il leader dei serbo bosniaci, Milorad Dodik, ha dichiarato che tra l’ingresso nell’Unione Europea e la Republika Srpska (RS), i serbi sceglierebbero la seconda (Dnevni Avaz, 16 aprile). Il messaggio è chiaro, e viene ripetuto in forme diverse ormai da mesi.

Attraverso un nuovo e rafforzato partenariato tra comunità internazionale e istituzioni locali, Valentin Inzko dovrà cercare di provocare le riforme che – pur mantenendo l’attuale divisione in entità – possano diluirne il significato etnico all’interno di un ragionamento federale, dove i funzionari dello Stato vengano riconosciuti non in base alle appartenenze ma alle competenze, le persone possano vivere dove vogliono con eguali diritti, e i bambini non siano segregati in scuole con curriculum etno-nazionali diversi. Almeno.

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