Kosovo, Serbia |  |

Un’utopia concreta

Intervista con Miodrag Lekic, ex ambasciatore della SRJ in Italia, docente alle università La Sapienza e LUISS di Roma, intervenuto alla tavola rotonda del Convegno di Osservatorio sui Balcani tenutosi a Roma il 15 dicembre scorso

22/12/2006, Luka Zanoni - Roma

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Miodrag Lekic

Professor Lekić, come vede l’odierna situazione in Kosovo?

La situazione è estremamente complicata, piena di contraddizioni, con tutte le conseguenze della disintegrazione selvaggia della ex Jugoslavia. La situazione del Kosovo è figlia di questo caos. Non c’è una soluzione facile e anche io mi chiedo come si risolverà tutto questo, perché qualsiasi decisione sarà contestata con possibili conseguenze negative per la regione.

E cosa pensa della proposta di Osservatorio sui Balcani di un Kosovo come prima "regione d’Europa"?

La vedo molto positivamente, e sono sorpreso, perché non vedo altre soluzioni che abbiano argomenti convincenti. Se si trova un compromesso è un bene, perché la situazione di oggi è basata su una risoluzione del Consiglio di sicurezza che prevede l’integrità territoriale della Serbia e se si rinuncia a questo vuole dire che si è vinta una guerra con un trucco diplomatico, perché si è promessa l’integrità territoriale con la risoluzione di Kumanovo e adesso si dice che non vale. Dall’altra parte so bene che se si conferma l’integrità territoriale ci saranno reazioni in Kosovo. In questo spazio vuoto, non vedo una soluzione intelligente. Mentre vedo la vostra come una possibile soluzione per un certo periodo, in attesa di elementi che possano far scaturire una soluzione definitiva. Veramente, e non lo dico per cortesia, la trovo un’idea interessantissima, nuova. Forse, come ha detto uno dei relatori, è un’utopia ma è un’utopia concreta.

Passando alla Serbia. Di recente è stata adottata una nuova costituzione e nel preambolo della stessa c’è una parte importante dedicata al Kosovo, dove si dice che il Kosovo è parte inalienabile della Serbia. Dato che lo status del Kosovo non è ancora stato definito, secondo lei si è trattato di un compromesso per avere i due terzi della maggioranza parlamentare necessari a modificare la costituzione oppure c’è un altro motivo?

È vero che possono esserci diversi motivi ed elementi, ma c’è una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, che hanno concordato insieme diversi paesi, e dice che il Kosovo e parte integrante della Serbia. Quindi Belgrado non ha fatto un colpo di stato, non ha violato nessuna regola, ha solo rispettato una norma che è base del diritto internazionale. Possiamo discutere se è realistica questa integrità territoriale, ma in questo momento Belgrado ha confermato una cosa che è stata stabilita dalle grandi potenze. In questo senso non vedo alcun trucco o invenzione negativa. Certo ci sono degli elementi politici, la Serbia si sente ferita e forse hanno voluto sottolineare che il Kosovo è parte della Serbia. Ma non hanno inventato niente, hanno solo confermato una cosa che avevano già deciso le Nazioni Unite.

Lei è stato ambasciatore durante i bombardamenti della NATO nel 1999, e proprio in questi giorni la Serbia è stata accolta nella Partnership for Peace, il programma di pre-accesso alla NATO. Ma non solo, i piloti dell’aviazione serba in questi giorni sono andati alla base di Aviano per fare dei training coi piloti della NATO. Come vede questo cambio di prospettiva?

Beh, abbiamo un’evoluzione in corso, un processo politico che ha condotto a questa realtà. Ma vede, io credo che in questi ultimi quindi anni i Balcani siano stati un laboratorio sperimentale, dove c’erano molte cause interne, politici irresponsabili, nazionalisti, ma credo sia stato anche un gioco internazionale dove si è sperimentato. E adesso forse siamo alle ultime tappe di questi esperimenti.

Miodrag Lekic, Docente Università La Sapienza e Luiss di Roma (già Ambasciatore SRJ in Italia)

In questi giorni c’è stato un forte dibattito in seno all’Unione europea sul tema della Serbia. L’Unione ne è uscita divisa, con le posizione di Germania, Gran Bretagna, Olanda e Francia che preferiscono una linea dura, e dall’altra parte il gruppo guidato dall’Italia che invece è più propenso ad ammorbidire la posizione rispetto alla Serbia, in particolare rispetto al proseguimento dei negoziati per l’Accordo di associazione e stabilizzazione. Lei pensa che l’Italia possa influire sul Consiglio dei ministri dell’UE, pensa che possa giocare un ruolo decisivo per fare cambiare le cose rispetto alla Serbia?

Io mi auguro di sì, perché l’Italia è un paese vicino, ha subito le conseguenze negative: profughi, criminalità organizzata. Non dimentichiamo che nel 1995 l’Italia aveva proposto l’approccio regionale che è stato subito rifiutato e ci si è irrigiditi sulla formula ridicola su chi sono i buoni e chi i cattivi nei Balcani. Ed io vedo anche quest’ultima iniziativa come un’iniziativa con molti argomenti. Non si può dire che la Serbia non abbia collaborato con il Tribunale dell’Aja, perché generali, politici, presidenti della Serbia si trovano all’Aja. Ne è rimasto ancora uno da actturare. Che tra l’altro è un cittadino della Bosnia Erzegovina… Voglio dire che continuare con questa specie di umiliazione può avere delle conseguenze negative. Mentre mi sembra che l’Italia abbia capito e che stia cerando di trovare un compromesso per evitare di isolare completamente la Serbia.

Lei di origine è montenegrino. Che idea si è fatto del Montenegro dopo l’uscita dalla federazione con la Serbia?

Guardi, io ancora mi dichiaro jugoslavo, anche se la Jugoslavia non c’è più. In Montenegro è sorto un nuovo vecchio stato con tutta la legittimità dell’autodeterminazione, con un referendum che è andato molto bene. Perché, come lei ben sa, spesso i referendum nei Balcani comportano un alto rischio. Ma dobbiamo ricordare che tutt’oggi c’è una popolazione divisa quasi a metà, perché c’è una parte che voleva mantenere dei rapporti con la Serbia in un contesto di federazione o di confederazione sulla base di pari dignità. Abbiamo anche un Montenegro che ha delle conseguenze negative che provengono dalle guerre, come la criminalità organizzata… ma tutto sommato abbiamo diversi aspetti positivi, perché è andata bene, senza problemi, senza conflitti. Quindi possiamo forse riassumere in questo modo: l’indipendenza è un bel ramo ma adesso dobbiamo occuparci della chioma.

Cioè lei sta dicendo che ora che si è ottenuta l’indipendenza del Montenegro è giunto il momento di occuparsi dei problemi concreti del paese?

Direi che è ora di cancellare l’immagine negativa di covo sull’Adriatico, perché sappiamo che una parte dei dirigenti montenegrini sono stati coinvolti in diversi processi, nella stessa Italia… È arrivato il momento per avere una realtà democratica pulita…

L’uscita di scena di Milo Djukanovic potrebbe rappresentare una svolta in questo processo?

Potrebbe essere una svolta. Lui tra l’altro è processato qui in Italia per presunta collaborazione con la mafia. Ma dobbiamo vedere se si è trattato di un’uscita vera o di una piccola pausa, perché Djukanovic rimane il presidente del partito al potere… vediamo se si è effettivamente ritirato oppure no.

Lei ha scritto un libro sui bombardamenti del 1999 sull’allora Federazione di Jugoslavia, ci dice in due battute di cosa si tratta?

Si tratta di un mio diario durante i bombardamenti. Non l’ho scritto a posteriori, è stato scritto durante i bombardamenti perché dovevo controllare dei fatti. Spero che venga accolto come un modesto contributo alla ricostruzione dei fatti.

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